
Come fotografo ed editor sono perfettamente cosciente di quanto sia difficile valutare il proprio lavoro.
Su di esso gravano infatti dei vincoli di tipo emotivo che spesso non ci permettono di guardarlo in maniera oggettiva.
L’ho provata più di una volta sulla mia stessa pelle: qualche anno fa per esempio, mi chiesero di proporre una mia foto per un articolo. La foto doveva essere la mia migliore, o almeno quella che rappresentasse meglio il mio lavoro.
Sbagliai completamente la scelta, facendomi entusiasmare da una foto – fatta a Los Angeles qualche anno prima – che invece all’inizio avevo scartato.
L’ errore fu amplificato dal fatto che, nello stesso articolo, sarebbe stato pubblicato anche Joel Meyerowitz, uno dei mei autori preferiti. Potendo tornare indietro non sceglierei più quella foto.
Pur conscio di questa difficoltà a valutare i propri scatti, ho chiesto ad alcuni fotografi di mostrarmi la loro “fotografia migliore” e di dirmi perché ritengono che la loro scelta sia la più rappresentativa di ciò che stanno facendo.
Con l’intenzione di offrire uno spazio a chi, secondo la mia opinione, si sta distinguendo nel proporre lavori interessanti ed un percorso decisamente personale.
C’è chi lo ha fatto con pochissime parole, chi ha scritto un piccolo racconto.
La cosa importante per me è dare visibilità ad alcuni dei fotografi che ritengo essere tra i più interessanti in Italia e che, sono certo, ci delizieranno in questo 2020 e negli anni a venire.
In ultimo, ho deciso anche io di mettermi in gioco: in fondo all’articolo troverai anche una delle mie foto favorite.
MAURO QUIRINI
Questa è la fotografia che ha segnato l’inizio di una serie che non avrà mai fine, e che ho intitolato “Non ricordo dove”.
Si tratta di fotografie tratte dai paesaggi di mare che ho incontrato e incontrerò nel tempo.
In questi scatti non intendo “descrivere” il luogo, il suo nome o la posizione geografica, preferisco invece astrarre elementi e usarli a mio piacimento, oppure scegliere punti di vista che cambiano il significato alle cose.
Anche la presenza umana o animale rimane nel fotogramma come “figura”.
Puoi trovare Marco Quirini:
GABRIELE LOPEZ
Ho scelto di allegare questa foto, che mi è cara per molti motivi…è del 2006, e risale ad un lavoro sulle metropolitane che si è concluso da poco, alle porte del 2020…per me è significativa perché è una delle prime foto in cui ho imparato a capire cos’é la fotografia per me.
Dopo anni di foto incerte è con questa foto che iniziai a usare la macchina fotografica in modo diverso, approcciando il mondo che mi circondava, tenendo un diario come faccio ancora oggi, interagendo con le persone e con tutto ciò che mi circondava, notando cose che senza la macchina saprebbero passate inosservate.
Notare questi gesti nella folla mi ha dato consapevolezza e mi ha mostrato la forza che potevo esprimere con una fotografia, parlando di me e degli altri con un unico gesto e linguaggio.
La fotografia era una scusa, un pretesto.
Questo lavoro mi ha spinto ad abbandonare il mio impiego sicuro e lanciarmi nella fotografia fino a farla diventare un lavoro. Oggi, in un mercato tormentato che mi richiede scelte non inclini al mio modo di essere, sto di nuovo tornando a fotografare come allora, solo per ricerca personale e per capire il mondo.
20 anni sono passati da quelle prime rivelazioni, ma la fiamma è ancora identica.
Puoi trovare Gabriele Lopez sui suoi siti:
FRANCESCO FARACI
La foto è parte di un progetto più ampio, un viaggio in Sicilia durato 3 anni, il cui libro uscirà il 20 febbraio del 2020, dal titolo Atlante Umano Siciliano.
Non c’è una ragione precisa nella scelta del momento.
L’istinto fa quello che deve fare, sempre. Prima ancora che nella macchina fotografica il clic avviene dentro di te, in un luogo imprecisato dell’anima.
Fa risuonare una corda il cui suono viene da molto lontano.
Puoi trovare Francesco Faraci:
VITTORE BUZZI
Ci sono delle immagini che sembrano nascere per caso.
Il caldo umido di Cuba, un uomo senza un braccio, la luce dolce e riflessa dei grandi palazzi.
Prendersi del tempo per uno sconosciuto e lasciarsi ritrarre dolcemente mentre fuori il sole arroventa l’aria e il mondo sembra correre impazzito.
Uno scambio di umanità, un riconoscersi così simili e fragili.
Poi é il tempo che corre e le strade si dividono probabilmente per sempre. A me rimane il dono del suo volto che mi guarda compassionevole e mi perdona.
Puoi trovare Vittore Buzzi sui suoi siti:
MARCO GUIDI
La fotografia che segue nasce, o meglio, viene concepita, dall’esigenza di possedere una sensazione.
In particolare la sensazione di stupore o meraviglia, emozioni spesso disarmanti ma allo stesso tempo anche passive, in relazione all’arte dal punto di vista del fruitore.
Questa sensazione, in alcuni casi – e qui verrebbe da citare il concetto di Punctum, anche se declinato in maniera diversa – è particolarmente forte.
Tant’è che mi sono sentito spinto a dover reinterpretare mettendo me stesso al centro di quella sensazione, di quell’emozione, per poter dire sia interiormente che a livello visivo: “Ci sono stato, ci sono passato”. Tutto questo al fine di sentire un appagamento in relazione all’arte sia come fruitore sia come attore.
Puoi trovare Marco Guidi:
FABRIZIO “ICCIO” ARGINETTI
Mi chiamo Fabrizio Arginetti.
Firmo le mie foto come Iccio.fa. In questa foto è rappresentato l’urlo di sfogo di Monica, una modella che ha dovuto subire vari cicli di chemioterapia a causa di un tumore al seno.
Puoi trovare Fabrizio Arginetti:
BEATRICE BANDITELLI
Ho scelto questa foto perché senza dubbio è quella che rappresenta di più il cammino che vorrei intraprendere, ovvero quello di una profonda autoanalisi attuata attraverso l’uso dell’autoritratto, in cui mettere a nudo le mie paure, scavare negli angoli più nascosti e remoti dell’inconscio per lasciare all’osservatore un racconto intimo.
Puoi trovare Beatrice Banditelli:
MICHELE DI DONATO
Il racconto fotografico narrato dalla serie di fotografie di cui fa parte questo scatto è connesso al potere vertiginoso, liberatorio e pervadente – Maelström appunto – di tutte le forme di teatro e degli attori in scena.
Le immagini restituiscono il sentimento dello spettacolo, e della rappresentazione artistica tout court, alla pubblica fruizione attraverso l’uso convulso del colore e del mosso fotografico che, proprio come un turbine, catturano totalmente l’attenzione dell’osservatore in un variegato gioco di prospettive.
Nel portfolio si toccano note specifiche e fondamentali dell’ambito performativo: dall’introspezione iconografica della massima aspirazione attoriale, ovvero il divenire sintesi essenziale dei personaggi interpretati, si passa all’esposizione del daìmon, della tecnica e dell’arte di ogni artista sul palcoscenico, fino a giungere alla polivalenza iconologica che ogni singola azione, espressione, movimento, recitazione possono comunicare attraverso la fotografia.
Puoi trovare Michele Di Donato:
VINCENZO ARU
Stavo percorrendo una piccola strada nel profondo sud del Texas, tra Marathon e Marfa, non lontano dal confine col Messico.
Ho scattato questa foto perché rappresenta diverse cose che osservo spesso in America, lande desolate, spazi vuoti, mistero, inquietudine.
Puoi trovare Vincenzo Aru:
DAVIDE PADOVAN
In realtà non credo che questa sia una buona foto, ma mi piace molto l’intimità che racconta,
Diciamo che è un pò la sintesi di quello che cerco di scattare da sempre, ossia la naturalezza e la quotidianità.
Puoi trovare Davide Padovan:
BENEDETTA FALUGI
Ho scelto questa foto perché in questo momento particolare mi trasmette un senso di serenità. Non pace, sarebbe troppo.
Puoi trovare Benedetta Falugi:
EMANUELE CASSINA
Partiamo innanzitutto dalla storia di questo scatto.
Era il 2015… un periodo di pura sperimentazione.
Avevo contattato una ragazza della mia città con cui avevo già svolto altri shooting, per provare un nuovo “giocattolo”: un pezzo di parabrezza rotto, preso poco tempo prima dallo sfasciacarrozze, da usare come filtro “artigianale” davanti all’obbiettivo della macchina fotografica.
Dopo aver eseguito vari ritratti, abbiamo iniziato a fare qualche fotografia con questo nuovo “filtro” e i risultati sono stati…. da pelle d’oca!
Ho sentito finalmente di aver trovato il risultato che cercavo da anni, dopo molta sperimentazione e tanti sacrifici.
Vi lascio con una frase di Edmond De Goncourt che è fissa nella mia testa:
Imparare a vedere, è il tirocinio più lungo in tutte le arti
Puoi trovare Emanuele Cassina:
ALEX COGHE
Penso alle mie foto come parti di un tutto. Per me non esiste una vera separazione di generi o obiettivi fotografici.
Non importa se sono impegnato in un progetto o in un incarico particolare e non ho mai fatto una distinzione tra fotografia personale e fotografia impegnata: per me non ha senso fare questa distinzione.
Quando fotografo sono solo io, io e la mia esperienza filtrati dalla mentalità al momento per riconoscere e premere l’otturatore. E questo è il motivo per cui quel momento è la vera e più sincera fine del processo.
Riguardo a questa foto la considero se non la migliore, una delle mie migliori.
Riesce a mostrare contemporaneamente la mia fotografia di ritratto con le ragazze che collaborano con me e l’attenzione per la composizione e i particolari e anche le associazioni tra gli oggetti presenti nella scena.
Oltretutto baciata da una buona luce e da quel livido sulla gamba che pone ancora più interrogativi. Una foto fascinosa con un tocco di mistero.
Puoi trovare Alex Coghe su uno dei suoi siti:
https://fotoreportando.wordpress.com/