
Nella pagina che introduce Alex Webb sul sito della celebre agenzia Magnum Photos, di cui è membro dal 1979, c’è una citazione del fotografo americano che, pur nella sua brevità, riassume il suo concetto di fotografia:
“In un luogo ci arrivo solo camminando. Perché un fotografo di strada questo fa, cammina, osserva e parla. Poi guarda e ancora attende, sperando nell’ignoto, in ciò che non ti aspetti. O nel cuore segreto di ciò che è già noto, che ti aspetta proprio dietro l’angolo”.
Considerato uno dei fotografi più influenti degli ultimi decenni, Alex Webb passa dagli scatti monocromatici della sua giovinezza, al colore verso la fine degli anni Settanta, in seguito a un viaggio ad Haiti che ha cambiato per sempre il suo punto di vista sul suo lavoro. L’intensa vitalità dei Caraibi, una realtà cruda e sconnessa, i colori intensi di quel mondo, hanno segnato profondamente Alex Webb che da allora non ha più abbandonato la strada, come soggetto principale della sua fotografia che si ferma sempre un passo prima di raggiungere il caos compositivo.
La recente mostra di Padova The Suffering of Light, organizzata nella primavera del 2019, ha riassunto alla perfezione la filosofia di Alex Webb. Non l’opera di un documentarista o di un fotogiornalista, ma l’esperienza di uno street photographer che esplora il mondo con la sua fotocamera, lasciando che sia la vita in cui si immerge a dettare il ritmo del suo lavoro. Quasi una ribellione, un’esplosione di colori, una reazione al grigio scuro tipico del New England, da cui Alex Webb proviene. Ed è così che l’America Latina, l’Africa e più in generale i Tropici, sono diventati i luoghi prediletti del suo lavoro.
La vita di Alex Webb
Nato a San Francisco nel 1952, Alex Webb lascia presto la California per raggiungere il New England fin da bambino. Durante gli anni del liceo mostra i primi interessi per la fotografia che diventa il suo lavoro a partire dal 1972 quando partecipa agli Apeiron Workshops di Millerton, nello stato del New York. In quell’occasione incontra Bruce Davidson e Charles Harbutt, appartenenti all’agenzia della Magnum Photos.
All’Università di Harvard Alex Webb continua i suoi studi storico-letterari, e contemporaneamente porta avanti lo studio della Fotografia, al Carpenter Center for the Visual Arts. Nel 1974 si laurea ad Harvard e inizia a lavorare come fotoreporter. Due anni dopo entra a far parte della Magnum Photos. I soggetti di questa prima fase sono le piccole città del sud statunitense, poi arrivano Caraibi, Messico e il già citato viaggio ad Haiti. Dal 1978, la svolta stilistica: Alex Webb abbandona il monocromatico per la fotografia a colori.
I viaggi compiuti, sono alla base di quattro libri che racchiudono la maggior parte delle esperienze vissute da Alex Webb negli anni Ottanta: Hot Light / Half-Made Worlds, Under A Grudging Sun, From the Sunshine State, Amazon: From the Floodplains to the Clouds. Webb ha anche creato un libro d’arte con inserti tecnologici intitolato Dislocations in collaborazione con il Film Study Centre presso l’Università di Harvard (1998-99). Del 2001 è un libro sul confine tra gli Stati Uniti e il Messico..
A partire dagli anni Novanta, gli scatti di Alex Webb sono esposti nelle principali gallerie del mondo, inclusi il Walker Art Center, il Museum of Photographic Arts, l’International Centre of Photography, l’High Museum of Art, il Museum of Contemporary Art di San Diego e il Whitney Museum of American Art.
Le fotografie di Alex Webb sono apparse in riviste come GEO, Time e il New York Times Magazine. Per il magazine National Geographic si è occupato di diverse aree del mondo, come il Rio delle Amazzoni, Tijuana e Monterrey in Messico e Istanbul. Attualmente Alex Webb vive e lavora a Brooklyn, insieme alla moglie Rebecca Norris, anche lei fotografa.
Lo stile di Webb
Il primo elemento che colpisce lo sguardo di fronte alla fotografia di Alex Webb è la profondità, ottenuta spesso ricorrendo al primo, al mezzo piano e allo sfondo. In questo modo il pubblico è come se avesse una visione in soggettiva di ciò che ha visto il fotografo. Per questo si ha spesso la sensazione di entrare negli scatti di Alex Webb, esperienza che non si ha con tanti altri fotografi pur sempre di grandissimo talento ma più distanti dai loro soggetti. Lo stile di Webb è un caos organizzato, al limite della saturazione, e non solo per i colori molto vividi ma per il numero di soggetti che entrano nello scatto. Eppure, questa è la strada. Non tutto è sotto controllo per strada. E comunque Alex Webb si ferma sempre un attimo prima di dare alla sua foto un senso di confusione. Per questo è giusto parlare di caos organizzato.
Un altro tratto tipico della fotografia di Alex Webb è il senso del cammino che si rispecchia in moltissimi dei suoi scatti. La percezione è quella di essere di fronte a uno scatto in movimento, o meglio… si prova la sensazione che il fotografo stesse camminando nel momento in cui ha deciso di immortalare i suoi soggetti per strada.
Da un punto di vista tecnico, la fotografia di Alex Webb risente dell’evoluzione della pellicola invertibile a colori. E infatti tra le prime sue immagini a colori, ci sono quelle del confine tra Messico e USA che risentono tantissimo delle tinte calde tipiche del periodo, mentre negli anni a venire gli esiti di Webb saranno più neutri, con colori più saturi resi profondi dai neri.
A proposito di Messico, c’è un libro di Alex Webb, La Calle, che raggruppa più di ottanta immagini sul lavoro prodotto nel corso dei suoi numerosi viaggi in quel paese tra il 1975 e il 2007. Nella raccolta ci sono anche otto immagini in bianco e nero: sono le fotografie con cui Webb si fece conoscere nell’agenzia Magnum e risalgono ai primi anni dell’antologia.
In uno scatto che vede protagonista un ragazzo messicano in un cimitero, si vede già quello che a distanza di pochi mesi sarebbe diventata la classica fotografia alla Alex Webb: la scena è molto “piena” perché oltre al ragazzino, c’è un paesaggio decadente fatto di croci e ghirlande di fiori e sulla linea dell’orizzonte si staglia un cavallo che porta due persone. Uno scatto solo apparentemente semplice che racchiude in sé una complessità che si colloca a un passo dalla saturazione dei soggetti. La scena rappresentata è piena di dettagli, ma il caos è solo sfiorato.
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Alex Webb street photographer
Noto come street photographer Alex Webb, in realtà, non è un fotografo facilmente ascrivibile a un genere preciso: non è un fotogiornalista nel senso classico del termine. Certo… la sua è una fotografia documentaria ma il suo punto di vista è talmente forte che forse la definizione di fotografia artistica potrebbe essere la più azzeccata, ancor prima di street photographer.
Allo stesso modo dei fotogiornalisti, Alex Webb racconta spesso i luoghi del mondo in cui si concentrano le maggiori tensioni sociopolitiche, l’emarginazione e il sopruso. Ma diversamente dal fotogiornalismo propriamente detto, all’interno delle sue foto non c’è la notizia. O meglio… non è il protagonista principale dei suoi scatti effettuati durante il cammino. Ecco perché pur essendo noto come street photographer, Alex Webb sfugge in parte a questa etichetta: perché le sue “street” non sono quelle delle metropoli occidentali, ricche e scintillanti. Le strade di Webb non sono quelle di Manhattan, di Londra, di Tokyo o di Sydney.
In questa ottica, neanche a dirlo, il viaggio diventa centrale. Il Viaggio con la maiuscola, non l’esperienza di un turista ma di un viaggiatore. L’esperienza preferità da Alex Webb è sicuramente quello dei luoghi indefiniti culturalmente, di confine. I viaggi in terre in cui le culture si incontrano o si scontrano. A volte si fondono, altre volte si fanno la guerra. Proprio per questo, una delle città predilette da Webb è Istanbul, cerniera tra Europa e Medioriente.
I temi del confine – basti pensare quello più che mai ora attuale tra Messico/USA – e dell’indefinitezza, sono delle costanti che pervadono tutta la sua opera. Nelle sue foto ci sono linee che dividono mondi paralleli che fanno parte dello stesso scatto. Ed è questa la ragione per cui, osservare una foto di Alex Webb, dà spesso la sensazione di essere di fronte a più fotografie sovrapposte.