
In questo periodo si fa un gran parlare della “fotografia” (secono me tale non è) realizzata grazie all’Intelligenza Artificiale. Basta inserire delle istruzioni nel computer e l’AI, effettuando una ricerca in rete e assemblando molti elementi sparsi o creandone di nuovi (stile CGI) sputa fuori una “foto” che sembra vera, ma ovviamente è falsa.
Per il momento ci si gioca un po’ su, anche per fini polemici, come il finto arresto di Trump o la partecipazione di Macron agli scontri in piazza a Parigi: fotografie (nel caso di Macron realizzate con il software Midjourney) che alcuni hanno preso per vere e invece erano non solo false, ma nemmeno fotografie!
Ma non è mia intenzione entrare in questo dibattito, che a mio parere rischia di essere stucchevole quanto quello nato vent’anni fa in merito alla fotografia digitale che non sarebbe “vera fotografia”. Io credo fermamente nelle capacità dell’operatore o dell’operatrice (chiamiamoli artisti, o creativi) non certo nella tecnologia, che è e deve rimanere uno strumento, non un fine.
Perciò anche con l’AI si possono creare opere d’arte e progetti interessanti, se utilizzata con intelligenza e avendo delle idee in testa. Resto comunque del mio parere di fondo: siamo nel campo della “digital art” e non della fotografia. E il mio “orso su un albero rosa” realizzato con Canva appare finto, ma proprio finto.
Sebbene in alcuni incubi a occhi aperti che ho fatto recentemente abbia visto fotocamere in tutto e per tutto simili a quelle che già conosciamo che però, quando si scatta, trasformano del tutto il soggetto, secondo una loro precisa volontà: agli alberi spogli mettono le foglie o viceversa, il paesaggio estivo con il cielo slavato diventa un tramonto innevato e così via. In fondo non siamo poi così lontani da questa possibilità: si tratta solo di inserire nella fotocamera automatismi che oggi sono nei computer, a volte negli smartphone.
Però questo dibattito in corso mi permette di affrontare un tema più generale: l’importanza degli automatismi in fotografia. Potremmo dire che i software che generano immagini grazie all’Intelligenza Artificiale rappresentano il massimo dell’automatismo possibile, quasi totale.
Ma ricordiamoci che l’AI è presente già in diverse fotocamere – come quelle degli smartphone – e in tal caso non crea la foto, ma di certo la “orienta”, la perfeziona, la rende “come la desideriamo”. Anche qui grandi polemiche sull’ultimo smartphone Samsung in grado di fotografare con il “supertele” addirittura la luna ottenendo un’immagine più nitida e definita di quella che si otterrebbe con una “vera” fotocamera. Meraviglia tecnologica o fine della necessità di avere competenze (tecniche) da parte del fotografo?
Facci caso: di questo si parla ogni volta che una nuova tecnologia sembra essere in grado di sostituire le “misere” capacità umane, offrendo risultati più sicuri e standardizzati. Sono abbastanza attempato da ricordarmi le discussioni (da Bar, all’epoca, visto che non c’era Internet) sull’Autofocus, che toglierebbe “ogni soddisfazione” a fare una foto nitida. E venivamo dalle polemiche addirittura sull’esposimetro incorporato e poi su quello “accoppiato” in grado di stabilire autonomamente tempi e diaframmi della fotocamera. Orrore! Mio padre sosteneva che era un’assurdità e continuava a scattare con la sua Rollei esponendo a occhio, che anche l’esposimetro esterno era di troppo!
Poi sono arrivati il motore di avanzamento della pellicola, i sistemi esposimetrici a matrice (davvero quasi infallibili), i motori a ultrasuoni per l’AF direttamente inseriti negli obiettivi e così via. Poi il digitale che ha davvero cambiato (quasi) tutto. Ad un certo punto è sembrato (lo riconosco) anche a me che l’operatore non avesse quasi più responsabilità. E anzi, si asteneva accuratamente dall’intervenire. Capita ancora oggi: lo vedo ad esempio con persone che scattano con lo smartphone e a cui consiglio di prendere il controllo del “device” e invece non vogliono farlo perché non si fidano delle proprie capacità.
Gli psicologi la chiamano “Automation bias“, il pregiudizio dell’automazione. Viene definita “la tendenza a dipendere eccessivamente dai sistemi automatici che può portare a risultati che ignorano le decisioni giuste“. Insomma, la sai più lunga dell’automatismo, ma preferisci fidarti di lui, invece che di te stesso!
A mio parere la questione sta tutta qui. L’intelligenza Artificiale come anche gli algoritmi che regolano i vari meccanismi delle nostre fotocamere non sono in grado di essere “creativi”, di avere un “pensiero laterale”. Si limitano a fare al meglio quel che sono chiamati a fare. E va bene così. Ma noi umani non funzioniamo affatto in questo modo, per fortuna. Noi deviamo dalla retta via, noi sbagliamo! E’ l’elogio dell’errore, quello che ha permesso di concepire tecniche come il mosso intenzionale, lo sfocato, o composizioni minimaliste in cui prevale lo spazio negativo.
Nessun automatismo avrebbe potuto concepire simili assurdità.
In altre parole la cosa davvero importante è tenere al guinzaglio gli automatismi, non farsi condurre da loro in modo quasi acritico. Introdurre l’elemento del caso che – per definizione – un automatismo non deve avere. I tecnici si sforzano infatti di ridurre al minimo le possibilità di errore, con risultati eccellenti. I primi sistemi esposimetrici evoluti erano una gran cosa, ma giocoforza dinanzi a zone molto chiare o molto scure tendevano a sovra o sottoesporre. Oggi un processore è in grado quasi di riconoscere il soggetto e dunque di creare un’esposizione che tenga dentro la gamma di luminosità più ampia possibile. Col digitale questo è fondamentale, in quanto le varie “versioni” della foto si ottengono in postproduzione, non in ripresa. Partendo da un file perfettamente equilibrato, tali possibilità creative “ex post” diventano più facili e portano a risultati di maggior qualità.
Dov’è dunque il problema?
Come con la messa a fuoco, il problema vero è che per l’appunto non si può davvero far intervenire il caso: oggi sbagliare richiede un certo talento. Se con la pellicola l’errore era costante, una presenza incombente e sempre possibile, col digitale no. Ma sbagliare “apposta” non è la stessa cosa. Dunque esiste una sola possibilità: escludere gli automatismi, almeno qualche volta. Provare l’ebrezza dell’errore, anche – e soprattutto – involontario.
Molti nemmeno sanno che gli stessi smartphone possono essere “guidati” manualmente, impostando i tempi di scatto o la sensibilità ISO. Ma anche con le fotocamere si può passare alla modalità Manuale, impostare il MF (Manual Focus) e decidere cosa e come fare. Magari alcune foto verranno sfocate (ma potrebbero essere interessanti), altre scure o troppo chiare (chi avrebbe pensato al Low Key o all’HighKey senza simili errori?), ma non importa. L’esposimetro ci darà delle indicazioni, ma noi fidiamoci della nostra esperienza. Sbagliamo. Facciamo di testa nostra. Chissenefrega.
Oltretutto è tanto liberatorio, almeno qualche volta. Ovviamente occorre anche resistere alla tentazione di cancellare subito la foto sbagliata. Quella foto sbagliata potrebbe anche essere il nostro capolavoro, hai visto mai?