Cindy Sherman: sempre un passo avanti

La formazione negli anni Settanta

Nata il 19 gennaio 1954 a Glen Ridge, New Jersey, Cindy Sherman è nota per le sue immagini, in particolare per i suoi autoritratti concettuali, che hanno per protagonisti la società e gli stereotipi sessuali.

Nel 1972 Cindy Sherman si iscrive alla State University di New York (SUNY) a Buffalo e si specializza in pittura, passando successivamente alla fotografia. I primi anni Settanta sono un periodo eclettico per i pittori che lavoravano subito dopo il minimalismo, vivendo la realtà artistica come “non ci fosse più niente da dire [attraverso la pittura]”. Anche per questo sentire comune tra i pittori del periodo, Cindy Sherman sposta la sua attenzione verso la fotografia. Durante i suoi studi, incontra i colleghi artisti Robert Longo e Charles Clough, con i quali co-fonda l’Hallwalls Center for Contemporary Art nel 1974, spazio che continua a funzionare ancora oggi come “hub” dinamico e multi-disciplinare.

Untitled Film Still #21 (1978)

Cindy Sherman si laurea alla SUNY nel 1976 e l’anno dopo, inizia a lavorare al ciclo intitolato Untitled Film Stills (1977–80), una delle sue opere fotografiche più famose. La serie di fotografie in bianco e nero, nel formato 8×10 pollici, vede Cindy Sherman in una varietà di ruoli, stilisticamente rimanda al genere dei film noir e presenta al pubblico un ritratto ambiguo delle donne come oggetti sessuali.

A proposito di questo ciclo, Cindy Sherman ha affermato che la serie riguardava “la falsità dei giochi di ruolo e il disprezzo per il pubblico maschile prepotente, che avrebbe erroneamente letto le immagini come sexy”. Mutando ripetutamente nelle sembianze di vari archetipi femminili, Sherman interpreta personaggi come la pin-up, la sirena la casalinga, la prostituta e la nobile damigella.

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Gli anni ’80 e la maturità artistica

Con il successo della serie Untitled Film Stills, Cindy Sherman si assicura una posizione nel mondo dell’arte di New York, portando la sua prima mostra personale in uno spazio espositivo no-profit, The Kitchen.

Poco dopo, le viene commissionata la creazione di uno scatto per la pagina centrale della rivista Artforum, anche se le immagini di Cindy Sherman vestita di rosa sono ritenute troppo audaci, e quindi respinte, dall’editor Ingrid Sischy. Non si sa se la serie successiva – prodotta tra il 1985 e il 1989 e intitolata Disasters and FairyTales – sia stata per certi versi una risposta al rifiuto ricevuto, ma sicuramente è un lavoro molto più oscuro del suo predecessore. La sua tavolozza cupa e le scene cosparse di vomito e muffa, sono una sfida lanciata agli spettatori, quella di trovare la bellezza nel brutto e nel grottesco.

Cindy Sherman: Untitled #216 (1989)

Durante gli anni Ottanta, Cindy Sherman inizia a utilizzare pellicole a colori, per l’esposizione di stampe molto grandi e per concentrarsi maggiormente sull’illuminazione e sull’espressione del viso. Utilizzando protesi di diverso tipo e quantità generose di trucco, Cindy Sherman si addentra nel mondo del grottesco e del sinistro con fotografie che presentano corpi mutilati e riflettono problemi debilitanti come disturbi alimentari, disagi psichici, fino a giungere alla rappresentazione della morte.

La serie successiva di Cindy Sherman (1989/1990) affronta il tema sacro del tableau artistico. History Portraits presenta ancora una volta la Sherman come modella, ma questa volta assume il mood delle “protagoniste femminili” più famose della storia dell’arte europea, tra il XV e il XIX secolo. Vivendo nel Vecchio Continente al momento della creazione della serie, Cindy Sherman trae le principali ispirazioni dai grandi musei occidentali.

Il 1992 è la volta della serie intitolata Sex Pictures, un progetto che vuole essere la risposta alla censura dell’arte di Robert Mapplethorpe e Andres Serrano. In Sex Pictures, Sherman sostituisce la propria figura con quella di un manichino. Con l’intenzione di scioccare e scandalizzare il pubblico, le immagini presentano primi piani di scene di sesso tra bambole con genitali protesici.

Nel 1997, Cindy Sherman passa dalla fotografia d’arte al cinema, aiutata in parte dal marito, il regista Michel Auder, dal quale divorzierà nel 1999. Il suo esordio alla regia è con il thriller Office Killer, caratterizzato da diverse sequenze splatter. Un anno dopo la Sherman interpreta se stessa in un cameo nella commedia di John Waters Pecker.

Il terzo millennio e il mondo della moda

L’apertura del nuovo Millennio vede Cindy Sherman truccarsi da clown per una serie di immagini pubblicate nel 2004 con il titolo Clowns, in cui la fotografia digitale le permette di creare sfondi e montaggi cromaticamente sgargianti per numerosi personaggi. Per questa serie, Cindy Sherman si è fotografata indossando maschere, per rappresentare gli abissi emotivi che una maschera può generare. È un lavoro che si ricollega ai temi, ricorrenti nella sua opera, dei costumi, mantenendo un effetto shock spiazzante, come già era successo nel decennio precedente.

Cindy Sherman: Untitled #424 from Clowns (2003-2004)

Collocati in fondali opulenti e presentati in cornici decorate, i personaggi della serie (senza titolo) Society Portraits del 2008 non si basa su nomi specifici, ma la Sherman presenta le sue donne in modo del tutto familiare, impegnate nella loro lotta con i modelli di bellezza che prevalgono in una cultura ossessionata dagli standard giovanili e di status.

Nella sua carriera, tuttora attiva, Cindy Sherman è anche stata protagonista di diverse collaborazioni fashion. La prima è arrivata nel 1983, quando fu scelta dalla fashionista Dianne Benson per una campagna pubblicitaria per il suo primo negozio. Per l’occasione la Sherman scelse diversi capi tra i quali i reggiseni “a cono” di Jean Paul Gaultier, che sarebbero poi stati resi famosi dal Blonde Ambition Tour di Madonna. Le immagini create da Cindy Sherman, tuttavia, non erano certo i tipici scatti patinati che ci si potrebbe aspettare da un servizio moda. Al contrario, la Sherman scelse di interpretare un personaggio con un viso bruciato dal sole, una postura goffa e l’iconico reggiseno di Gaultier indossato… al contrario.

Sempre con questo spirito “underground”, nel 1994 Cindy Sherman inizia a collaborare con la maison Comme des Garçons di Rei Kawakubo. Nella campagna appare – insieme a bambole e diverse protesi – nei panni dello stilista, con un trucco pesante e teatrale, ribaltando l’idea della top model con uno stile surreale. Nel 2008 è la volta di una serie di fotografie per Balenciaga in cui si trova a impersonare diversi personaggi, tutti per sovvertire il patinato universo fashion.

A differenza della maggior parte della fotografia di moda, il lavoro di Sherman non intende essere raffinato o porre l’accento sull’abbigliamento: le sue campagne la vedono impegnata a raccontare storie secondo il suo personalissimo stile dissacrante e anti-glamour.

Oltre alle collaborazioni con i grandi brand della moda, il lavoro individuale di Sherman ha anche esplorato l’industria fashion, dileggiando le sue convenzioni. La prima volta è stato con la serie Cover Girls del 1975, in cui riprese le copertine di alcuni magazine di moda come Vogue e Cosmo, per interpretare a modo suo le copertine. Nel 1993 crea uno shooting per Harper’sBazaar e poi ancora nel 2010 per la stessa rivista, quando prende di mira le influencer dello street style e le loro immagini postate sui social media.

La poetica “un passo avanti” di Cindy Sherman

La grande trovata di Cindy Sherman è stata, in primis, quella di scegliere se stessa come soggetto principale di ogni suo scatto, interpretando tutti i suoi personaggi, dai lussureggianti paginoni centrali che seguirono Film Stills nel 1982, alle Broken Dolls bizzarramente sessualizzate degli anni ‘90.

Non c’è da stupirsi, quindi, che il lavoro di tanti artisti di oggi si sia ispirato alla poetica della Sherman che include il gioco di ruolo, la natura dell’identità, gli stereotipi sessuali e culturali, la (presunta) perfezione fisica promossa dalla televisione, dai film e dalla pubblicità.

Cindy Sherman: Untitled #546 (2010-2012)

I cambiamenti portati dalla fotografa statunitense sono sempre stati un passo avanti rispetto alla tecnologia. La sua caleidoscopica indagine sull’essenza dell’identità personale e, per estensione, della società, si è basata sul proprio genio non sulla tecnologia digitale, ora imperante. Il concetto di fluidità tanto attuale oggi – per lei uno stratagemma intellettuale ma anche artistico – per Cindy Sherman è sempre stato un tratto della sua arte, quasi sempre comunicante attraverso degli avatar.

Cindy Sherman ha aperto diverse porte. È stata la prima trendsetter in termini di personaggi distorti da un selfie. In origine i pittori dipingevano autoritratti, poi sono arrivati gli autoscatti fotografici, ora ci sono migliaia di alternative proposte da un semplice smartphone, alternative che gli artisti più giovani stanno portando avanti, scelte estetiche che non sarebbe state così facili senza il lavoro di Cindy Sherman.

Un nuovo concetto di ritrattistica

Destrutturando e reinventando la ritrattistica, che di per sé era un genere morto a metà degli anni Settanta, la Sherman ha influenzato non solo i fotografi ma anche i pittori, gli artisti di performance e i video-maker.

Diventando protagonista della propria arte, inoltre, ha spinto una generazione di artisti più giovani a esplorare le proprie identità attraverso una vasta gamma di possibilità tecnologiche.

Cindy Sherman: Self portrait with Sun Tan (2003)

L’incredibile abilità di Sherman come mutaforma perenne è forse il suo principale contributo all’arte contemporanea. Un’eredità meno appariscente, ma ugualmente importante, riguarda il modo in cui il suo lavoro ha offuscato in modo permanente il confine tra arte e fotografia. L’opera di Cindy Sherman, a partire dalla sua prima mostra personale nel 1981, ha contribuito a determinare un cambiamento di portata sismica nel dibattito storico-artistico sulla fotografia vista come arte “alta”.

Sebbene ci siano molti fotografi innovativi venuti prima di lei, da Man Ray a Diane Arbus, tutti sono stati considerati fotografi. Il loro status non è mai stato messo in discussione. Grazie (anche) alla Sherman, fin dai primi anni ‘80, la fotografia invece ha iniziato a essere considerata sempre più vicina alla pittura.

Cindy Sherman: Untitled #458 (2008)

Neanche a dirlo l’artista più schiva del mondo (letteralmente e in senso figurato), Cindy Sherman si rifiuta di prendersi il merito delle sue innovazioni. E alla domanda “che cosa ha scoperto attraverso il suo lavoro?” ha risposto:

“penso che mi abbia fatto capire che tutti abbiamo scelto chi siamo in termini di come vogliamo che il mondo ci veda”.

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Last update was on: 4 Ottobre 2023 20:32

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