
Spesso mi viene chiesto come valutare, dal punto di vista esposimetrico, una fotografia: s’intende, già scattata. Insomma, come valutare di aver effettuato, sul campo, le scelte giuste e di non avere magari peggiorato le cose in postproduzione?
In genere rispondo sempre che, in effetti, abbiamo la possibilità di vedere quella che è (da ogni punto di vista) la “fotografia di una fotografia“, cioè l’istogramma. E se la fotografia originaria ci confonde a causa del soggetto, dei colori, della composizione, l’istogramma è una “fotografia” più precisa e scientifica.
Lo ammetto: è un po’ (parecchio) meno affascinante!
In effetti l’istogramma rappresenta, su ascisse e coordinate di un normale piano cartesiano, ogni singolo pixel della nostra fotografia, solo slegato dalle forme del soggetto e reso come pura quantità di luce.
A seconda della sua collocazione possiamo sapere se quel punto è scuro (se è più verso sinistra) oppure chiaro (se più verso destra), e di quanto.
Inoltre, a seconda dell’altezza della curva, abbiamo la possibilità di vedere quanti pixel, nella foto, appartengono a quel determinato valore. Ad esempio è evidente, nell’istogramma sopra, che la foto è scura (la curva è spostata a sinistra) e che il grosso dei pixel si colloca proprio nell’area più densa, quasi “nera”.
Ipoteticamente, inoltre, il grigio di cui è riempito l’istogramma rappresenterebbe il numero di pixel della foto (ad esempio, 20 milioni), ma è sottinteso che parliamo di qualcosa di teorico. In verità a noi interessa soprattutto la forma complessiva dell’istogramma, che ci permette di valutare la nostra fotografia in modo efficacissimo e preciso.
Una breve nota prima di andare avanti: l’istogramma è visualizzabile anche in anteprima sul display della fotocamera, cosa che ci permette di scattare in modo più responsabile. Inoltre, si può controllare l’istogramma anche subito dopo lo scatto, a ulteriore verifica.
Per esperienza, però, questi istogrammi sono solo indicativi.
Fanno riferimento al piccolo jpeg generato dalla fotocamera in allegato al file RAW (se si scatta in RAW, com’è sempre consigliabile) e che serve appunto per visualizzare la foto stessa: il formato grezzo, infatti, è solo un “grumo di pixel” che la macchina non può utilizzare direttamente. Dunque l’istogramma della fotocamera – già piuttosto piccolo – è anche poco preciso. Comunque aiuta, e molto.
Ma andiamo avanti. Diciamo che apriamo la nostra foto in un software tipo Lightroom di Adobe (ma ce ne sono tanti altri). La cosa buona è che questi software ti mostrano l’istogramma scisso nei tre canali RGB, cosa che consente di capire anche se la foto è bilanciata o meno dal punto di vista cromatico. Guarda la foto qui sotto.
Come puoi intuire è praticamente monocromatica, ma in realtà nel verde non c’è solo il verde, ma un mix di altri colori, come il blu. Imparare a fare queste distinzioni ci aiuta tra l’altro a effettuare un’eventuale conversione in Bianco e Nero di qualità, visto che con il sistema degli “slider” potremo assegnare a ogni colore un dato valore di grigio. Ma pensare che il verde sia solo verde può farci sbagliare alla grande.
Possiamo notare che l’istogramma del verde è più alto a destra, il che vuol dire che questo colore prevale nelle zone luminose, mentre nelle aree più scure e in ombra, al verde si sovrappone il blu, come dimostra il picco a sinistra. La foto, nel suo complesso, è equilibrata dal punto di vista della distribuzione delle luminosità (d’altra parte è molto morbida), ma ha ovviamente (e volutamente) un totale sbilanciamento cromatico.
Un altro esempio ancora più chiaro.
In questo caso, come vedi, le aree illuminate dal sole sono “calde”, e infatti il rosso e il verde (insieme danno il giallo) sono spostati a destra, mentre a sinistra, nelle aree in ombra, prevale il blu. All’estrema destra c’è un vuoto: significa che mancano le aree molto chiare, ma questo è normale trattandosi di una foto complessivamente “scura”. Si potrebbe ovviare grazie alle curve (magari lo vedremo in un altro post), ma è una scelta del fotografo.
Se ragioniamo in termini di aree di colore, a volte è più semplice esercitarsi su istogrammi “monocromatici”, presenti in tutti i software. Qui ti faccio degli esempi ripresi dal software gratuito (un semplice browser) FastStone.
La foto qui sopra è un classico esempio di immagine in cui prevalgono nettamente le aree chiare, com’è ovvio, visto che gran parte della scena è sostanzialmente bianca. Infatti abbiamo un picco tutto a destra (si potrebbe schiarire ancora la foto facendo in modo che l’attacco dell’istogramma tocchi il bordo a destra.
Leggendo l’istogramma, anche senza guardare la foto, sapremmo che presenta un’ampia zona molto chiara con dei dettagli più scuri, in tono grigio medio, ad eccezione del tronco in primo piano a cui si deve il piccolo picco (scusa la cacofonia) a sinistra.
Questo a sottolineare che non è detto che – come si legge spesso online – l’istogramma debba essere una curva perfettamente centrata: anzi, in genere una simile foto è piatta e priva di contrasto. Teoricamente, se possibile, in fase di ripresa occorrerebbe puntare a ottenere un istogramma il più neutro possibile o, meglio, sbilanciato (senza esagerare) a destra.
Un istogramma equilibrato è ovviamente desiderabile nei casi di foto in cui la morbidezza delle luci è fondamentale (vedi foto qui sopra). L’istogramma è spostato a sinistra, perché la scena è in ombra , ma la foto nel suo insieme è equilibrata. L’istogramma si abbassa molto sul lato destro, ma arriva comunque a toccare il bordo.
Facciamo un esempio molto più estremo.
In questa foto potresti quasi chiederti: oddio, che fine ha fatto il mio istogramma!? In realtà la foto presenta un’ampia zona del tutto nera e senza dettaglio (picco strettissimo all’estrema sinistra) e un’ampia zona chiara (picco strettissimo all’estrema destra). Una foto dal contrasto esagerato, come richiesto dal soggetto, giocato sulla fusione tra il cavaliere e gli alberi in silhouette.
Una situazione simile, ma meno drastica, è quella della foto sopra: un’area buia molto grande che però non diventa mai “nera. Anche nelle ombre più scure, come nelle luci più chiare, è bene ci sia sempre un minimo di dettaglio. Ovviamente l’istogramma manca del tutto del lato destro, ma trattandosi di una foto decisamente “buia” è normale.
Non pretendo di esaurire un argomento così vasto e articolato con queste brevi note, che però spero ti siano utili a comprendere l’importanza dell’istogramma, che va sempre consultato in fase di postproduzione per capire da dove si parte e dove si vuole arrivare.
Non occorre che si arrivi a un istogramma “perfetto”, è sempre una questione di scelte, l’importante è che siano consapevoli, e non errori involontari. L’istogramma ti aiuta a ottenere quel che ti eri prefisso in fase di ripresa, e non va quindi considerato come un limite, anzi è una grande possibilità. Soprattutto, quando non si riesce a capire bene “cosa non va” in una foto, ti rivela ogni arcano della ripresa, dalle dominanti nascoste ai “buchi” nelle luci e nelle ombre.
Insieme alle curve permette davvero di avere il controllo totale delle nostre fotografie.