
La creatività, sosteneva ironicamente Albert Einstein, consiste nel nascondere le proprie fonti.
Insomma, più che “inventare” le cose, “rielaboriamo” quel che è già noto e lo miglioriamo. O, nel caso della fotografia e dell’arte in generale, lo rendiamo più personale, più adatto a esprimere le nostre emozioni, idee e sensazioni.
Perciò non star lì a pensare di doverti inventare chissà che: studia molto, visita molte mostre, leggi molti libri di fotografia, osserva, indaga, comprendi.
Poi scatta le tue foto stando sulle spalle di chi ti ha preceduto, come hanno fatto tutti (ma proprio tutti) prima di te.
E se ti chiederanno a chi ti sei ispirato rispondi sempre “Oh, beh, son cose che mi sgorgano dall’anima”, o una cosa colorita del genere. Nascondi le tue fonti!
Ovviamente sto esagerando, ma non credere che nella realtà le cose vadano poi tanto diversamente.
Durante la mia carriera ho inventato diverse “cose” fotografiche e sviluppato tecniche che consideravo assolutamente innovative, mai viste prima, pensavo.
Non a caso i miei amici mi chiamano “MacGyver”, sebbene in verità sia un disastro con il fai-da-te. Però ho molta inventiva, questo si. Comunque, è sempre stata una delusione quando, magari per caso, scoprivo che la mia invenzione era già stata inventata da qualcun altro!
Magari non proprio uguale, ma simile.
Il fatto è che alla fine ci muoviamo sempre nell’ambito di conoscenze e competenze che abbiamo acquisito appunto leggendo libri, studiando riviste, visitando mostre, ascoltando conferenze e presentazioni, o girovagando su Internet.
Questa è la cultura, e da questa traiamo la nostra ispirazione.
Questo non significa affatto che non si possa (e si debba) avere una propria personalità artistica: solo non prendiamocela se le nostre foto così originali e innovative somiglieranno a quelle di qualcun altro.
Spesso pensiamo che siano del tutto nuove solo perché ancora non abbiamo scoperto chi ne ha fatte dello stesso tipo. Ma in qualche angolo del mondo è altamente probabile esista qualcuno che ha avuto la stessa idea.
Nessun pittore del passato e del presente può vantarsi di aver inventato da zero una corrente artistica del tutto nuova, e pensa a quanti casi di “plagio”, anche involontario, i tribunali debbano esaminare in campo musicale.
Ascolti una canzone, ti sembra di dimenticarla e anni dopo ne scrivi una che pensi sia una novità, e che invece comprende quel motivetto ascoltato tempo prima.
Secondo gli scienziati cognitivisti, la memoria è nel suo complesso inconscia: meno dell’uno per cento (uno per cento!) raggiunge il livello della consapevolezza. Tu studi cento cose e te ne ricordi solo una. Triste, eh?
Ma quel 99% rimane comunque dentro di te, in un archivio profondo, e ogni tanto qualcosa riemerge. Non a caso gli stessi scienziati ci avvertono che la creatività funziona meglio se si lascia fare all’inconscio, cioè all’intuizione, che “pesca” in un bacino molto più ricco.
Ti sto dicendo che hai sempre copiato, allora, anche se inconsapevolmente?
No, no, ci mancherebbe. Ma anche si.
Anzi, mi sa proprio di si.
Vedi, il fatto è che in campo artistico il copiare è un atto considerato del tutto negativamente, il che è assurdo. Un tempo (e in alcuni casi ancora oggi) gli allievi delle scuole d’arte passavano intere giornate nei musei a fare le copie delle grandi opere di artisti del passato.
Nei miei corsi di fotografia, un tempo significativo è sempre dedicato allo studio e alla replica delle foto di grandi fotografi.
Il pittore Alexander Cozens, che ideò il concetto di Sublime – inteso come massima espressione della bellezza nell’arte – in un suo saggio del 1785, sosteneva che questo era legato all’immaginazione, che si nutre delle esperienze avute e delle conoscenze acquisite nel corso della vita da parte dell’artista.
Non è invenzione pura, ma capacità di rielaborare creativamente il nostro vissuto.
Le solide basi date dalla pura e semplice copiatura (non imitazione, ma copia), dunque, diventavano fondamentali per creare un percorso personale.
Nuovo o meno poco importa: l’importante è che sia tuo!
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Ti faccio un esempio calzante: il concetto di creatività in Occidente e in Oriente è molto, molto diverso.
Da noi, sei creativo solo se dimostri di saper inventare qualcosa di totalmente nuovo (o, almeno, di non ancora brevettato!).
In Giappone o in Cina, invece, quasi tutte le arti sono rigidamente regolate: il disegno, la calligrafia, anche creare composizioni di fiori o servire una tazza di the, tutto dev’essere fatto in un modo che è sempre lo stesso, da secoli.
Sembrerebbe la morte di ogni creatività personale, secondo i nostri parametri. Dov’è la libertà dell’artista?
In verità, però, è impossibile trovarsi sempre nella stessa condizione di chi ci ha preceduto.
Il contesto sociale, i materiali, i tempi, tutto cambia col passare del tempo: la creatività, allora, per gli artisti orientali, consiste nel fare in modo di realizzare le cose nel modo previsto nonostante le condizioni che cambiano.
E non a caso le industrie giapponesi hanno inizialmente copiato da quelle europee, ma migliorando il prodotto grazie a questo tipo di creatività, finendo per imporsi sul mercato: prima era tutto un fiorire di Contax, Leica ed Exakta, oggi di Nikon, Canon, Pentax…
Anche noi fotografi dobbiamo rispettare delle norme molto rigide, dovute a quasi due secoli di attività fotografica e sottostiamo ai limiti legati alla tecnologia: esposizione, composizione, leggi dell’ottica, e così via.
Non devi inventare qualcosa di nuovo, insomma, devi invece saper realizzare una fotografia che sia personale e che dica qualcosa nonostante questi limiti e nonostante sembri che tutto sia stato già fotografato (e forse è davvero così).
Ma puoi infrangere le regole e sfruttare certi limiti solo se conosci la tua arte in modo approfondito, e solo se sai come altri fotografi, prima di te, si sono comportati.
Per questo, copia.
Stavolta consapevolmente, per scelta. Alimenta il tuo archivio inconscio, buttaci dentro tonnellate di cose belle e interessanti. Riempi la sorgente.
Prendi delle foto che ti piacciono, famose o meno, vanno bene anche pubblicità tratte da riviste, immagini viste sui libri, o fotografie di qualche amico che ti hanno ispirato, e rifalle. Letteralmente.
Eccomi proprio sul “set” di una famosa foto di Cartier-Bresson. Mi sono appostato dove stava lui, ho fatto un po’ di prove, e alla fine l’ho “copiata”. Un esercizio abbastanza emozionante, non facile, e certamente non fine a sé stesso.
Mettiti nei panni dell’autore, e prova a replicare i suoi gesti. Ovviamente, non potrai utilizzare esattamente gli stessi elementi, ma cerca di ricreare la stessa luce, la stessa inquadratura, la stessa atmosfera. Scoprirai presto quanto è difficile.
Questo ti insegnerà ad essere attento, a studiare la foto, a cercare di entrarvi dentro, ad apprendere la tecnica. Ne uscirai spesso colmo di ammirazione.
Col tempo, avrai anche imparato molti modi diversi di fotografare, da cui vorrai liberarti, oppure che vorrai rielaborare.
Materiali per costruire per bene le tue foto, immagini in cui non conterà più l’assoluta originalità, che spesso è un mito, ma la capacità di comunicare agli altri ciò che provi o che pensi. Questa è la vera magia.
Copiare non è male, se sai come farlo.
E se sei sempre onesto, soprattutto con te stesso: una copia è un esercizio, non un trofeo da esibire online vantando le proprie capacità.
Nascondere le fonti va bene, ma solo se sei Einstein!