
Se state cercando una mostra fotografica fuori dal comune, oltre gli schemi, con una buona dose di fantasia e spiritualità, non potete mancare l’appuntamento con David LaChapelle, in mostra al MUDEC di Milano fino all’11 Settembre 2022.
“I Believe In Miracles” – questo il titolo della mostra – è il risultato di una ricerca continua che dura da tutta la vita. Prodotta dal Gruppo 24Ore e promossa dal Comune di Milano, la mostra comprende oltre 90 opere, tra scatti in grande formato, scatti site specific, video-installazioni e alcune nuove produzioni.
La mostra presenta un David LaChapelle inedito: sempre fedele a sé stesso e alla sua cifra stilistica, ma proiettato sui temi dei nostri tempi, che racconta con una capacità visionaria davvero unica. Un percorso espositivo che mette l’animo umano al centro dell’indagine.
All’interno della mostra, troviamo molti concetti che esplorano i regni del non fotografico, dalla conservazione della natura alle relazioni con la modernità, fino alla riflessione sulla vita dopo la morte.
Come spiegato dai curatori della mostra, Reiner Opoku e Denis Curti,
“il percorso non ha, volutamente, un andamento lineare […] È un continuo entrare e uscire dalle contraddizioni della nostra esistenza: dal miracolo desiderato all’inferno della contemporaneità.”
Chi è David LaChapelle
David LaChapelle è una delle voci più influenti del panorama artistico internazionale, nonché icona della cultura pop.
Nato in Connecticut nel 1963, frequenta la Scuola d’Arte del North Carolina, dove studia originariamente come pittore, per poi sviluppare una sua personale tecnica di colorazione analogica dei negativi. Non ancora ventenne, si trasferisce a New York ed espone alla Gallery 303, dove viene notato da Andy Warhol, che lo assume come collaboratore della rivista Interview.
La sua padronanza del colore e la capacità di creare composizioni uniche lo pongono al centro del dibattito fotografico internazionale, mettendone in discussione i metodi fino ad allora applicati. Il suo linguaggio provocatorio lo consegna ben presto alla fama: nel 1991, infatti, Il New York Times lo incorona come colui che aprirà la strada alle nuove generazioni di fotografi e artisti.
Negli anni, David LaChapelle è diventato uno dei fotografi più pubblicati al mondo. Il suo primo volume, Land, è del 1996, seguito da Hotel LaChapelle nel 1999, Heaven to Hell nel 2006 e molti altri. Nella sua carriera LaChapelle ha anche curato numerosi videoclip musicali e diretto il documentario Rize, premiato al Sundance Film Festival.
Oltre ai progetti già citati, David LaChapelle è noto anche per i suoi iconici ritratti delle celebrità. Hanno posato per lui personaggi del calibro di Madonna, Angelina Jolie, Benicio Del Toro, Marilyn Manson, Elizabeth Taylor, Michael Jackson, Leonardo DiCaprio, Eminem, Lady Gaga, David Beckham e molti altri.
Dal 2006 vive in una fattoria biologica alle Hawaii, scelta che ha motivato col bisogno di staccarsi dalla vita frenetica che il suo lavoro impone.

Lo stile di David LaChapelle
David LaChapelle è tra i fotografi contemporanei più riconoscibili al mondo, ma per le sue scelte a volte estreme, è stato spesso considerato ripetitivo. Tuttavia, la sua grandezza sta proprio qui: nel sapersi rinnovare senza mai rinunciare al proprio modo di essere. La forza delle sue foto sta nei contrasti: scene bibliche reinterpretate in chiave moderna, modelle che posano accanto a edifici distrutti, corpi nudi di ogni forma e colore, portatori di messaggi universali.
Il progetto di questa mostra vuole essere qualcosa di più del semplice ritrarre il declino del mondo moderno. L’artista si propone come guida, mostrando ancore e punti di riferimento ai quali aggrapparsi.
«Oggi il mondo sta andando in pezzi – afferma LaChapelle – il nostro compito è cercare di rimetterlo insieme, liberandoci dal materialismo e dall’ansia, lottando con la fede attraverso la creazione, sempre».
I Believe In Miracles: la mostra
Nel caso di questa mostra, è impossibile parlare di un vero e proprio percorso espositivo.
Si tratta infatti di un’esperienza in divenire, caratterizzata da grandi nuclei tematici, che invitano alla riflessione. A partire dal titolo scelto per l’esposizione, è subito chiara la posizione dell’artista.
«Credere nei miracoli – affermano i curatori Curti e Opoku – non significa delegare a qualcun altro scelte che spettano a noi; equivale piuttosto a definire un impegno preciso per costruire un processo di intenzioni. Se è vero che l’arte è un investimento sull’umanità, allora bisogna continuare a raccogliere e costruire le trame di un mondo possibile, leggere e proporre il nostro tempo come un atto di consapevolezza. E tutto questo è contenuto nell’arte, perché senza quella coscienza le immagini non valgono nulla.»
La mostra è introdotta dalle opere su vetro, chiaramente ispirate alle vetrate delle cattedrali gotiche, che guidano il visitatore verso le prime opere su carta: The Holy Family with St. Francis (Hawaii 2019) e The End of Battle (Hawaii 2015), nelle quali l’artista conduce l’osservatore verso un mondo in cui natura, bellezza e spiritualità possano convivere.
Poco più avanti, con 16 metri di lunghezza per 4 di altezza, si trova Seismic Shift. Quest’opera immensa racconta un’ipotetica tragedia, causata da un terremoto, che colpisce il Broad Contemporany Art Museum di Los Angeles. I più grandi artisti sono radunati in un’unica stanza del museo, intorno tutto è distrutto, a simboleggiare l’urgenza di tornare a rispettare la Terra.

A seguire, un’enorme galleria di ritratti, che strizza l’occhio alla cultura pop, tanto cara a LaChapelle. Presentati come poster murali, questi ritratti sembrano dei veri e propri set cinematografici e ritraggono alcuni tra i molti personaggi dello spettacolo che LaChapelle ha fotografato, durante la sua carriera. Da Madonna a Britney Spears, da Lady Gaga ad Angelina Jolie, passando per Muhammed Ali, Elizabeth Taylor, David Bowie e Kim Kardashian, l’artista riflette sulla transitorietà della fama e dello status sociale.

Segue la serie Land Scape, nella quale LaChapelle invita alla riflessione sul consumo del suolo.
La presenza umana nel mondo è subordinata al rispetto della natura e, per questo, le risorse devono essere usate in modo consapevole. Le figure umane spariscono progressivamente, in favore dei luoghi. Quello che sembra il risultato di un abile lavoro di post produzione, è in realtà un lavoro artigiano. Per questi scatti, infatti, LaChapelle ha utilizzato dei modellini in scala di impianti petroliferi, insieme a pezzi di computer, cannucce e bigodini.
Di grande impatto visivo è anche il trittico Aristocracy, costruito con dei modellini, utilizzando lo stesso criterio della serie Land Scape (sembra post produzione, ma non lo è). Gli aerei sono persi tra cielo e terra e girano confusamente su loro stessi, così come gli uomini abitano il mondo, affannandosi ad accumulare ricchezze, senza sosta.
Passando attraverso opere che preannunciano la catastrofe, come I’ll spend the end with you, Death by Hamburger, All U Can Eat e I’ll Buy a Big Car for Shopping, si arriva alla serie Deluge e After the Deluge, entrambe ispirate al Diluvio Universale della Cappella Sistina.
Deluge parte dall’idea che la vita stia giungendo alla fine, ma noi uomini siamo qui, per sostenerci in mezzo al caos. Il diluvio rappresenta la perdita di tutto ciò che è materiale – compresa la salute – e il letto di morte è l’ultima possibilità di redenzione. A quest’opera segue After the Deluge, e anche qui il richiamo alla spiritualità è fortissimo. Non solo la scelta del tema, ma anche l’ambientazione è fortemente evocativa. Il diluvio sommerge una Chiesa e i sopravvissuti sono quasi tutti in preghiera o colti da una visione ultraterrena. Le candele sono accese, la luce entra dalle vetrate, quasi a voler simboleggiare la presenza di Dio fra gli uomini.

Il percorso della mostra continua con le opere ispirate all’Antico Testamento e al libro dei Salmi. Qui, i colori si fanno più tenui e lo stile dell’artista si fa più intimo.
Il trittico successivo è quello di Revelations, ritratto della società contemporanea instabile e angosciata, in uno scenario apocalittico dove però è comunque presente una via di speranza. LaChapelle lavora a questo trittico durante il lockdown. La foto al centro, è stata realizzata nell’autunno del 2019, come parte di un progetto filmico commissionato da Daphne Guinness. L’idea dei due anziani che si baciano, in un viale cittadino abbandonato, nasce da una profezia biblica sulla fine del mondo. Le altre due immagini, invece, sono state ispirate dalla dipendenza dalla tecnologia e l’individualismo, che la pandemia ha accentuato. Per queste due foto, il riferimento biblico è una Lettera a Timoteo in cui si preannunciano giorni difficili (Timoteo, 3:1-5).

Passando attraverso le connessioni uomo-natura della serie New World, si arriva alla serie Jesus Is My Homeboy, nella quale famose scene bibliche vengono rivisitate in chiave moderna.
A seguire, gli scatti con Kanye West che interpreta la Passione di Cristo e a quelli di Courtney Love, che inscena una versione della Pietà di Michelangelo.

Conclude il percorso espositivo, la serie Sculture Garden, per la quale LaChapelle si ispira all’opera della pittrice Georgia O’ Keeffe, durante il suo soggiorno alle Hawaii.
«Quando ho capito che i posti ritratti dalla O’ Keeffe erano in gran parte gli stessi in cui mi piace passare il tempo – afferma LaChapelle – ho deciso di fotografare alcuni dei suoi soggetti per renderle omaggio».
Da questa mostra si esce con un senso di inadeguatezza misto a un forte bisogno di infinito. David LaChapelle scava nell’animo umano con immagini ai limiti dell’assurdo (per la nostra percezione).
Le sue foto non sembrano concetti, ma ricordi che fluiscono nella nostra mente in modo disordinato. Il miracolo c’è, ed entra nel quotidiano non più in punta di piedi, come siamo abituati a pensare, ma sbattendo forte la porta.
Silvia Gerbino