
Nel Medioevo non esisteva la fotografia, purtroppo. Per questo quelli del Medioevo vengono definiti “secoli bui” (scherzo).
In verità, c’è qualcuno che sostiene l’ipotesi di una scoperta antichissima della fotografia, citando la storia del monaco Panselenio, da alcuni ritenuto il vero scopritore della Camera Obscura e della fissazione delle immagini fornite dalla medesima.
Panselenio visse nel quinto secolo ed ebbe i natali in Tessalonica; la sua scoperta venne però realizzata in uno dei monasteri del monte Athos. Leggenda su leggenda, si racconta che forse Daguerre abbia fatto una gita al monte Athos e che fortunosamente gli sia caduto in mano un prezioso manoscritto del 1032, in cui un frate del convento di S. Dionigi descriveva dettagliatamente la scoperta di Panselenio.
Hai visto mai che da qualche parte si trovino delle lastre fotografiche scattate da un monaco templare a Gerusalemme?
Voglio dire: i Templari sono stati accusati di tutto, e ritenuti detentori di indicibili segreti, dunque se qualcuno conosceva questa antica forma di fotografia, non poteva che appartenere all’Ordine!
Ma non vorrei scrivere inesattezze ed essere debitamente redarguito dal mio amico Vincenzo Valentini, che dei Templari è uno dei massimi esperti in Italia. Sta di fatto che l’originalità di questo ordine religioso-militare (e già questo sembra un ossimoro) è certamente qualcosa che colpisce noi moderni, e non a caso i Templari sono diventati spunto per leggende, romanzi, film.
Ma, anche se la fotografia allora ufficialmente non esisteva, e ovviamente non risulta agli atti (per ora) che mai un Templare abbia scattato una fotografia. Tuttavia, c’è un aspetto specifico dell’Ordine che mi ha sempre colpito moltissimo, e che spero di non interpretare in modo completamente errato.
Potrei definirlo spirito di corpo, ben rappresentato dal sigillo che riporta due cavalieri templari in sella a un unico cavallo.
Secondo diverse interpretazioni, questa immagine rappresenterebbe la dualità della vita (anima e corpo, spirito e carne), o anche la dualità dell’ordine stesso, composto da monaci che erano anche guerrieri. Ma poi ci sono molte altre spiegazioni meno “logiche” e più esoteriche, per la gioia dei romanzieri. Però a me l’immagine dà l’idea di una forma di collaborazione che va oltre l’usuale e ben rappresenta il senso di fratellanza che legava i monaci.
Ma lasciamo la Storia e i suoi misteri e veniamo finalmente alla fotografia.
Hai mai visto due fotografi metaforicamente in sella allo stesso cavallo (direi cavalletto se non sembrasse ridicolo)? Più facile incontrarne due che cercano di fregarselo vicendevolmente, il cavallo metaforico. O anche il cavalletto (o treppiedi), se non altro per collocarci il proprio, dopo aver visto una ghiotta opportunità fotografica.
Peccato, perché farsi aiutare, collaborare, sentirsi parte di qualcosa di importante, battersi tutti assieme per uno scopo potrebbe dare nuovo vigore e nuovo significato all’attività fotografica.
Ne parlo proprio in questi giorni in cui sono aperte le iscrizioni al nostro corso “Smettere di Essere Principiante”.
Sin da subito, lo scopo che ci siamo prefissi con il corso era di creare uno “spirito di corpo”, invitare a stare in due (o tre, quattro…) sullo stesso cavallo. A guardarsi le spalle vicendevolmente, per così dire, al fine di evitare delusioni.
O diciamo sulla stessa barca, per rispetto del povero animale.
La fotografia è generalmente un’attività individuale e solitaria, sebbene sia piacevole ogni tanto uscire a fotografare con gli amici. Però tutte le attività prima e dopo possono – e forse debbono – essere condivise. Non si cresce come fotografi se si resta rinchiusi all’interno del proprio mondo.
Occorre il confronto, il dialogo, servono i consigli, le dritte. Serve che qualcuno ti indichi le strade possibili, che ti aiuti a rialzarti quando cadi. E se perdi la tua cavalcatura, qualcuno che ti afferri e ti faccia salire sulla sua sella.
Non a caso sin da subito, già alla metà del XIX secolo, sono nati i Circoli Fotografici. Non servivano tanto a trovare compagnia per andare a fotografare assieme, quanto per condividere informazioni tecniche, approfondire la conoscenza della nuova arte e per mostrare i propri lavori, sentire i commenti, farsi dare preziosi suggerimenti.
Questo aspetto sociale della fotografia – ancora presente, sia chiaro – è però andato troppo scemando negli ultimi tempi. Si va sempre di corsa, il tempo è poco, lo si spende per fotografare, non certo per fare convivio con altri fotografi. E così si perdono preziose occasioni.
Molti sostituiscono i circoli fotografici con Internet, pensando che un forum online sia la stessa cosa. Non lo è. I giudizi e i commenti sul web sembrano sempre troppo duri, diretti, freddi, poco umani. Vuoi mettere guardarsi negli occhi?
Come ricreare quella certa atmosfera rimanendo comunque sulla Rete?
Confesso che all’inizio non lo sapevamo bene nemmeno noi. Poi abbiamo cominciato con il gruppo Facebook del corso, con i webinar, con il rapporto diretto via email. Una grande quantità di lavoro in più, ma anche un modo per restare in contatto con le persone, nonostante la distanza, per sentirsi comunque parte di “qualcosa”.
Niente di tutto questo può sostituire al 100% il rapporto diretto, di persona, ma certo offre un approccio molto più “caldo” e soprattutto paritario. Infatti, pur essendo l’autore del corso, debbo dire che il corso mi ha dato e insegnato tanto, grazie ai partecipanti.
Posso affermare che il mio stesso approccio alla fotografia è cambiato da quando è partita la prima fase di “Smettere di Essere Principiante”, e ovviamente ne sono grato ai molti che hanno dedicato tempo e passione al corso, nel tentativo (che in gran parte ha avuto successo) di diventare fotografi più consapevoli e sensibili.
Fare sinergia è davvero fondamentale.
Ho sempre immaginato la fotografia come un sistema vivente la cui evoluzione è legata alle singole cellule che lo compongono. Ci sono cellule che hanno un’importanza maggiore, ma tutte contribuiscono alla salute dell’organismo, ed è importante che se ne sentano parte.
Abbiamo parlato nel post precedente del gruppo f/64, ma ce ne sono stati molti altri. In questi giorni si celebrano con una mostra i primi 70 anni dalla fondazione di uno dei circoli fotografici più importanti d’Italia, “La Gondola” di Venezia.
Ma ci sono organizzazioni come la FIAF, la federazione delle associazioni fotografiche, o come l’AFNI, che riunisce i fotografi naturalisti. Ci sono stati e ci sono mille tentativi di mettere assieme persone che condividono la stessa passione, la stessa cultura, magari lo stesso modo di vedere il mondo.
Eppure l’organismo che citavo prima non gode di buona salute. I problemi che esistevano un tempo si sono acuiti con l’avvento del digitale, che ha aperto le porte a una gran massa di nuovi praticanti, e sminuito il ruolo dei singoli fotografi. Oggi tutti “sono fotografi” e tutti sono bravi e in grado di creare “capolavori”.
Non è vero, ma tutti ci credono, e “vox populi, vox dei”.
Proprio oggi avremmo bisogno di una maggiore unità tra coloro che intendono la fotografia non già come un “giochino domenicale”, un divertente gadget gentilmente inserito in un telefono o un passatempo senza complicazioni (cosa che può anche essere, e senza sensi di colpa), ma come parte fondamentale della propria vita, come strumento di comunicazione, condivisione, scoperta della realtà, come grimaldello per accedere al mondo e imparare a narrarlo.
La fotografia ha enormi potenzialità. Enormi. Solo in minima parte esplorate dalla gran massa di coloro che possono passare giorni ad accapigliarsi su obiettivi, sensori, fotocamere (o anche sviluppi e pellicole), dimenticando che lo strumento è un mezzo e non un fine.
Per far si che queste potenzialità si esprimano, serve un ecosistema favorevole; occorre che i fotografi consapevoli (e coloro che aspirano ad esserlo) inizino a collaborare, a sentirsi parte di qualcosa, e non in contrapposizione tra loro.
La fotografia non è solo concorsi, premi, riconoscimenti (che pure fanno piacere e possono essere utili), non è una gara, è qualcosa di ben più importante. E’, appunto, condivisione. Una foto non mostrata non serve a niente, in fondo. Mostrata alle persone sbagliate a volte fa anche danni.
A livello di provocazione potrei sostenere la creazione di un Ordine Templare dei Fotografi (e che Enzo mi perdoni), volto alla riconquista della Fotografia.
Che può essere utilizzata per mille scopi diversi (anche il disegno e la pittura possono diventare semplici illustrazioni per libri, o no?), ma che può rappresentare davvero un’espressione artistica popolare e democratica nella misura in cui si abbiano delle buone idee in testa e un po’ di competenze per concretizzarle grazie a una fotocamera.