
La mente intuitiva è un dono divino e la mente razionale un suo fedele servitore. Noi abbiamo creato una società che onora il servitore e ha dimenticato il dono” Albert Einstein
Confesso che quando ho un problema, mi capita di pensarci e ripensarci continuamente. A volte non riesco davvero a pensare ad altro. Le nostre paure più profonde e terrorizzanti sono in realtà frutto dei nostri “loop” mentali: si chiama sofferenza, ed è diversa dal dolore puro e semplice.
Quest’ultimo è un fenomeno strettamente fisico, il primo è invece un fatto che si basa moltissimo sull’aspetto mentale e si aggancia al secondo moltiplicandone gli effetti. La sofferenza è un catalizzatore del dolore.
Il dolore non è, ovviamente, solo la sensazione legata a qualche parte del nostro corpo, può anche essere un dolore puramente psicologico o mentale e in tal caso la sofferenza si trasforma spesso in angoscia profonda, che ci blocca e ci impedisce di provare piacere, qualsiasi cosa facciamo.
La mia gatta – molto anziana – soffre di diversi problemi fisici legati all’età ed è diventata del tutto cieca: una situazione che prostrebbe un umano sino a renderlo incapace di agire, lasciandolo preda della depressione più profonda.
Ma dopo i primi tempi la gatta si è organizzata e ora riesce a fare quasi tutto quello che faceva prima, al netto di qualche “musata” sul muro ogni tanto. La mia gatta prova dolore, a volte appare stanca e apparentemente angosciata, ma non “soffre” a livello mentale nel senso umano del termine: insomma, non sta lì a dirsi “oddio, non ci vedo più! Come farò a trovare la ciotola della pappa?” o cose del genere.
Prende le cose come sono, miagola un po’ e si organizza di conseguenza. Le capacità di pura sopravvivenza degli altri animali sono di gran lunga superiori a quelli di noi poveri Homo sapiens!
Comunque il punto è che se un problema sussiste, che sia di lavoro, economico, pratico o di salute, noi ci concentriamo su quello e tendiamo a non pensare ad altro. Come ne uscirò? Come farò a superare la crisi? Difficile, in queste condizioni, essere davvero creativi, come fotografi e non solo.
Recentemente ho fatto parte di una giuria di un premio letterario per racconti brevi. I partecipanti erano quasi 200 e ne sono emerso colmo di angoscia, davvero.
Quasi tutti i racconti – alcuni scritti anche molto bene – trattavano di temi tristi, drammatici, di ospedali e malattia, di morte e sofferenza; qualcuno magari puntava sul ricordo, e allora subentrava la malinconia, un’altra delle grandi sofferenze tipicamente umane. Nessun animale non umano penserà sconsolato: “ah, i bei tempi passati!”.
Ovviamente ritengo sia anche effetto della pandemia: tra zone gialle, rosse, arancione chiaro o scuro, c’è poco da stare allegri. E poi c’è il bombardamento quotidiano dei numeri, i contagi, i morti, i vaccini.
Anche se non lo volessimo, la nostra mente va sempre lì e le nostre vite ne sono devastate. A onor del vero, se pensiamo ai popoli che soffrono carestie e guerre, magari potremmo anche consolarci e ridimensionare un po’ il tutto, ma questo è un altro discorso.
Quel che conta – per i nostri scopi – è che per recuperare la nostra creatività dobbiamo smetterla di pensare sempre e solo ai nostri problemi, che siano personali o generali. E uscire a fotografare o anche farlo restando dentro casa. Se siamo fotografi davvero appassionati, fotografare è dannatamente terapeutico: basta sospendere per un po’ il nostro cortocircuito mentale.
Secondo lo psicologo Richard Davidson, infatti, non è possibile continuare a fare pensieri negativi quando si è dediti a un’attività impegnativa. E’ il motivo per cui molte persone amano praticare sport estremi: la scarica di adrenalina e la massima concentrazione necessaria per evitare di ammazzarsi sono utili a rimuovere tutti i fastidiosi pensieri intrusivi che limitano le nostre capacità mentali. Ora, non è certo necessario scalare in “free style” una parete di roccia verticale per liberare i legacci della creatività: basta concedersi un’occasione, un’opportunità.
Nei corsi che tengo per Reflex-Mania ci sono spesso corsisti che si lamentano della propria incapacità di avere idee originali o anche proprio di fotografare a causa delle restrizioni del COVID, e dei pensieri conseguenti. “Non mi viene proprio di fotografare” dicono sconsolati. Io non posso che rispondere con i consigli che sto dando in questo post. Bisogna semplicemente prendere la fotocamera, accenderla e fotografare. Anche senza intenzionalità. Il cervello è uno strano meccanismo, le scariche elettriche tra i neuroni possono condurre verso risultati inaspettati.
E il punto è proprio questo: non avere aspettative. Scattare per il puro piacere di farlo, senza avere in mente qualcosa di specifico, lasciando vagare la mente e facendo in modo che l’occhio e il dito sul pulsante di scatto la assecondino. Liberarsi delle angosce e dei pensieri, almeno per un po’, essere davvero liberi, far decollare la mente e spedirla lontano, lontanissima da dove magari il corpo è costretto. Se quest’ultimo non può spostarsi, la mente può farlo, sempre!
Un esperimento citato da Daniel Goleman, ha rivelato che coloro i quali hanno le menti vaganti riescono a dare il 40% in più di risposte originali rispetto a coloro che sono invece concentrati su un problema specifico.
Quando siamo in crisi creativa e la nostra vita appare problematica, la nostra mente colma di pensieri negativi e preoccupazioni, il tempo libero scompare. Davvero. Non importa se si è in cassa integrazione e magari chiusi in casa per sette giorni la settimana dunque teoricamente privi di impegni precisi: non si è affatto “liberi”, anzi. Ma questo non solo perché ci sono le restrizioni legali, bensì perché siamo incatenati alle nostre angosce.
Ricorderò sempre la lezione di Nelson Mandela, così ben rappresentata nel film “Invictus” con Morgan Freeman (2009). Il film prende il titolo da una poesia di William Ernest Henley, che cerco di avere sempre ben presente. Non solo per la poesia in sé, ma perché Mandela la utilizzava proprio per sopravvivere e lasciar vagare la mente quando era imprigionato – ingiustamente – nelle prigioni del Sud Africa, in celle microscopiche. Pensa: vent’anni rinchiuso come un topo in gabbia. Altro che Covid!
“Io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima” scrive Henley (riporto qui sotto l’intera poesia). Io controllo i miei pensieri, posso indulgere nella negatività, bloccarmi, cedere allo sconforto: ed è umano farlo! Ma poi posso recuperare la mia libertà attraverso il pensiero ed evitare di uccidere la creatività perché “inutile” in certi momenti.
Personalmente ho fallito spesso in questi tentativi di non cedere allo sconforto, ma mi riconosco la capacità – magari alla lunga – di riacciuffarmi per la collottola, pensando a Mandela e alla sua cella, e rimettermi in carreggiata.
Ho scritto anche un breve romanzo su questo (“Un fotografo ai confini del buio”, lo trovi su Amazon), proprio per raccontare, prima di tutto a me stesso, quanto i limiti più difficili da superare siano quelli che ci imponiamo da soli. Durante il “lockdown” ho realizzato alcune delle fotografie più importanti del mio libro “FOTO|SINTESI”, che è stato finanziato grazie a una campagna di “crowdpublishing” (attualmente è in stampa: ne ho parlato nel post precedente).
E questo è avvenuto solo dopo che ho iniziato a smetterla di lamentarmi per l’impossibilità di “uscire di casa” e invece ho lasciato la mia mente vagare tra le mille idee possibili per raccontare quel che mio serviva nel progetto senza, appunto, uscire di casa.
Dunque, concludendo, ricorda sempre che pur nel profondo della notte che ti avvolge, resti tu, e soltanto tu, il capitano della tua anima: dunque portala a navigare lontano da queste secche!
INVICTUS
di William Ernest Henley
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo che va da un polo all’altro,
Ringrazio gli dei qualunque essi siano
Per la mia indomabile anima.
Nella stretta morsa delle avversità
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo di collera e lacrime
Incombe solo l’orrore delle ombre.
Eppure la minaccia degli anni
Mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.