
Io non so se sono un grande fotografo, ma di certo sono un maestro in un’arte assai meno nobile, e soprattutto assai meno interessante, che è l’antica e diffusa Arte del Rammarico.
La coltivo da sempre, e ovviamente col passare degli anni divento sempre più bravo e ho sempre più materiale con il quale lavorare.
Il rimpianto, infatti, si autoalimenta: puoi avere il rimpianto del rimpianto del rimpianto, e così via, ad infinitum. Ogni volta che rimpiangi di non aver fatto qualcosa (o rimpiangi di aver fatto qualcosa!), eviti di fare (o non fare) quella cosa, e su questo puoi coltivare un altro bel rimpianto.
Il risultato è solo uno: che non vai mai avanti, o che il tuo cammino diventa difficoltoso e assai lento. E visto che in tal modo la tua meta sarà sempre davanti a te, voilà, ecco un’altra ottima occasione di rimpianto!
Come fotografi – e in generale come artisti – saremo spesso colti da rimpianti: se una mostra, un libro, un qualsiasi progetto va bene, potremo sempre dire che poteva andar meglio; se va male… vabbe’, è facile.
La verità è che abbiamo un’autoconsiderazione stranamente bipolare. Infatti pensiamo di essere perfettamente in grado di realizzare fotografie di altissimo livello, e dunque ci aspettiamo che gli altri riconoscano questa nostra innata virtù, ma al contempo non ci sentiamo mai all’altezza di queste capacità, quasi che esse rimangano costantemente intrappolate in qualche profondo recesso di noi stessi.
Io sin da bambino (dico sul serio) ero convinto di essere destinato a realizzare grandi cose. Successivamente, quando ho iniziato a fotografare seriamente, ho pensato che era nel campo della fotografia che queste “grandi cose” si sarebbero concretizzate. E in verità, se ci penso su, non è che poi abbia sbagliato di tanto. In fondo, per molti anni, sono stato un fotografo editoriale che lavorava molto e pubblicava su importanti riviste, e 200 reportage stanno lì a dimostrarlo. Ma ero lo stesso scontento: io volevo realizzare progetti personali, creativi, non certo “prostituirmi” con le riviste!
Ed ecco il rammarico farsi sempre più forte: avrei dovuto da subito, da ragazzino, puntare a fare fotografie creative e personali; avrei dovuto contattare gallerie e musei, approcciare importanti critici, partecipare a eventi: come giovane autore questo mi avrebbe introdotto in quel mondo, creato opportunità importanti. Devi essere giovane, se vuoi avere successo, e poi devi essere intelligente per mantenerlo. Questo pensavo.
Ma dovevo anche trovare i soldi per vivere (e fotografare) e le riviste erano un’ottima soluzione. Però a quel punto ero un “fotografo editoriale”, un “professionista” e come tale non potevo essere considerato un artista, un creativo davvero libero. Questo pensavo.
E ovviamente sbagliavo.
Perché Ansel Adams, per dirne uno, ha quasi tutta la vita fatto fotografia commerciale (cataloghi, pubblicità, ritratti) per campare. E come lui tanti altri. Oltretutto senza rimpianti, anzi! Si impara tanto dal lavoro su commissione o su progetti destinati alla pubblicazione.
Col passare degli anni, si finisce poi per pensare (a me, almeno, capita, lo confesso) che oramai sia troppo tardi. Che per diventare davvero un fotografo creativo riconosciuto io sia oramai troppo avanti con gli anni. Sottolineo la parola “riconosciuto” perché ovviamente io sono già un fotografo creativo, e credo molto in quel che faccio (e mi piace come lo faccio: su quello almeno non ho rimpianti)!
Un po’ di tempo fa ho letto in un articolo che una ricerca condotta in Gran Bretagna ha rivelato che l’età media in cui si inizia a “invecchiare” è di 37 anni. Trentasette anni!
Prima eri – potenzialmente – un giovane brillante e in grado di scalare qualsiasi vetta la vita ti mettesse dinanzi (ma spesso un “bamboccione”, diciamocelo) e dopo ti annoia anche solo pensare di fare due passi fuori l’uscio di casa. Copertina sulle gambe, birretta sul bracciolo della poltrona e TV fino a rincoglionirsi del tutto. Magari non proprio così, ma è questa l’immagine che salta in mente, o no? Ovviamente – in verità – dal trentottesimo anno in poi non è che smetti di essere “giovane”, solo che in media smetti di essere attratto dalle cose che apprezzavi prima.
Magari stai solo maturando, se vogliamo metterla in positivo.
Mi consola che secondo la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, invece, si diventerebbe davvero anziani a 75 anni: a questa età, oggi, grazie ai progressi scientifici, una persona ha la stessa energia e salute di una persona di 55 anni nel 1980. Per la proprietà transitiva, io – che di anni ne ho 56 – è come se ne avessi 36: sono ancora giovane!
Ma in verità, la faccenda è anche un po’ più complessa di così, o almeno non è sempre così che viene percepita. Uno studio demoscopico americano sulle persone “attempate” ha verificato che più gli intervistati erano avanti con l’età, più ritenevano che la vecchiaia cominciasse tardi. Furbi, eh?
Lo riportava un articolo di tre anni fa sul Sole 24 Ore: per il 79% degli intervistati la vecchiaia inizia a 85 anni; più saggiamente, per il 76% inizia quando non si è più indipendenti. Ad esempio quando non si ha più la forza di tenere in alto una fotocamera e premere quel maledetto pulsante di scatto. Immagine orribile, davvero.
Fatto sta che l’età è un dato opinabile, con buona pace dell’Anagrafe. In fondo tutto dipende dal tempo che davvero si ha a disposizione. Tanti fotografi sono morti giovani (pensiamo ai destini paralleli di Gerda Taro e Robert Capa) eppure sono diventati fondamentali nella storia della fotografia con solo dieci, quindici anni di attività. Di esempi ce ne sono davvero tanti in tal senso: mi vengono in mente anche Francesca Woodman o Diane Arbus. Non conta quando inizi, semmai conta quando finisci, e quel che c’è nel mezzo!
In effetti abbiamo il mito dell’artista giovane: la parabola che consideriamo normale è quella del ragazzo di 13-14 anni che già dimostra indubbie qualità, che a 20 anni già espone, e a 30 anni è famoso. Poi, se gestirà bene il suo lavoro, potrà andare avanti e “campare di rendita”. E’ vero, a volte succede, ma è davvero raro.
In realtà farsi conoscere, diventare “famosi” è qualcosa che accade quasi per caso, e tanti ci provano senza successo, pur essendo bravissimi. Inoltre, l’età non conta molto: conta molto di più la determinazione e il fare in modo che l’obiettivo che ci poniamo sia – prima di tutto – realizzare qualcosa in cui possiamo mettere tutto di noi stessi.
Il mondo ricompensa più spesso le apparenze del merito, che il merito stesso, sosteneva François de La Rochefoucauld. E infatti il merito ce lo diamo da soli, mentre il successo lo determinano gli altri: tra i due – dunque – quale vale davvero?
Ci sono artisti che hanno successo senza avere alcun merito: forse a questo aspirano tanti, specialmente oggi in cui è Internet a decretare chi vale e chi no. Ma questo è davvero ciò che vale la pena conseguire? O non è piuttosto meglio concentrarci su ciò che sappiamo ci renderà orgogliosi, a prescindere dal riconoscimento altrui?
Ma al di là di questo, resta il fatto che il momento giusto per iniziare un percorso verso un risultato che ci vogliamo porre è ora, sia che tu abbia 14 anni sia tu ne abbia 70.
E se c’è volontà, non c’è mai fallimento. Si impara sempre qualcosa, si provano emozioni da condividere con gli altri, si cresce. Se pensi di avere davanti un anno o cento anni, il risultato cambia poco: se non ti muovi, otterrai sempre la stessa cosa. Niente.