Diffondere il verbo

Ogni fotografo che si rispetti, dopo aver lavorato a lungo e con passione ad un progetto, che magari ha richiesto anni per essere completato, di pone la fatidica domanda: e ora che ci faccio?

Concretamente, nella maggior parte dei casi, dopo averlo condiviso sui “social” generalmente tagliato e riadattato e comunque in qualità molto bassa o aver partecipato a qualche concorso o “lettura portfolio”, il sudato lavoro finisce in perenne letargo in qualche misteriosa cartella annegata tra le mille icone di un desktop o, nei casi migliori, in una cartellina concreta, di cartoncino, sotto forma di stampe più o meno “fine art”, come avveniva ai tempi dell’analogico e oggi continua ad accadere con le stampe inkjet.

Il tutto mi sembra un po’ triste.

E so che molti altri condividono questo sentimento, almeno a giudicare dalle innumerevoli mostre che vengono organizzate in giro, spesso in luoghi del tutto inadatti a ospitarle, compresi bar, ristoranti, negozi vari, dove gli avventori daranno solo un’occhiata distratta a quelle stampe fotografiche appese al muro a mo’ di decorazione.

In effetti a molti fotografi (in fondo anche a me) la mostra sembra lo strumento migliore per mostrare un proprio progetto, con tutte le stampe ordinate secondo l’editing che si è concepito e magari accompagnate da testi esplicativi. Ma se guardiamo ai numeri, non c’è molto da stare allegri. Il più delle volte se una mostra è visitata da un centinaio di persone, è un successo. E tra questo pubblico vanno annoverati anche parenti, amici e semplici curiosi.

Andando a stringere, 50-60 persone sono un numero medio di spettatori interessati davvero al nostro progetto. Non sarebbero nemmeno pochi, ma la verità è che, se non si stampa un catalogo, difficilmente quelle persone si ricorderanno del nostro lavoro.

Per questo si stanno sempre più diffondendo i libri fotografici. Oggi i costi di stampa (digitale) sono scesi molto e la qualità è pari – a volte anche superiore – all’offset. Se si è capaci di impaginare e gestire l’intero processo, con una cifra ragionevole si possono avere nel garage 100-200 copie del nostro libro, pronte per essere vendute.

Già, ma oggi come un tempo il problema dei libri non è affatto produrli: è venderli.

In Italia – ma anche nel resto del mondo, non ci sono paradisi in Terra in questo campo – le vendite dei libri fotografici sono ridicole.

Ribadisco: ri-di-cole.

Un libro che riesca a vendere 100 copie è un grosso successo, con mille copie vendute si entra in classifica, mentre l’empireo delle tre-quattromila copie è riservato solo ai grandi fotografi, spesso pubblicati da editori italiani in co-edizione con editori stranieri.

I nomi son sempre quelli, Cartier Bresson, Elliot Erwitt, Robert Capa e così via. Evergreen che però non fanno un “mercato”, anche se spesso contribuiscono a sostenerlo almeno in parte.

Il fatto è che in Italia ci sono centinaia di fotografi che stampano libri e pochissimi che li acquistino, soprattutto se sono di autori sconosciuti. Son capaci tutti a comprare un libro di Ghirri o Franco Fontana, o Jodice, ma se devi acquistare l’ultima pubblicazione di Pinco Pallino… chi si fida?

Da autore di libri posso dire che pochissimi li acquistano “a fiducia”, e con quelli fotografici – dato il prezzo di copertina – nemmeno può scattare l’acquisto compulsivo. No, devi convincere i tuoi acquirenti quasi uno a uno, il che significa organizzare e tenere presentazioni, conferenze, partecipare a incontri e fiere, e così via. Alla fine tutto questo va fatto per un guadagno modesto, ma certo rimane la soddisfazione, che è impagabile.

Mi dirai: e l’ebook?

Beh, il “photo ebook” non vende, anche se lo proponi a 2-3 euro. Pensavo di essere io a non saperli proporre nel modo giusto, ma ho scoperto, collaborando con editori del ramo, che questo genere di pubblicazione non riesce proprio a ingranare, soprattutto in Europa.

Chi ama i fotolibri il più delle volte non si accontenta di vedere le foto sul monitor, gli altri non li acquisterebbero comunque, perché non sono né romanzi, né guide e dunque rappresentano un “oggetto misterioso”.

Resta dunque la domanda iniziale: che accidenti ci faccio con il mio progetto?

C’è anche da dire che se per un lavoro davvero importante e corposo vale la pena impegnarsi a pubblicarlo come libro o a organizzare una lussuosa mostra, con molti progetti “minori” ma che comunque ci sono costati impegno e lavoro la soluzione ideale è la “Zine”.

Il termine è una contrazione del termine inglese “magazine” cioè “rivista”, e deriva come concetto dalle “fanzine” degli anni ’70, quelle realizzate in ciclostile o fotocopia dai fans di qualche gruppo musicale.

La “zine” è un piccolo libro fotografico, che può essese molto più facilmente diffuso dati i bassi costi di produzione. Esistono diversi festival dedicati a questo genere di pubblicazioni (vendute in generale a prezzi comunque più bassi di 10,00 €), come quello che si tiene ogni anno a Roma, il “FUNzilla Festival“.

Spesso le zine non vengono nemmeno stampate in tipografia, ma stampate a mano o assemblate artigianalmente dal fotografo stesso, ovviamente con tirature minime. Io ad esempio ho realizzato una Zine in sole 10 copie, intitolata “Passaporto per Agarthi“,ricavata da un progetto interamente realizzato con foro stenopeico su digitale e destinata esclusivamente ai primi 10 finanziatori del mio progetto librario (questo si vero fotolibro) “Una Momentanea Eternità“.

Ma ho anche creato delle Zine in copia singola con la tecnica della stampa cianotipica.

Si tratta di realizzazioni fatte soprattutto per soddisfazione personale, ma che insegnano molto e possono comunque essere mostrate in molte occasioni pubbliche.

Ma credo che il sistema più importante e concreto per diffondere il proprio lavoro siano le eZine, cioè le Zine in formato PDF, da diffondere digitalmente. Sebbene si possa anche tentare di venderle – ma non aspettarti grossi successi – in verità lo scopo di queste pubblicazioni è di essere diffuse gratis.

Basta collocarle su qualche sito che consenta il download (va bene anche Google Drive, ma ce ne sono di più professionali) e poi condividere Urbi et Orbi il prezioso link e quasi certamente ci saranno decine e decine di download (dipende dalla propria popolarità sia professionale che online).

In fondo, “se è gratis”, chi sa resistere?

Tuttavia per esperienza ti dico che anche le cose offerte gratuitamente online fanno fatica a imporsi, e che dunque alla fine il download verrà principalmente effettuato da chi è davvero interessato al tuo lavoro, il che non è male.

A differenza di sistemi come “Spark” di Adobe, un sito gratuito dove puoi comporre dei minisiti con testi e foto (o anche video), la eZine verrà (si spera) conservata dall’ “acquirente”, e potenzialmente letta ancora in futuro.

Chi la scaricherà dal sito avrà l’impressione di averla acquisita, di “possederla” esattamente come un libro.

Tu non avrai guadagnato un centesimo, ma avrai diffuso il tuo lavoro, riceverai commenti e apprezzamenti (e critiche) e insomma saprai che non sta marcendo digitalmente in qualche sotto-sotto-cartella, ma è “nell’aria”, pronto a farsi apprezzare da chi avrà almeno voglia di cliccare sul link.

A tal proposito, ovviamente anch’io da tempo pubblico e diffondo le mie eZine. Man mano che le metterò online, te lo comunicherò così, se vorrai e sei curioso, potrai scaricarle e dar loro un’occhiata.

L’ultima mia fatica si intitola “Imago Plantarum” ed è un progetto interamente realizzato con tecniche “cameraless” come l’antotipia, la cianotipia, il fotogramma, il lumigramma, e così via.

Questa eZine la puoi scaricare facilmente da questa pagina su PayHip: non devi fare nulla (tantomeno pagare alcunché), ti basta cliccare sull’apposito pulsante e acquisire il file. Come si dice in gergo (e in modo un po’ esterofilo): enjoy!

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