L’importanza di sbagliare foto

Herbert Bayard Swope (1882-1958), editore e giornalista americano, il primo vincitore di un premio Pulitzer, sosteneva di non poter fornire una formula sicura per il successo, “ma posso darvene una per il fallimento: cercate sempre di accontentare tutti“!

Non si riuscirà mai a ottenere nulla nella vita, se ci si chiederà continuamente se quel che stiamo per dire o per fare scontenterà qualcuno perché, puoi starne certo, qualcuno resterà di sicuro scontento. Perciò, spesso, ci accontentiamo di compromessi al ribasso che scontentano tutti, ma non molto, solo un po’. Che dal mio punto di vista è un fallimento ancor più grande.

Viviamo d’altra parte in un mondo che ha paura della mancanza di consenso, che teme come la peste l’opposizione e il confronto, che preferisce sembrare vile e inattivo piuttosto che prendere una posizione chiara e attirarsi le ire di chi la pensa diversamente. E a placare la paura non basta il plauso di coloro che saranno d’accordo.

Questo, che vale per la politica e per la vita quotidiana, vale anche per la fotografia e l’arte in generale. Tutti coloro che condividono le foto online, organizzano mostre personali o partecipano a concorsi cercano di tenersi ben dentro la media, che vuol dire: rispettare le regole della composizione e dell’esposizione, scegliere soggetti non controversi, preferire modalità che tutti o quasi siano in grado di comprendere. La media, insomma, secondo la logica eterna (ma profondamente sbagliata) che “in medio stat virtus“.

Oramai il pubblico si è formato su questa linea di comportamento, ha adattato il proprio modo di guardare alla fotografia secondo queste norme che da sempre vengono rispettate, e quando arriva qualcuno che le infrange – se non ben supportato da un esercito di critici e mercanti d’arte – il risultato è di far sentire l’autore “un fallito”, se non un incapace, qualcuno che non conosce quelle regole che sta infrangendo.

A volte in effetti è così.

Diventa difficile comprendere quando un autore non rispetta certe norme per scelta o quando lo faccia per semplice e pura ignoranza. Per questo un autore, se ci interessa, andrebbe studiato, per comprendere il suo percorso e verificare se quello è un punto di arrivo oppure una semplice scorciatoia. La differenza a volte è sottile, e questo rende estremamente complicata la corretta fruizione di tanta fotografia (e tanta arte) contemporanea.

Ma a parte queste considerazioni, quel che mi preme sottolineare è che l’errore, lo sbaglio, la non applicazione delle regole è certamente di per sé un bene, sia che si decida di utilizzare questa sorta di “anarchia” nel proprio modo di fotografare, sia che lo si faccia a solo scopo didattico, per arrivare a essere più consapevoli e convinti delle proprie scelte.

Nulla può insegnarci le cose più degli errori. Il premio nobel per la Fisica (2004) Frank Wilczek osservava giustamente che “se non fai errori non stai lavorando su problemi sufficientemente ostici. E questo è un grande errore“. Insomma, se resti nella tua “comfort zone” forse non sbaglierai in modo eccessivo, ma resterai sempre un mediocre, cosa che – se magari sei un fotoamatore – potresti anche trovare allettante e tutto sommato tranquillizzante. Ma se decidi di evolvere, di mollare gli ormeggi, di fare qualcosa di nuovo o di diverso, dovrai prepararti ad affrontare i fallimenti e a commettere errori.

Fallimenti ed errori sono i Maestri più capaci che io conosca: possono insegnarti praticamente tutto.

Fai, sbagli, rifai, sbagli ancora. E avanti così, finché un giorno avrai successo e ricorderai tutte le volte che sei caduto nella polvere, e questo rafforzerà la tua competenza, perché saprai innumerevoli modi in cui una certa cosa NON va fatta! Sapere come non fare una certa cosa (te lo garantisco per esperienza diretta) è ben più importante di sapere come farla.

Ovviamente questo non significa che si debba sbagliare apposta o che non si debba studiare e prepararsi, non è certo questo il senso della frase di Wilczek. Occorre al contrario leggere molto, studiare tanto, osservare continuamente, insomma essere pronti, ma questo non basta: occorre poi fare le cose, osare e incappare nel fallimento più atroce, nella foto che tutti ci criticheranno perché sbagliata, male esposta, sfocata e mossa. Ma guardandola cominceremo a capire dove abbiamo sbagliato, e la foto successiva sarà già molto meglio.

Questa “cosa” degli errori era comune ai tempi dell’analogico e io che ancora oggi lo utilizzo ti posso confermare quanto frustrante sia sviluppare l’ennesimo rullo Bianco e Nero e vedere che nonostante l’esperienza acquisita le foto sono scure o troppo chiare, o che si è sbagliato qualcosa nel procedimento e che le foto sono dunque inutilizzabili. Argh!

Ma questo ti insegna(va) ad andare a rivedere passo passo la procedura cercando di capire dove diavolo si nasconda l’errore: nella temperatura? Nell’agitazione della tank? Nello sviluppo che era scaduto? E così via.

Oggi col digitale si sbaglia molto di meno, e questo dà l’errata convinzione che si diventi in fretta più bravi e capaci. Ma non appena qualcosa va storto, noi “analogici” applichiamo il metodo appreso in lunghe ore in Camera Oscura, mentre il “nativo digitale” va nel panico.

Non capisce davvero cosa abbia sbagliato, e comincia a navigare sui Forum online in cerca di qualcuno che gli fornisca una soluzione. La foto sbagliata è un’onta, una disgrazia, un accidente epocale.

Invece una foto sbagliata è un dono prezioso: riguardati i dati EXIF, vai con la memoria al momento dello scatto, prendi la fotocamera e vedi com’è impostata. Impara dall’errore, non gettarlo via!

Non angosciarti, non intristirti, non dire “basta, ora smetto, non sono capace”! Peggio ancora: non decidere di fare sempre tutto in automatico, puntando alla foto “standard”. Questo si è un grave errore.

Tutti sono capaci di fare foto al giorno d’oggi. Ma solo tu sei capace a fare le foto che davvero tu desideri. Una fotocamera non può sapere quel che tu provi, quali sono i tuoi desideri, qual è la tua ispirazione: solo tu – attraverso la fotocamera – puoi arrivare a concretizzare tutto questo in una fotografia.

Errore dopo errore, fallimento dopo fallimento. Fino all’inevitabile successo.

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