
No, tranquillo: non voglio parlare di fotografi che intascano bustarelle per nascondere fotografie compromettenti (ti ricorda qualcuno?). E nemmeno dell’andazzo che sta prendendo sempre più la fotografia. No.
Voglio proprio parlare di fotografie corrotte. Anzi, per meglio dire – visto che siamo in epoca digitale – di file corrotti.
Non so se hai notato come il passaggio dall’analogico al digitale abbia modificato anche i modi di esprimersi dei fotografi. Prima, e ancora adesso se si usa la pellicola, se lo sviluppo del negativo aveva un problema si diceva che era venuto male, era “rovinato” o graffiato, macchiato, inutilizzabile, cose così. I termini in uso erano comuni anche ad altri campi, dunque in qualche modo neutri.
Ma oggi si sbaglia pochissimo, tutto è già previsto, la tecnologia ci mette sempre una pezza, e occorre essere proprio sprovveduti per non azzeccare una fotografia. Che poi anche nei casi più gravi qualcosa si può sempre fare, “via software” s’intende. Nel digitale, al massimo si parla di corrupted files, appunto, che in inglese fa anche figo. E ovviamente di recovery, perché mica è come i negativi: i files puoi anche tentare di ripararli.
Cavolo, il piacere degli incidenti di percorso è oramai definitivamente andato perduto. Oddio, mica sempre. Perché poi a volte ci sono loro: i files definitivamente “corrotti”, che neanche il software più potente riesce a riparare. I dati sono proprio mancanti, almeno in parte, e non c’è niente da fare.
Non disperarti: gioisci invece!
Che poi già il termine la dice lunga sulla bassezza morale del digitale, che – diciamolo – è basato sul silicio (in pratica su dei sassi semitrasparenti), mica sul nobile argento (per tacer del platino o dell’oro!). Ovvio che prima o poi incorra nel reato di corruzione!
Perciò voglio fare un elogio del file corrotto, della sua bellezza, della sua utilità nel far tornare la fotografia nei sacri confini dell’errare, che è umano, certo, ma anche fotografico. Senza la possibilità che qualcosa vada storto, che gusto c’è? Ovviamente gli incidenti di questo tipo mettono ansia, ma via: che sarà mai perdere una foto – ogni tanto – per godere della bellezza innata del file corrotto?
Oggi mi è capitato di trovarne uno. Eureka! Scaricate le foto, mi son ritrovato con questo “grumo di pixel” incomprensibile. Ma bello, sia chiaro. L’ho subito “postprodotto” non per recuperarlo (impossibile) ma per evidenziarne le caratteristiche estetiche: che ci sono tutte, bada bene. Un po’ tappeto di Missoni, un po’ opera d’arte contemporanea, colmo di colori e linee orizzontali che nemmeno la Bauhaus. Gloria a te, file corrotto!
Ma, si sa, gli americani (e gli anglofoni in generale) amano dare un nome preciso a ogni cosa, e così questo genere di “cose” (non saprei proprio come definirle, in italiano) viene chiamato “Glitch Art” (il termine sta per guasto, malfunzionante) e che tu ci creda o no, ci sono artisti che utilizzano proprio i file corrotti, ottenendoli in vario modo (anche realizzando macchinari appositi). E fotografi che fanno altrettanto, come Melanie Willhide che, a causa del furto del suo computer, si è ritrovata con tanti bei file corrotti e ci ha creato su un progetto niente male, come ci racconta Petapixel.
Ora, a me il file sopra m’è capitato, e mi ci sono anche un po’ inc****to, ma poi ho scoperto che ci sono molte tecniche diverse per ottenerli apposta, sia in formato foto che in quello video. Ovviamente si tratta di una tecnica poco controllabile, in cui l’operatore si limita a incasinare tutto sperando che qualcosa di buono venga fuori. Insomma, il caso vi gioca un ruolo niente male, ed è questa la cosa davvero bella!
Il sistema più semplice, anche se richiede un po’ di sveltezza e amore per il rischio (si fa per dire) è quello di copiare un file bello grosso su una pennetta, da estrarre di colpo quando la copiatura arriva al 20-30% o poco più. Ho provato con diversi formati e ho scoperto che il Targa (.tga) è uno di quelli che funziona meglio. Il jpeg è il peggiore perché a volte, anche interrompendo il flusso al 10-15% la foto – orrore! – viene comunque registrata bene.
Con tale sopraffina e misteriosa tecnica – ad esempio – ho realizzato questa splendida opera grafica che offro, solo per te, al modico prezzo di 5000,00 € (il file originale, s’intende). Spero vorrai approfittarne.
Ma qual’è il fascino di queste perversioni fotografiche? Credo sia il fatto, come dicevo all’inizio, che in un’epoca come la nostra in cui tutto è perfettamente calibrato-allineato-preciso, Poka-yoke (termine giapponese utilizzato nel settore del disegno industriale per indicare una scelta progettuale o un’apparecchiatura che, ponendo dei limiti al modo in cui un’operazione può essere compiuta, forza l’utilizzatore a una corretta esecuzione della stessa, come spiega Wikipedia), dunque a prova anche del più impedito degli utilizzatori, l’errore, la distrazione, la forzatura involontaria di qualsiasi procedura è un gesto di ribellione, politicamente ineccepibile.
Perciò mentre i tecnici si affidano al Poka-Yoke per impedirti di fare cazzate, tu gli fai uno sberleffo sbagliando apposta. Sai come ci restano male?
A me capita pure con l’analogico, a cui sono tornato anche perché assai meno succube del Poka-Yoke. E’ tutto così aleatorio, legato alla tua capacità di controllare il procedimento, che per quanto i tecnici si siano sempre sforzati di renderti la vita semplice, e impossibile sbagliare, tu alla fine sbagli lo stesso.
E mi fanno ridere certi forum di fotografia analogica in cui i poveri fotografi scrivono piagnucolosi dicendo di aver “seguito alla lettera” le istruzioni per lo sviluppo di un rullo (temperatura 20°, agitazione di 10 secondi ogni minuto… che noia!) alla fine i negativi sono quasi da buttare. Pavidi!
Io rispetto pochissimo le regole, provo intrugli improbabili poi mi rallegro dei risultati. Ho realizzato interi progetti così, e mi son sempre trovato bene. Anzi, vorrei proprio lanciare la nuova Accademia della Fotografia Anarchica. Unica regola: ognuno faccia come gli pare e se qualcosa viene bene, ottimo, sarà come trovare la perla nell’ostrica.
Hai visto mai che qualcuno si convinca.