Fotografare o scattare fotografie?

Nell’ articolo Che fotografo sei?,  avevo illustrato alcuni dei generi principali in cui potremmo articolare il vasto campo della fotografia. Proprio come un contadino sceglie che tipo di piante coltivare, e dunque quali competenze specifiche sviluppare, così dovrebbe fare il fotografo rispetto al genere a cui intende – almeno principalmente – dedicarsi. E per competenze non vanno intese solo quelle tecniche, anzi: principalmente quelle iconografiche, andando a scoprire cosa hanno fatto quegli autori che in un determinato campo hanno raggiunto l’eccellenza, o almeno si sono distinti.

Per completare l’argomento (direi integrarlo visto che completarlo è impossibile) vorrei approfondire alcuni aspetti, che magari sono utili per cercare di capire cosa davvero ci interessa della fotografia, come vogliamo “usarla”. Sarà l’occasione anche per ragionare su come trovare la nostra strada e quanto sia importante farlo, ma anche su come non restare poi “ingabbiati” per forza in un genere, nemmeno fossimo allo Zoo.

Credo che alla fine a ogni fotografo la cosa che interessa di più sia la ricerca della propria “consapevolezza” (anche se poi non ne sono, appunto, così consapevoli!).

E’ evidente che spesso i fotografi, specie coloro che sono all’inizio, tendano a pensare che la fotografia “si fa”, nel senso che è un fatto meramente tecnico che richiede delle competenze, e che alla fine occorra poi cercare solo il soggetto adatto per creare una bella foto. Ci vogliono anni per arrivare a capire che invece l’aspetto fondamentale della fotografia è quel che uno ha da dire, da esprimere, da comunicare. Non per forza cose complesse o filosofiche, ma comunque “cose” personali, in cui ci si possa riconoscere, che ci appartengono.

Una foto fatta solo per “vedere come viene” o per provare una tecnica che abbiamo appena scoperto, o indagare la tecnica di qualche fotografo che ammiriamo, o per qualsiasi altro motivo “esterno” può sicuramente essere un successo, essere interessante, anche utile a livello di apprendimento. Ma ci appartiene? Possiamo riconoscere noi stessi in quella foto? Non credo.

Ad esempio a me piace molto cercare di comprendere come lavorano i fotografi che mi interessano o mi colpiscono; mi piace mettermi “nelle loro scarpe” – per così dire – cercando al contempo di comprendere, in questo modo, il perché abbiano fatto determinate scelte tecniche. Questo è anche utile per mettere da parte delle tecniche o delle accortezze che un giorno, magari, per un mio progetto, possano tornarmi utili.

Il mese prossimo, su Reflex-Mania Official (la nostra pagina Facebook) farò una recensione video di un libro di Irene Kung.

La sua tecnica è basata ovviamente su una forte postproduzione con Photoshop che fa emergere dal buio il soggetto, come se la ripresa fosse fatta di notte illuminando il soggetto con la tecnica detta “light painting”. Il risultato è davvero straordinario e permette di isolare dal contesto le forme e l’essenza stessa del soggetto, che sia un palazzo, un monumento o un albero. Non so se ricorrerò mai a un simile accorgimento, ma ho comunque voluto provare a comprendere come possa essere realizzato. Magari la tecnica impiegata dalla Kung è diversa ma, come puoi vedere, la foto di questo rudere di castello in mezzo alla macchia emerge dal buio proprio come nelle foto della fotografa svizzera.

Questa è quella che considero una foto utile: una sperimentazione, una riflessione, una messa in pratica ma la foto “non mi appartiene”, è – da sola – semplicemente un tentativo di imitare la tecnica di qualcun altro. Potrei magari creare un progetto personale ricorrendo a una simile risorsa, e allora magari sarebbe diverso, ma per ora è tutt’altro che una foto “consapevole” dal punto di vista personale.

Infatti, una foto consapevole è una foto che non viene realizzata “tanto per” o solo perché è capitata l’occasione giusta (anche se sono sempre benvenute) ma perché parte di un progetto o perché appunto serve a comunicare un’idea o un’emozione. Ovviamente tutti i grandi Autori cercano di ottenere foto di questo tipo e altrettanto chiaramente ci riescono a volte e a volte no; ma l’intenzionalità resta comunque un fattore distintivo ben preciso.

Penso che la macchina abbia la stessa anima che ho io. (…) È un aggeggio tra quello che mi sta davanti e la mia interiorità. Non vale niente lei come non valgo io come persona. Valiamo perché ci rendiamo utili” sosteneva Mario Giacomelli.

Essere fotografi consapevoli non significa affatto non poter più scattare fotografie solo per divertimento, o per documentazione, o per ricordo o, come detto, per sperimentare tecniche nuove. Anzi, questo va fatto sempre, sempre. Significa solo che si conosce bene il momento in cui la fotocamera si collega alla propria “interiorità” come sosteneva Giacomelli, e quando invece serve solo come taccuino d’appunti o per creare fotografie che abbiano uno scopo “non creativo”, anche se ben fatte.

 

Ritengo che subito dopo, nell’interesse del fotografo, venga – o dovrebbe venire – la ricerca di una maggiore competenza nelle tecniche fotografiche specifiche di un dato genere fotografico. E questo mi sembra che sia il logico corollario del punto precedente: come dico sempre la tecnica deve seguire l’idea, ma nessuna idea verrà mai concretizzata (a livello fotografico) senza la tecnica. Insomma, questa non deve essere fine a sè stessa, ma nemmeno dimenticata.

E siccome certi generi fotografici richiedono competenze niente male, è bene cercare di conoscerne tutti i segreti in modo il più possibile mirato. Non parlo ovviamente dei fondamentali comuni a tutti, ma appunto di quelli specialistici. Ad esempio come gestire l’illuminazione nella ritrattistica o gli obiettivi macrofotografici, o come utilizzare la fotocamera nelle foto di Street, eccetera.

Alla base penso ci sia il desiderio di imparare a raccontare storie grazie alla fotografia, in pratica acquisire la capacità di sfruttare lo “Storytelling” in modo efficace. E anche qui siamo sul filo della logica: si sviluppa un progetto grazie a foto consapevoli, che richiedono una buona competenza tecnica e infine le si usa per raccontare agli altri l’idea iniziale, la nostra ispirazione. Lo si può fare con una narrazione quasi giornalistica (un “reportage”) ma in effetti anche con serie di foto su un soggetto specifico (proprio come fa Irene Kung, ad esempio) o con narrazioni di tipo più filosofico e astratto.

Ma sempre dietro una fotografia e ancor più dietro un progetto ci dev’essere un’idea, un’urgenza di esprimere qualcosa.

Il che porta anche alla necessità di approfondire lo studio e la comprensione dei grandi Autori, e credo che ci sia poco da aggiungere su questo aspetto, senza meno irrinunciabile. Conoscere i grandi autori significa innanzitutto comprendere come siamo arrivati sin qui stando sulle spalle dei giganti, ma anche cosa è stato fatto, come e perché. Significa acquisire competenze anche solo per osmosi, perché la caratteristica di un bravo fotografo è quello di saper “leggere” le foto altrui e dunque imparare dalle stesse, senza nemmeno doversi rivolgere all’autore stesso, se ancora vivo.

In sintesi mi sembra che i fotografi (o molti di loro) siano persone animate da un sano desiderio di crescere a livello espressivo e di esplorare il mondo della fotografia scendendo in profondità. E che dunque queste caratteristiche distinguano davvero un “fotografo” da uno che semplicemente “scatta fotografie”, la stessa differenza che in fondo passa tra un “non analfabeta” e un vero “scrittore”!

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