Fotografi da Mostra o da Libro?

La fotografia è un’arte (e da questa prima frase si capisce che io la reputo tale, anche se c’è chi ancora insiste a negarlo) che pone molte e complesse questioni, diverse delle quali abbiamo già affrontato. Una delle più dirimenti è il tipo di diffusione che può essere scelta dal fotografo per le proprie opere.

Tutte le arti in effetti hanno questo problema: come raggiungere lo spettatore, il pubblico? Ma di certo le arti pittoriche e plastiche hanno nella “mostra” (dunque nella esposizione) la loro sede naturale. Proprio l’invenzione della fotografia ha in effetti allargato questa possibilità in quanto sia i dipinti che le sculture possono essere riprodotte e dunque pubblicate in libri o inserite online. Ma, se vogliamo, questa è una sorta di fruizione derivata; viceversa per la fotografia, specialmente digitale, è una sua caratteristica intrinseca. La foto nasce per essere guardata e sicuramente possiamo inserirla in musei o mostre, ma in verità il più delle volte è concepita per finire su libri, riviste, Social o siti online, senza che questo in fondo ne cambi la natura.

Ora, nel corso del tempo questo ha dato molto da pensare ai fotografi che – ben più di pittori o scultori – sono artisti che pensano molto. Credo anche troppo. Insomma rimuginano e in questo loro ruminare sui massimi sistemi ovviamente finiscono per chiedersi quale strumento sia il più adatto a diffondere le proprie opere erga omnes. Alle origini della fotografia la questione si poneva in termini assai più ristretti, visto che inserire le foto nei libri era ancora complicato e il modello di riferimento era la pittura. Così le fotografie finivano nei “Salon”, sontuose esposizioni di arte varia, accanto a sculture e quadri. Ma sin da subito la questione si è posta, visto che lo stesso William Henry Fox-Talbot, coinventore della nostra arte, realizzò anche il primo fotolibro a tiratura limitata della storia.

In breve i fotografi iniziarono a dividersi, e questo ancor più dopo gli anni ’70. Non sembrerà strano allora che esistano fotografi da mostra fotografi da libro, anzi da “Photobook“. La logica che muove certe scelte non riguarda solo i grandi Autori: io stesso, ad esempio, mi definisco un fotografo “da photobook” e i miei progetti nascono sin dall’origine per finire appunto sulle pagine di un libro. Ovviamente non disdegno di prendere una selezione delle fotografie e realizzarne una mostra, come ho fatto ad esempio con il mio progetto “FOTO|SINTESI”, ma è evidente quale sia la priorità.

D’altro canto chi concepisce il proprio progetto per farne una mostra, potrà sempre decidere di realizzare un catalogo (che a rigore è un “libro fotografico” e non un “photobook”), ma è chiara la differenza.

E’ sottinteso che ci sono fotografi che amano entrambe le soluzioni e le alternano a seconda dei progetti. Salgado, ad esempio, è sicuramente un fotografo che ama la carta stampata, ma i suoi progetti “Genesis” e “Amazonas” nascono come mostre – anche monumentali – anche se ne sono stati tratti i relativi cataloghi. Joseph Koudelka ha fatto la stessa cosa con il progetto sui siti archeologici del Mediterraneo (“Radici”), mentre è evidente che “Exiles” sia nato come libro, oltretutto editato e sequenziato da Robert Delpire, un vero mito nel campo dei libri fotografici. E così via.

Oltretutto, oggi le possibilità si sono ulteriormente moltiplicate, visto che possiamo pensare a progetti che sono concepiti per una diffusione solo online, oppure per realizzare una Zine cartacea, cioé una piccola pubblicazione ma molto curata, o addirittura solo sui Social. Non dimentichiamo che poi oggi la realizzazione dei libri fotografici è davvero alla portata di tutti, e questo offre a molti fotografi la possibilità di accedere a uno strumento indubbiamente prezioso. Ma credo che tutte queste possibilità siano appunto delle varianti dei due concetti fondamentali: mostra o libro?

Il che ci porta anche a chiederci: che cosa differenzia uno strumento rispetto all’altro? Perché preferire una esposizione piuttosto che una pubblicazione o viceversa? Se è vero che ci sono innumerevoli fotografi – amatori e non solo – che la questione non se la pongono perché credono di non meritare né l’una né l’altra – sbagliando – in verità quando si cresce nella consapevolezza di essere “autori”, chiedersi come e perché realizzare un progetto e con quale canale mostrarlo al pubblico diventa legittimo.

Il problema è ovviamente anche legato ai costi, al tempo che possiamo dedicare a una simile iniziativa, alla nostra stessa autostima. Tuttavia vorrei sottolineare come di fatto sia possibile organizzare una mostra molto semplice ricorrendo a un locale pubblico (un bar, un ristorante come nella foto sopra, una sala parrocchiale o altro) e stampando le proprie fotografie con un servizio online. Sarà poco professionale? E chi se ne importa: alla fine se il lavoro è ben fatto e interessante (e coinvolgente) nessuno starà lì a chiedersi il perché non sia stato stampato su carta fine-art e montato su Dibond (supporto in alluminio piuttosto costoso).

Allo stesso modo possiamo pubblicare i nostri libri con servizi come Blurb, o farne una tiratura limitata di alta qualità grazie a SAAL o anche puntare a una Zine cartacea che con poche centinaia di euro di spesa permette di avere 50-100 copie da condividere. Ci sono anche editori specializzati, che possono occuparsi di tutto. Noi di Reflex-Mania stiamo ad esempio per lanciare la nostra “editrice” di Zine (ne riparleremo in autunno).

Vorrei aggiungere che se si possono spendere due o tremila euro per una fotocamera o degli obiettivi senza quasi battere ciglio, non si capisce bene perché si abbia una simile ritrosia nell’investire altrettanto (e spesso molto, molto meno) nella diffusione di quelle foto che grazie a una simile attrezzatura abbiamo realizzato.

Ma, dicevamo, qual è la differenza tra una mostra e un libro o una Zine?

Sono molte, ma in linea generale possiamo dire che una mostra ha una durata relativamente breve e, una volta terminata, se non si organizzano altre date le foto finiscono per restare in uno scatolone in garage (io ho molti scatoloni del genere, per dire). Certo, se si fa un catalogo si può sfruttare il vantaggio delle pubblicazioni, che è appunto il fatto che le persone se le portano a casa e auspicabilmente ogni tanto le guarderanno di nuovo. C’è da dire che però la fruizione di una foto ben stampata, magari in formato generoso, e attaccata al muro è certamente più d’impatto, specialmente se si tratta di stampe che l’autore ha curato personalmente (pensiamo anche solo alle stampe alla gelatina d’argento – o inkjet – stampate sotto la supervisione del fotografo).

Inoltre ci sono autori che alla fisicità della stampa aggiungono anche delle installazioni, come Mustapha Azeroual (esempio nella foto sotto) o Mohamed Bourouissa, che sfruttano i materiali fisici (teli, sassi, strutture geometriche, pezzi di vecchie automobili, ecc.) per dare tridimensionalità ai propri lavori. Anche se riprodotte e inserite in un libro, simili “foto” non rendono affatto, e occorre vederle dal vivo, esattamente come certe foto di Gursky, Jeff Wall o Thomas Ruff che per le loro dimensioni gigantesche rendono appieno l’idea del loro autore solo se viste dal vivo. Ed è per questo, poi, che un catalogo svolge una funzione che è ben diversa dal photobook.

Quest’ultimo, d’altra parte, è la concretizzazione di un progetto che deve avere un suo sviluppo preciso, che va fruito in un certo modo e che magari ha dei testi importanti (un esempio in tal senso è il “saggio fotografico” di Allan Sekula “Fish Story” che è diventato anche una mostra ma che solo nel libro trova la sua compiutezza). Il libro è un oggetto che può diventare anche un “artist book”, e le foto viste sulle pagine organizzate in un certo modo non possono avere una fruizione paragonabile se trasformate in mostra. Inoltre ancora oggi acquistiamo e ammiriamo libri fotografici di cinquant’anni fa, mentre tutte le migliaia di mostre del passato sono il più delle volte finite nel dimenticatoio e in effetti credo che alla fine questo aspetto sia quello che ai fotografi piace di più.

Ecco perché scegliere quale debba essere il modo ideale per far conoscere il nostro progetto è fondamentale, come chiederci se siamo fotografi “da libro” o “da mostra”.

Ma ne riparleremo!

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