Fotografia e la legge di Murphy

Questo post è in modalità ironica. Lo dico prima per evitare che tu prenda troppo sul serio quello che sto per scrivere. Va bene che Pulcinella scherzando scherzando… ma insomma, siamo adulti, dài.

Come si usa fare oggi nei post seri (e questo chiaramente non lo è) anticipo il senso di quanto articolerò in modo molto più confuso qui sotto, cosicché tu possa leggere solo queste quattro righe e poi andare altrove. Visto che siamo in estate, che ci stai a fare ancora davanti a uno schermo? Con questo caldo vai a farti un bagno al mare, no?

Comunque, quello che vedremo tra poco è come la fotografia sia molto cambiata, resa più semplice e a prova di errore dalla tecnologia: di conseguenza chiunque, oggi, può scattare una “bella foto”. Non resta dunque che affidarsi alle idee. Ma visto che la tecnologia ci sta rendendo tutti anche un po’ pigri (per non dire altro), anche delle idee si può fare a meno: basta far finta di averle (avute), in modo da rendere potabile anche il più inguardabile guazzabuglio di immagini.

Ecco, è tutto.

Ora se hai voglia che come detto ti renda meno chiaro e più complicato quanto ho appena scritto (che poi non è certo la scoperta dell’America), puoi anche continuare a leggere. Ma io ti ho avvisato, eh!

Secondo la legge di Murphy se una cosa può andar male, di certo lo farà. Così – ad esempio – se una fotografia si può sbagliare, ci sono ampie possibilità che risulterà proprio sbagliata: fuori fuoco (e non leggermente), male inquadrata, male esposta, insignificante. E visto che le cose spesso procedono (o almeno procedevano una volta) in questo modo – e la fotografia sembra un campo in cui la legge di Murphy e i suoi corollari impazzano – ecco che l’Industria ha intuito che su questo si poteva lavorare e, s’intende, guadagnare bei soldoni.

Così, pian piano, sono nate delle fotocamere “Murphyproof“, a prova di (legge di) Murphy. Che oggi sono costituite principalmente da quelle contenute negli smartphone, con cui sbagliare è questione di talento, quello vero. Oggi dire a qualcuno che una sua foto è sbagliata vuol dire quasi fargli un complimento. A me fare le foto sbagliate piace, e sono bravissimo nel farle. Fare le foto per bene mi annoia, oramai. Non mi riesce più di distinguerle da quelle di millemilla fotografi che vedo online, anzi ovunque.

Bei tempi quelli in cui mi capitava di ammirare – sdegnato, allora – foto completamente sballate, ma di brutto. Quasi ho nostalgia di quei tempi in cui l’errore imperava, e la crescita culturale di un fotografo consisteva nel saper sfruttare adeguatamente (cioé creativamente) tali errori, o nell’evitarli.

Oggi sono diventato un malefico cercatore di peli nell’uovo, almeno quando esamino le foto altrui. Magari la foto è un po’ “grigiastra” (o “grigietta” se mi piace minimizzare), o la messa a fuoco non è perfetta, o l’inquadratura un po’ così. Bene, è un’ottima cosa.

Ma poi lo sanno tutti che con un “crop” e un colpo di curve e magari con un magico filtro di Photoshop tutto si mette a posto. La foto è poco nitida e il cielo fa schifo? Con un paio di click aumento la nitidezza e sostituisco il cielo scegliendolo in un’ampia galleria di possibilità e la mia orribile foto scattata a mezzogiorno sembrerà realizzata durante un’alba di fuoco. E che Murphy si fotta.

E’ evidente che il focus, dinanzi a questa imbarazzante situazione, si sia spostato molto, ma molto di più su cosa ci fai con quelle foto “non sbagliate”. Vabbe’, mandi la tua foto di paesaggio realizzata a mezzogiorno ma resa spettacolare con due click al concorso del Dopolavoro Ferroviario e magari vinci, ma poi? Insomma, assodato che quasi chiunque può avere nell’Hard Disk una foto “ben fatta”, allora come mi distinguo dalla massa?

Risposta possibile: la fotografia è morta, magari, ma non la capacità di comunicare attraverso di essa. Insomma, possiamo comunque utilizzarla per narrare qualcosa, per fare dello “Storytelling“. Che poi è un ritorno alle origini perché è questo l’uso saggio e intelligente della fotografia, e migliaia di fotografi lo hanno dimostrato, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra. In tal senso potrebbe addirittura essere che questo fenomeno di cui sto discettando sia qualcosa di buono, e di vantaggioso (cerco di essere positivo per una volta, ma si vede che fingo).

Insomma, cerchiamo di farla finita con il mito della perfezione tecnica, perché appunto oramai è alla portata di tutti e si può apprendere nel tempo di un tutorial su YouTube. Davvero. Poi si può limare un po’ lì e un po’ di là, ma insomma, che ci vuole? Ho visto bambini quasi in fasce prendere lo smartphone della madre e in cinque minuti fare fotografie perfette. Migliorabili per l’inquadratura, si potrebbe dire, ma con oltre 100 megapixel hai voglia a croppare e a creare il giusto “taglio” secondo le regole corrette.

Io me lo ricordo quando, ai tempi della pellicola, la gente andava dal negoziante anche solo per inserire il rullino nella fotocamera compatta, visto che la volta precedente non si era agganciato e non era venuta nemmeno una foto. Ah, come avrebbe goduto il buon Murphy!

Mi sovviene però che alla legge di Murphy ci sono innumerevoli corollari che vanno a esaminare ogni remoto recesso della sfiga che – com’è noto – ci vede benissimo, ti cerca attivamente e quasi sempre ti trova. Uno di questi corollari è definito “terza legge di Chisolm” (le due che la precedono ci interessano meno): “le proposte sono sempre capite dagli altri in maniera diversa da come le concepisce chi le fa“. Urca.

Dunque sono consapevole che l’ironia (spero anche l’autoironia) con cui sto scrivendo queste note sconclusionate, venga percepita nel modo sbagliato. Ma nonostante questo, vado avanti e che la buona sorte mi assista. Vorrei aggiungere che non solo le proposte ma anche le foto rispondono spesso al corollario: quante volte ti è capitato di realizzare fotografie con la certezza che esprimessero una certa idea e chi le guarda capisce l’esatto opposto, o dice addirittura di “non vederci nulla”? “Ma come?” protesti “è evidente che la foto esprime il mio disagio esistenziale dinanzi alla catarsi del Minollo!”, e l’interlocutore ti scruterà dubbioso sul da farsi, se sorridere comprensivo o scappare a gambe levate.

La citata legge a sua volta ha ben tre corollari: “se si spiegano le cose in maniera tale che nessuno possa non capire, qualcuno non capirà” è il primo, e temo che stavolta anche tu abbia capito fischi per fiaschi. Ma anche questo potrebbe non essere grave, visto che sono stanco anche di gente che dice sempre d’aver capito tutto, dai vaccini alla fisica quantistica, dall’istogramma di Lightroom alla conta dei megapixel.

Ad ogni modo, dopo la catarsi del Minollo decidi che è ora di essere meno criptici e realizzi finalmente alcune foto di una chiarezza lampante, che chiunque sarà in grado di capire, anche la nipotina di due anni. E niente, ci sarà sempre quello che nonostante i tuoi sforzi insisterà nel dire che nelle tue foto non ci vede nulla, ma proprio nulla. Maledetto.

Il secondo corollario recita: “se si fa qualcosa con l’assoluta certezza dell’approvazione di tutti, a qualcuno non piacerà” e scommetto che su questo concorderai anche tu che capita praticamente sempre. Realizzi il tuo bel progettino fotografico “furbetto” fatto apposta per raccogliere consensi e approvazione, poi vai alla “Lettura Portfolio” e te lo smontano in due secondi, per lodare magari quello accroccato in modo incomprensibile dal tizio dopo di te, che vincerà un premio per una serie di immagini “di rara intensità”. Disperato, decidi di concederti il lusso di una breve serie di foto di tramonti sul mare, dal titolo altisonante “Let there be light” (i titoli in inglese funzionano sempre meglio). I riferimenti biblici poi hanno sempre il loro fascino, si sa. Per la miseria, a chi non piacciono i tramonti? Ma l’essere insensibile di turno storcerà la bocca è sibilerà come il serpente avvinghiato all’albero dell’Eden: “mi ssssembrano foto assssai banali!”.

Il terzo corollario afferma con una certa sicumera che “se si vuol mettere qualcuno di fronte al fatto compiuto, il fatto non si verificherà“. Mi sa che io e te, a questo punto, siamo fregati.

Ma consoliamoci: oggi come oggi la fotografia è diventata “liquida” per utilizzare un termine in voga, e c’è stato un generale tana libera tutti e ognuno va per conto suo, secondo il motto “l’errore non esiste”, o con lo slogan “le regole sono morte” e così via. Il che dal mio punto di vista significa appunto cercare di mettere lo spettatore dinanzi al fatto compiuto – l’aver scattato la foto a casaccio e senza nemmeno un’idea, ma vedi quant’è figa? – solo che il fatto fondamentale (l’aver scattato una foto significativa) per l’appunto non s’è avverato. Ma con un po’ di ragionamenti contorti, si riesce a ingannare chiunque, specialmente gli altri fotografi.

E’ insomma un modo per infrangere la legge di Murphy della fotografia di cui parlavo all’inizio. Non ha alcuna importanza come verrà la foto: oramai conta l’idea, ed è ironico che questo avvenga in un periodo in cui di idee in giro se ne vedono poche (non solo in campo fotografico).

Avere un’idea è una gran cosa, sono anni che ci batto su questo concetto. Non per forza idee grandiose e complicate, basta anche un’ideuzza da due soldi, solo che – mannaggia la paletta – l’idea occorre averla davvero, e magari averla prima di scattare la foto, non dopo solo per far finta di essere intelligenti!

Ma il primo corollario della terza legge di Chisolm funziona alla grande, in questo caso.

Infatti, se il concetto è chiarissimo – apparentemente – è invece del tutto evidente che molti (quasi tutti) non hanno affatto capito di cosa si parli. Perché l’idea è qualcosa di profondo (e a volte di complesso), qualcosa che va gestito, organizzato. Mentre spesso è appena abbozzata e, dopo aver fatto tutte le foto, ci si arrangia con un ragionamento stiracchiato più o meno incomprensibile, spacciato per profonda riflessione esistenziale. Invertendo il secondo corollario, infatti, se si fa qualcosa con l’assoluta certezza di suscitare disapprovazione (pensa a chi sfida la sensibilità verso gli animali, o le minoranze etniche, o altre tematiche spinose), a qualcuno il tuo bel progettino piacerà, sicuro. Specialmente alle persone giuste.

Vabbe’.

Potresti chiederti cosa mi sia successo per tenere questo atteggiamento che riconosco può apparire un po’ acido. Nulla. Presumo sia il caldo che – chi mi conosce lo sa – io detesto. Oppure il fatto che ogni tanto mi capita di sfogliare qualche rivista di fotografia, magari di uno o due anni fa. Ondeggio tra il senso di colpa per non “capire” certe fotografie e il senso di fastidio che provo nel guardarle, oltre a un certo bruciore di stomaco che spesso – se mi capita – sfogo scrivendo. Ecco, questo magari puoi considerarlo il mio sfogo. Ma mi raccomando, cerca comunque di smentire Chisolm!

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