
L’ozio fa bene alla salute. Almeno così dicono. Figuriamoci quanto possa far bene alla fotografia! Non so te, ma io da piccolo immaginavo il fotografo come una specie di “schizzato” sempre con la fotocamera in mano mentre correva di qua e di là.
Se vogliamo un po’ il ritratto di Cartier Bresson che con la sua Leica è diventato famoso per i “balletti” che effettuava in mezzo alla gente per scattare le sue immagini. Mamma mia, che fatica!
Però, aggiungo, abbiamo un’idea dell’ozio decisamente sbagliata, come se fosse l’opposto di quanto appena descritto, del fare “ammuina” correndo a destra e a manca. Eh, no, l’ozio non è questo! L’ozio è un mettersi nuovamente in comunicazione con sé stessi: l’ozioso medita, non “stacca il cervello”, l’ozioso recupera le energie fisiche, non sta semplicemente fermo; l’ozioso guarda le nuvole passare e gioca a trovare somiglianze con oggetti o animali, non controlla se domani pioverà. L’ozioso è un essere che pratica la saggezza (quella bassa e popolare, magari, ma sempre saggezza è), non l’inattività più spinta.
Ma veniamo alla fotografia e all’immagine del fotografo iperattivo e veloce, in grado ci catturare “al volo” l’evento significativo, pronto a ghermire la preda fotografica come una pantera, agile come una genetta, concentrato come un arciere Zen. Ci sono in giro post che ti spiegano come muoverti nel contesto che hai scelto come una pantera, aguzzando la vista stile Superman o Wonderwoman, e c’è chi ha ideato accessori che ti permettono di sistemare gli obiettivi sul fianco come una cartuccera in modo da “cambiare ottica in una frazione di secondo”. Non sia mai che capiti di perdere l’occasione della nostra vita per scattare una foto memorabile.
Confesso che per mia naturale tendenza sono un po’ così. Insomma, frettoloso, ecco. Mio padre, da piccolo, mi aveva soprannominato “polverone“, per questa deprecabile predisposizione. Un po’ come “Bip Bip“, il personaggio dei cartoon. Mi piace comporre l’inquadratura, scegliere il momento giusto, ma (ahimè) fremo sempre un po’, vorrei archiviare lo scatto e passare oltre, hai visto mai che dietro l’angolo ci sia un’occasione migliore?
Ecco, dietro l’angolo non c’è mai nulla di meglio, nessun soggetto straordinario, perché non è il soggetto che alla fine conta, ma come lo percepiamo.
Così, ad esempio, approfondendo il lavoro di Cartier-Bresson, ho scoperto che il famoso “balletto” in mezzo alla folla lo faceva solo qualche volta, per il resto stava ore e ore fermo in attesa che soggetto, luce e contesto diventassero una grande foto, il noto allineamento occhio-cuore-testa.
Le grandi foto sono sempre state fatte da fotografi oziosi, nient’affatto iperattivi, sebbene sapessero agire nel più breve tempo possibile, all’occorrenza. Ansel Adams amava fare lunghe escursioni in montagna, ma poi la gran parte delle sue foto le ha fatto dai parcheggi se non dal tetto della sua Station Wagon. Lavorando con pesanti fotocamere grande formato, in fondo, non aveva poi tutti i torti.
Diciamo che è lo stato mentale che funziona, alla fine: dimenticare la fretta e fare qualcosa che prepara all’azione. Essere pronti, liberi da pensieri inutili, rilassati, sereni, tranquilli e via aggettivando. Quando ho scoperto ‘sta cosa mi si è aperto un mondo. Ma come potevo imparare davvero “l’otium“?
Debbo dire che la fotografia stenopeica – quella fatta con un forellino al posto dell’obiettivo, di cui vedi degli esempi nelle foto che illustrano il post tratte dal mio progetto “Una Momentanea Eternità“, che è anche diventato un libro – è stata la mia cura, la mia benzodiazepina, il mio Xanax, il mio Prozac!
Per ottenere risultati accettabili devi essere molto concentrato, ma nello stesso tempo rilassato: non puoi forzare le cose, devi metterci calma. E poi, durante lo “scatto” devi restare in attesa a lungo, a volte molto a lungo. La foto di un’antica strada romana realizzata in un giorno nuvoloso, ha richiesto 15 minuti di esposizione (su pellicola da 100 ISO) e ne ho fatte quattro diverse, totale: un’ora.
Anche quando c’è il sole, i tempi sono comunque lunghi, se ti autocostruisci le fotocamere (altra attività da oziosi!) e ricorri non alla pellicola ma alla assai meno sensibile carta fotografica.
La cosa bella è che entri in comunicazione con il soggetto in un modo impossibile altrimenti, se non altro perché devi per forza rinunciare alla serie classica: vedere il soggetto, trovarlo bello, scattare la foto, passare oltre. Qui no: il soggetto lo scegli perché ci tieni davvero, hai visto qualcosa che davvero davvero ti convince, dovendo convivere con lo stesso per parecchi minuti, a volte ore!
Piccolo spazio pubblicità: su questa tecnica, se ti ha incuriosito, sappi che ho anche scritto un agile ed economico manuale, “La Fotografia Stenopeica“, che trovi su Amazon sia in versione cartacea che ebook.
Ora, questo post non è certo per suggerire a tutti di passare alla fotografia stenopeica: ammetto che ci sono soggetti che proprio non si prestano, a cominciare spesso dai ritratti delle persone o a situazioni necessariamente veloci. E’ un genere fantastico ma non per tutti, anche quando declinato in digitale. Però l’approccio lento e ozioso mi sembra sempre valido. Come detto è uno stato mentale, non necessariamente fisico.
Nelle attività sportive o comunque prestazionali si chiama “flusso”: è quella situazione in cui fai le cose al meglio senza sforzo.
Molto studiato ad esempio negli sciatori che dichiarano di aver vinto delle gare non quando forzavano la loro prestazione, ma quando questa avveniva senza che loro intervenissero, apparentemente almeno.
Uno stato di grazia, potremmo anche definirlo, proprio come quello che a volte prende noi fotografi stenopeici. O, almeno, mi piace pensare sia così.