La Fotografia è come il Rock

Negli anni ’70 io ero giovanissimo e non ho molti ricordi. Dunque la mia passione per la musica si è sviluppata soprattutto negli anni ’80. Amavo molto la New Wave britannica, specie quella più “dark”.

Tuttavia, il contesto musicale era già piuttosto impoverito – e non bastavano i Clash o gli Smiths a risollevarlo – e si guardava sin da allora con una certa malinconia agli anni ’70 appena trascorsi.

Visto che poi negli anni successivi le cose sono andate ancor più deteriorandosi, si è sviluppato questo luogo comune secondo cui la musica Rock ha dato tutto negli anni ’70 e che da allora ci sono state soltanto meste riproposizioni, qualche rara intuizione (semmai ispirandosi a gruppi di un passato ancora più lontano, come i Blur o gli Oasis hanno fatto con i Beatles) e poco altro.

 

Ora mi dirai: ma questo non era un blog sulla fotografia?

Certo, ma la riflessione con cui intendo, spero, intrattenerti oggi (e chissà, convincerti che ho ragione) mi è nata proprio ripensando alla scena Rock, oltre che grazie a un fortunato acquisto fatto in un mercatino di roba usata. Per ben quindici euro mi sono infatti portato a casa i sei volumi (dei veri tomi) della “Enciclopedia della Fotografia” edita dai Fratelli Fabbri alla fine degli anni ’70.

Me la sto leggendo pian piano con grande interesse e la cosa sorprendente è che se le tecniche sono indubbiamente evolute, tutti i lavori dei lavori dei grandi fotografi proposti come esempi (da Giacomelli a Mario Cresci, solo per fare dei nomi) commentati da Carlo Arturo Quintavalle, mi appaiono di incredibile modernità.

Ma soprattutto mi sembrano quasi esaurire gran parte dello “scibile” della fotografia: il mosso intenzionale, lo sfocato creativo, l’offcamera, le esposizioni multiple, l’alto contrasto, l’infrarosso, e così via.

E questo solo riguardo le tecniche pure e semplici, che alcuni ancora oggi spacciano come chissà quali novità. Ma soprattutto c’era una creatività pazzesca e una grande capacità comunicativa, laddove oggi si ondeggia tra il banale e l’incomprensibile. Certamente il tutto è anche frutto dei tempi, del fatto che allora si pensava di poter davvero cambiare il mondo, mentre poi si è dovuto fare i conti con la disillusione e con il cosidetto “riflusso”. Insomma, con un ripiegamento su se stessi, stante le delusioni anche politiche.

Quel che è certo è che oggi possiamo fare le cose molto meglio. Possiamo gestire la gamma tonale e i colori con due colpi di mouse, possiamo fare in modo che l’inquadratura sia pefetta al millimetro, le linee cadenti renderle verticali senza ricorrere a banchi ottici o obiettivi decentrabili. Tutte cose bellissime, ma che non cambiano di una virgola il fatto che questi qui, negli anni ’70, forti delle esperienze maturate nei decenni precedenti, avevano già fatto quasi tutto.

Così m’è venuto da pensare a questo parallelismo tra musica Rock e fotografia: entrambe queste arti sembrerebbero aver esaurito la spinta innovativa e creatrice (partita vent’anni prima) in quel decennio, per poi vivere semplicemente di rendita.

Giacomelli me lo vedo proprio come gli Yes o un altro gruppo del “Progressive“, che so i Jethro Tull con le loro note meditabonde. Mi sembra tra l’altro che un brano come “Roundabout” (che apriva l’album Fragile degli Yes) ci starebbe benissimo con le foto contrastate dei campi coltivati del fotografo marchigiano. C’è il richiamo alle sonorità romantiche classiche ma anche un certo ritmo contrastato che ben si adatta.

Per Pepi Merisio sceglierei i King Crimson o i Gentle Giant, ma anche qualcosa di più melodico, tipo “Simple Man” dei Lynyrd Skynyrd. E per Luigi Ghirri, che tra il 1973 e il 1978 ha realizzato alcune delle sue foto migliori, sceglierei “Who’ll Stop The Rain” dei Creedence Clearwater Revival, anche se lui amava Bob Dylan più che altro, mentre qualcosa di più classico per Paolo Monti, che negli anni ’70 era ancora in piena attività: ad esempio Bob Seger and Silver Bullet Band (quelli di “Against the Wind“).

Molti dei brani citati sono stati ripresi da musicisti di oggi: sono le cosiddette “cover”. Il brano Roundabout degli Yes ad esempio è stato riproposto da Paul Gilbert (uno dei migliori chitarristi contemporanei) nel 2015. Per dire.

Ecco, a volte mi sembra che la fotografia di oggi sia tutto un fatto di cover. Si toglie la batteria vera e si mette quella elettronica (o digitale), al posto del Mellotron si usa il computer, la voce si aggiusta o si cambia con l’Autotune e il gioco è fatto.

Magari non è proprio la stessa cosa, tuttavia non riesco a vedere qualcosa di davvero innovativo anche in quelle ricerche fotografiche più estreme, in cui alla fine si finisce per perdere di vista addirittura la matrice stessa della fotografia, per passare ad altro, quasi che la fotografia stessa non bastasse più, non fosse sufficiente alle necessità creative ed espressive.

E ci potrebbe pure stare, in fondo è un po’ come il Figurativo a un certo punto non è più bastato agli artisti a rappresentare le nuove idee e i concetti della modernità, cosa che ha portato dapprima al Cubismo, poi all’Astratto più in generale. Ma anche qui, dopo gli anni ’70 di cose davvero nuove se ne sono viste poche, se non in campi che oramai con la pittura e la scultura hanno poco a che fare, come le Installazioni, gli Happening, il Video e così via.

Non credo dunque che sia un caso se molti fotografi creativi si stiano buttando sulla “digital art” che, sebbene a volte pare riprendere la logica dei fotomontaggi anni ’30, o le magie di autori come Jerry Uelsmann, rappresenta un approccio effettivamente nuovo, almeno nelle forme. Ma che non sono certo possa essere ancora classificata come “Fotografia” almeno nel senso classico del termine.

E mi chiedo anche se il fatto che le carriere dei grandi fotografi che tutti noi amiamo e che sono ancora vivi (e speriamo lo restino a lungo!), ma appartengono all’epoca di cui sto parlando – i vari Jodice, Guido Guidi, Koudelka, Fontana, e così via – non sia dovuto anche al fatto che un vero ricambio ancora non sia arrivato.

Ovviamente ci sono moltissimi giovani (e meno giovani) fotografi di grande talento, quel che mi sembra manchi è una certa capacità di esprimersi in modo nuovo e di creare un corpus visivo coerente, una spinta a rompere gli schemi senza disperdere i contenuti, anzi a volte la capacità stessa di trovare temi che non siano il solito guardarsi l’ombelico.

Soprattutto si vedono troppi rimandi autoreferenziali e la mancanza di un serio dibattito che serva a crescere, a confrontarsi, a elaborare idee completamente originali. Il che non sempre significa – come molti credono – inventarsi nuove tecniche o modalità “strane”, ma semplicemente modi davvero personali, profondi e coinvolgenti di esprimere se stessi e le proprie idee, in un modo che diventi esempio anche per gli altri, che stimoli le altrui ricerche e non si esaurisca nel dire “guarda quanto sono bravo”. Di bravi fotografi è pieno il mondo, oramai: quel che mancano sono i “maestri”! Magari non si sono ancora “rivelati”, ma l’atmosfera non sembra promettente.

Ho appena finito di leggere un libro su Ugo Mulas e la caratteristica che più emerge di questo immenso fotografo è la perenne “insoddisfazione”, la costante ricerca di modi nuovi ed efficaci di esprimere le proprie idee (a iniziare dal fatto di avere delle buone idee, che mica è scontato), il confronto con gli altri fotografi e artisti (già ai tempi del mitico Bar Jamaica a Milano), le sperimentazioni finali che servivano proprio a esplorare lo stesso medium utilizzato, cioé la fotografia, cosa che invece i più danno per scontato, specialmente oggi.

Chi farebbe mai una “Verifica” del digitale? A parte che molte delle Verifiche di Mulas sarebbero valide ancora oggi, la verità è che mancano quelle più direttamente legate alla nuova tecnologia. Ad esempio la perfetta riproducibilità. Sebbene anche un tempo, partendo dal negativo, si potevano ottenere stampe quasi indistinguibili, comunque non erano mai assolutamente identiche come invece lo sono le copie dei file digitali. Dunque si potrebbe fare una stampa 70×100 cm suddivisa in quadratini di 2×3 cm con all’interno sempre la stessa foto, ripetuta quasi all’infinito.

Non solo: c’è anche la possibilità di fare infinite varianti della stessa foto, anche solo applicando dei semplici filtri digitali. O il fatto che puoi scattare con uno smartphone e poi trasformare la foto… in quello che vuoi. Mulas si sarebbe divertito parecchio a “verificare” ‘sta roba!

Resta il fatto che allora ben più di oggi i fotografi parlavano tra loro, litigavano, si dividevano in fazioni. Oggi lo fanno solo su Internet, insultandosi. E non è la stessa cosa. Per crescere il confronto è tutto e con poche eccezioni tale dibattito è praticamente morto, anche perché pochi fotografi hanno abbastanza competenze (o cultura fotografica) per mettersi lì a litigare non sull’ultimo modello di fotocamera ma sulle scelte stilistiche e di contenuto.

Lo scrivo mentre ascolto “Baba O’Riley” dei The Who e mi sforzo di ricordare se anche allora (almeno nei primi anni ’80) mi lamentassi del mainstream. Forse si. Ma oggi il problema (anche qui: non solo della musica!) è che accanto al mainstream c’è poco o nulla. Tanto che dei musicisti acerbi ma bravi, comunque non dei fenomeni di innovazione (almeno per ora) come i Maneskin ci appaiano qualcosa di dirompente, aria fresca in un panorama come quello italiano in cui ancora domina la rima “amore/cuore”. Se guardi la Top 100 di Rolling Stone (la rivista), scoprirai che sono quasi tutti musicisti di un passato più o meno remoto, vorrà dire qualcosa.

In fotografia lo sforzo sarebbe ancora più vano: l’ultima generazione dei “grandi” (ad esempio quelli della Scuola di Dusseldorf) ha la mia età. E onestamente tende parecchio a ripetersi, a suon di vendite milionarie tra l’altro.

Guardandomi metaforicamente allo specchio, mi sono chiesto infine se magari non sia retorico questo sostenere che “un tempo era meglio”, come mi ha detto un amico sostenendo che è sbagliato, ovviamente. Ecco, forse si, forse lo è.

Probabilmente non rendo giustizia ai tanti, tantissimi musicisti e fotografi che negli ultimi trent’anni hanno fatto del loro meglio per innovare e trovare strade davvero personali, spesso riuscendoci. Ma è sottinteso che io sto parlando del quadro generale, in cui poi le eccezioni ci sono sempre e spesso sono anche importanti.

Ma il senso di frustrazione resta, e non so se riguarda solo me.

E’ come avere un’auto potente (fuor di metafora: la fotografia digitale) e non riuscire ad andare più veloce di una bicicletta. Potremmo fare tutto, ma poi facciamo poco più di quello che già facevano i nostri padri/madri e nonni/e. Quasi che potendolo fare più comodamente e in poco tempo – e senza sporcarci le mani in Camera Oscura – non sentissimo più la necessità di indagare strade diverse. Se non esagerando in modo pacchiano.

Sta di fatto che se debbo fare una lista delle migliori canzoni Pop e Rock della storia, almeno i due terzi (abbondanti) sono degli anni ’70, molto c’era ancora negli ’80, nei ’90 poca roba (in buona parte grazie al Grunge: dai Nirvana ai Pearl Jam, ma anche i Red Hot Chili Peppers e i Radiohead), poi il buio (anche qui eccezioni ce ne sono: “American Idiot” dei Green Day esce nei primi anni ‘2000, per esempio, ma il gruppo viene dal decennio precedente).

E quando mi chiedono di parlare di fotografi che reputo fondamentali… e niente, son solo nomi del passato, magari ancora in attività, ma che comunque negli anni ’70 avevano raggiunto la maturità e poi hanno continuato a produrre progetti di grande valore. Sarà un caso? O sarò io?

Sinceramente non so rispondere, ma spero di averti almeno dato qualche spunto di riflessione. Dovrai comunque ammettere che – anche se non concordi con le tesi proposte – almeno la colonna sonora di questo post non è niente male!

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