
Ho conosciuto Marco Scataglini in occasione del lancio del suo nuovo libro “Raccontare per Immagini: la fotografia al plurale e al singolare“, e sono bastati pochi minuti per farmi decidere che volevo assolutamente un suo guest post per il blog di reflex-mania.
Per prima cosa però, te lo presento utilizzando le sue parole. E poi ti dico la mia ….
“Sono un fotografo e un autore di saggi sulla fotografia (e non solo). La mia formazione è avvenuta sul campo, collaborando per oltre 15 anni con le più importanti riviste di viaggi e turismo, pubblicando migliaia di fotografie, reportage (circa 200) e testi. Oggi mi occupo di fotografia creativa, alternativa e irregolare, sia analogica che digitale, e sono un ricercatore di “cose interessanti” da raccontare, soprattutto nel campo della fotografia, dei luoghi, della natura e dei paesaggi, anche grazie alle tecniche dello Storytelling”
Marco insomma non solo è un fotografo e un autore di libri di fotografia estremamente capace; ma appartiene anche a quella rara schiera di persone, per lo meno in questo settore, che vivono ancora il piacere vero di condividere la loro passione e la loro conoscenza.
Vedi, un fotografo molto conosciuto, e di cui preferisco non fare il nome, una volta mi disse con prosopopea: “nel mondo della fotografia, meno siamo meglio stiamo”.
Ecco, Marco è l’antitesi di un atteggiamento di questo tipo.
La gioia di raccontare la fotografia traspare da ogni parola dei suoi libri. Così come non si trova traccia della spocchia con cui spesso, fotografi anche molto meno abili, ammorbano il lettore in cerca di consigli.
E al tempo stesso, i suoi libri dimostrano una cultura fotografica enorme, e una facilità e chiarezza di scrittura che davvero coinvolgono il lettore.
Quindi, insomma, sono davvero contento di ospitare oggi, e per la prima volta, Marco sul nostro blog.
Ci parlerà di un tema che, per tanti motivi diversi, sta tornando molto di moda fra i fotografi professionali e non: la fotografia analogica.
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Ma … A tanti anni dall’introduzione del digitale, perché e in che modo ha ancora senso parlare della fotografia analogica?
A Marco il compito di rispondere a questa domanda.
Il Ritorno della Fotografia Analogica
“A volte ritornano …
La Fiat 500, il Maggiolone Volkswagen, la Mini Cooper, la Citroen 2CV e pare addirittura la Renault 4 che ha segnato la gioventù di molti noi.
Poi le motociclette Norton, BSA, Triumph, Guzzi, Benelli. I giubbini Moncler e le scarpe da paninaro anni ’80 dove le mettiamo?
Per non parlare dei frigoriferi stile “Happy Days”, le radio a transistor che sembrano quelle a valvole dei nostri nonni, e così via.
Poi prendete un catalogo delle nostre amate fotocamere e sembra di essere tornati ai tempi di Capa e Cartier-Bresson, in un fiorire di Leica-style mirrorless, come le Fuji serie X e le Olympus Pen uguali uguali alle Pen mezzo formato (18×24 mm su normali rulli 135) degli anni ’60.
Alle feste c’è addirittura chi tira fuori la sua amata Polaroid e scatta foto istantanee su pellicole Impossible Project.
Ma che sta succedendo?
Le cose sono due: o si assiste a una clamorosa mancanza di fantasia da parte dei designer industriali – e dunque la cosa migliore da fare è riprendere il look degli oggetti del passato e sfruttarlo al meglio, attualizzandolo – oppure c’è una diffusa nostalgia di massa, e ognuno desidera rivedere negli oggetti che usa oggi un riverbero di ciò che ha amato quando era più giovane.
Considerando che i giovani di oggi, con la disoccupazione che divora il loro futuro, hanno minori capacità di acquisto, può starci che in verità siano i Baby-boomers a spendere i propri soldi in questi oggetti dal sapore vintage.
Insomma, cinquantenni e sessantenni dalla lacrimuccia facile e pronti a spendere per avere una fotocamera a blocchetto rivestita di (finta) pelle o stilisti che dopo il postmodernismo non sanno inventare nulla di nuovo?
Credo entrambe le cose, ma anche molto di più.
Perché a ben guardare, sono invece proprio i giovani lo “zoccolo duro” di questa riscoperta del passato.
Sono loro ad aver decretato il successo della “Lomografia”, sono loro a voler tornare a chiudersi in camera oscura a sviluppare – e magari stampare – i rulli bianco e nero esposti con la vecchia fotocamera del nonno.
Loro, i nativi digitali, a guardare con curiosità a un tipo di fotografia, e di stile di vita, che non hanno conosciuto direttamente, e ad aprire gruppi su Facebook per discutere dell’ultimo adattatore per le ottiche vintage fabbricate in Germania (dell’est), o per valutare i risultati delle loro fotocamere stenopeiche.
Ma al di là dell’analisi sociologica, che ci dice poco del fenomeno – per sua natura trasversale – ci sono precise indicazioni su dove la fotografia sta andando e sul perché la discussione su analogico e digitale abbia perso forza a vantaggio di un approccio più libero e “ibrido” (analogico+digitale), dunque più creativo.
Io ho incrociato il digitale nel dicembre del 2002, quando acquistai una Nikon D100. Il mio lavoro di fotografo per riviste di viaggi e turismo avrebbe conosciuto grandissimi vantaggi da questo passaggio, fermo restando che sino a tutto il 2004 le riviste accettavano con difficoltà i file digitali, preferendo le più tranquillizzanti diapositive.
Il digitale mi sembrava una magia. Niente più attese col cuore in gola, niente più investimenti onerosi in centinaia di rulli Velvia e relativi sviluppi, assoluta libertà creativa.
Il digitale era una terra vergine, e ognuno – diciamolo – faceva come gli pare, esagerando allegramente. Era un turbine di emozioni, ogni giorno si scopriva una possibilità nuova, anche grazie alla sempre maggiore diffusione di Internet.
Nel 2005 acquistai negli USA (il download fu eterno!) la prima versione di Photomatix Pro, il software per l’HDR, e d’improvviso avevo il controllo to-ta-le di luci e ombre. Figo! Ricordo ancora una copertina de “I Viaggi” di Repubblica con una foto “impossibile”: tutti i colleghi mi chiedevano come avessi fatto a tener dentro una gamma di luci così ampia. Son soddisfazioni.
Ma poi… insomma, poi tutto questo diventa terra esplorata, anzi colonizzata in massa. I tutorial ti guidano passo passo, puoi montare cieli invernali su foto di spiagge estive, modificare i volti delle modelle (e correggere i corpi), puoi fare tutto. Tutto. Dunque niente. Niente di veramente nuovo, intendo.
Io sono tornato alla pellicola proprio per questo, credo. Per ritagliarmi uno spazio di creatività vera, perché la vera creatività nasce dai limiti che uno deve riuscire a superare.
Ernst Haas inventò il mosso intenzionale e il panning perché le pellicole che utilizzava (diapositive Kodachrome da 25 ISO) non gli consentivano di scattare – con poca luce – immagini ferme di soggetti in movimento. Un limite, un’idea per superarlo. Click.
Oggi con fotocamere in grado di scattare a 25600 ISO, e anche più, che problema c’è? E con certi softwares puoi scattare un’orribile foto di paesaggio e renderla “bella” (si fa per dire) con un semplice click del mouse. Sempre di click si tratta, ma c’è una differenza abissale!
Intendiamoci: amo il digitale, e continuo a utilizzarlo quotidianamente. Non è questo il punto. Il punto è che abbiamo imboccato una strada senza uscita. Possiamo migliorare ancora le tecnologie, ma queste non ci possono comunque più dare quelle emozioni provate all’inizio, quando i pixel sembravano il sostituto ideale del grano d’argento.
Invece quella rassicurante e comprensibile tecnologia del passato, quei meccanismi da orologeria, il rumoroso “clang” della mia reflex Miranda anni ’70, gli obiettivi dal bokeh incredibile, non ancora apocromatici e perfetti ma pieni di aberrazioni, lo “swirling” ai bordi, ci regalano ogni volta sensazioni e sorprese nuove. E basta farsi un giro su ebay e spendere pochi soldi per entrare in una nuova dimensione.
Per questo forse il “vintage”, ma sarebbe meglio dire il “Lo-Fi” (Low Fidelity, bassa fedeltà), sta conoscendo un grande successo: dalle Toy Cameras con obiettivi a lente semplice, spesso di plastica (“Plastic is fantastic” è il motto mutuato dalla canzone “Barbie girl” degli Aqua) alle vecchie fotocamere formato 120 degli anni ’50 e ’60, dalle fotocamere a telemetro antesignane delle moderne compatte alle simil-leica russe come le FED e le Zorki, per non parlare delle ottiche di quaranta o cinquant’anni fa, che oggi si possono facilmente adattare sulle mirrorless Olympus, Fuji, Sony e di altre marche, è tutto un fermento di sperimentazioni interessanti.
Certo, conta sempre (per fortuna) la bravura e il “manico” del fotografo, ma l’aspetto ludico sottinteso al fenomeno è innegabile e spiega perché, in fondo, anche coloro che restano fedeli alla modernità e alla tecnologia più spinta, alla fine non sanno resistere all’estetica vintage.
Certo, è solo la “pelle” esterna, ma vuoi mettere?”
Marco Scataglini
Qualche immagine vintage di Marco Scataglini
Oltre all’articolo, Marco mi ha inviato qualche foto da condividere sul blog. Eccone alcune, in tutta la loro bellezza vintage bianco e nero.
Conclusioni
Ringrazio davvero Marco per la sua disponibilità, e spero di averlo presto di nuovo ospite su reflex-mania.
Se vuoi imparare da lui, puoi:
Visitare il suo blog personale, Kelidon Foto&Libri
E leggere uno dei suoi libri, come:
Un saluto!