Una lettura fotografica di gruppo

Per imparare a scrivere occorre leggere molto. Così, per imparare a fotografare meglio, è necessario “leggere” le fotografie, non limitarsi solo a guardarle, ma applicare lo “studium“, come lo definiva Barthes, cercare magari il “punctum“, quel che colpisce, che “punge”, l’elemento forte della foto e infine identificare quel che il fotografo voleva dire e quale impressione provoca in noi la foto.

Un processo lento all’inizio, ma che col tempo diventa man mano più facile e veloce: come in ogni campo, è l’abitudine che semplifica le cose. Basta perseverare.

Così, nel corso Smettere di Essere Principiante di Reflex-Mania abbiamo introdotto anche un esercizio mensile di lettura fotografica. Scelgo una foto che reputo significativa e invito i corsisti a studiarla e commentarla. I risultati del primo esperimento credo siano interessanti per tutti coloro che sono appassionati di fotografia.

Leggere una foto non è affatto semplice. Spesso non abbiamo molte informazioni certe sulla foto da esaminare, e nemmeno l’autore è attendibile. Anzi, spesso l’autore depista le nostre intenzioni, perché tende a nascondere le sue reali intenzioni al momento dello scatto, per i più disparati motivi.

La verità è che non esiste una lettura certa e definitiva di una foto, al massimo si ha solo una “interpretazione autentica” che l’autore offre al pubblico, un po’ come fece Duchamp con le sue note al “Grande Vetro“, che poi complicarono ancor più la comprensione dell’opera, piuttosto che facilitarla.

In altre parole, gli elementi della foto sono le uniche cose certe, e alla fine ciò che conta è interpretarli correttamente e farsi un’opinione basata su questi stessi elementi, ma giocoforza personale. Come leggendo un romanzo si hanno emozioni e coinvolgimenti diversi da lettore a lettore, lo stesso capita in campo fotografico (crf articolo Come si legge una fotografia). E va bene così.

Dunque la discussione che si è aperta nel corso SEP ha dimostrato la buona volontà delle persone coinvolte, e spesso la loro competenza, e ha fornito elementi di valutazione molto diversi tra loro.

La foto che avevo scelto è di Ferdinando Scianna ed è stata scattata a Modica, in Sicilia, nel 1987.

Rappresenta la modella Marpessa insieme a un gruppo di signore anziane del posto, in una posa apparentemente molto libera e casuale, al punto che qualche corsista ha suggerito si tratti di un “backstage” talmente ben riuscito che poi è stato utilizzato nella campagna pubblicitaria di Dolce e Gabbana che Scianna stava realizzando in quel momento.

Le indicazioni che ho dato sono state quelle di cui ho appena parlato: “analizzate la costruzione e le scelte tecniche di Scianna, notate quale possa essere il punctum della foto, valutate cosa cambia nella vostra percezione sapere che la foto è costruita con una modella e non trovata spontaneamente (un po’ come il famoso bacio di Doisneau), valutate se la foto vi piace e vi comunica qualcosa o se la trovate insipida o poco significativa (nessuna remora, nemmeno Scianna è intoccabile!), o vie di mezzo, parlatene tra voi, confrontatevi, difendete le vostre opinioni o cambiatele motivando il tutto”.

Sin da subito si è acceso un bel dibattito. Non posso riportare tutti i commenti, ma alcuni che trovo significativi vorrei citarli.

Diversi corsisti hanno ad esempio rilevato che la luce è intensa e quasi frontale (infatti quasi tutti i personaggi tendono a chiudere gli occhi), che i soggetti hanno una disposizione leggermente obliqua per dare un po’ di movimento all’immagine e che c’è una grondaia dietro la donna di destra e altri elementi che, normalmente, sono considerati “errori” se presenti nelle foto di un amatore. Il che è indubbiamente vero.

Probabilmente Scianna voleva far credere (o forse lo è) che la foto fosse del tutto casuale con l’unico inserimento “fuori contesto” della modella.

Secondo altri si nota un atteggiamento naturale, tipicamente paesano e compiaciuto delle signore come a voler apparire anche loro in qualche modo simili alla ragazza che per contro sembra un pò impacciata.

Secondo me l’inquadratura non è delle migliori. Poteva essere migliorata” chiosa un corsista.

In effetti l’aspetto dell’inquadratura è quello che ha colpito di più. Insomma, un fotografo Magnum! Eppure, potrebbe essere voluta, come ho già detto. O magari no. Chiediamoci se la foto funzioni ugualmente nonostante – o proprio grazie a – questo fatto. Non dobbiamo decidere se noi avremmo fatto la foto allo stesso modo, e nemmeno se davvero ci piace: il nostro obiettivo è comprendere il lavoro del fotografo, il suo lavoro, il suo modo di vedere.

Ci interessa sia per la nostra personale cultura, ma anche per imparare.

In tal senso le considerazioni di tipo sociale vanno benissimo. Una foto che non lascia indifferenti è sempre meglio di una foto bellissima ma vuota.

Così c’è una corsista che ci vede “l’interpretazione del come buona parte degli uomini vedono e si rapportano con le donne. E’ lezione di vita. Tutte al muro. Tutte vittime di una visione maschile (furba). Chi “fuciliamo” per prima? Da destra verso sinistra: donna in nero, vedova in lutto stretto con cammeo al collo, in virtù del suo stato deve essere la più composta del gruppo, donna con occhiali, un animo semplice (si vede dal sorriso ingenuo) trattata da “animo semplice” nel significato negativo del termine, donna col grembiule, stava facendo i lavori domestici, come sempre, da una vita e dalla vita lei non ha potuto avere altro, donna su di un piede: dotata di un carattere più forte, ha colto parecchi insegnamenti di vita, scruta diffidente ma sicura, ma intanto è “al muro” anche lei. Marpessa: “vergognati di essere nata bella!”. Per punizione, le si crea imbarazzo, usando il mezzo subdolo, ma grande classico, del confronto con altre donne meno belle ma che, sempre per imprinting e sopravvivenza, sono pronte alla maldicenza. In sintesi, dopo averci pensato bene, il fotografo ci ha parlato con un linguaggio universale (per me la foto potrebbe anche essere stata scattata nel Monferrato) le Donne sono una forza, come possiamo metterle “al muro”? Calchiamo la differenza di fisicità, età e quant’altro e creeremo invidie e malumori fra di loro, rendendole più deboli“.

Una lettura sociologica approfondita, interessante e ben articolata che trovo abbia un senso.

Magari non ci si pensa di primo acchito, ma lette queste parole indubbiamente tale contenuto “patriarcale” è sicuramente evidente e difficilmente potremo essere certi se è voluto – e dunque critico – o semplicemente dato per scontato dal fotografo. Ma che una fotografia possa aprire spiragli per una simile riflessione e discussione è più che interessante!

In tal senso un’altra partecipante al dibattito aggiunge che “appena ho visto la foto (che non conoscevo) ho pensato ad una pubblicità di Dolce e Gabbana, per poi averne conferma. Trovo che la foto contenga tutte le immagini stereotipate del sud (luce accecante, donne anziane in nero, carretti siciliani e barocco ed una Napoli tutta cornetti rossi e luoghi comuni) tipiche delle loro campagne pubblicitarie più una bella dose di maschilismo (con le donne anziane usate come oggetti di folklore)”.

Il fatto che la foto faccia parte di una campagna pubblicitaria può orientare il nostro giudizio, ma oramai la foto ha vita autonoma, e come tale va valutata, anche perché certe campagne “d’autore” chiedono appunto al fotografo di seguire la propria ispirazione e non certo un lay-out prestabilito.

La discussione è andata avanti con molte ulteriori riflessioni e approfondimenti, a dimostrazione di come una lettura collettiva di una foto possa davvero allargare la mente, farci entrare nei meccanismi stessi della fotografia e in fondo farci comprendere qualcosa anche di noi. Reagiamo alle fotografie secondo la nostra cultura, e quindi commentarle è una sorta di mettersi a nudo, un rivelare qualcosa di sé. E questo non è certo poco.

Dopo quasi 100 commenti, e tutti pertinenti, profondi e ben strutturati posso dire che l’esperimento ha avuto un grande successo, e ti invito a provare anche tu a scegliere qualche foto che ti colpisce – o al contrario che proprio non sopporti – e a farne un’analisi approfondita. Com’è la luce, la composizione, che soggetto è stato scelto, che tecnica di ripresa? Cosa provo rispetto a questa foto, e perché? E avanti così. Non basta dire “mi piace o non mi piace”, c’è – davvero – molto di più.

Alla fine ho creato un collage dei commenti giunti nell’ambito del corso e messo a punto uno schema che ti allego qua sotto, magari ti è utile. Nello schema ho riassunto le considerazioni principali dei corsisti (oltre alle mie), in un’analisi che credo mostri bene il lavoro svolto, pur senza esprimere giudizi.

Infatti è bene esprimere un apprezzamento o uno scarso gradimento della foto in fase di analisi, ma poi nella sintesi occorre arrivare a una certa oggettività.

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