Dal meme al Me-Me – Fotografia e regole

Avrai sentito parlare dei “meme” che spesso hanno successo su Internet. In realtà il concetto non nasce con Twitter o Facebook, ma risale al 1976 quando viene reso noto dall’etologo Richard Dawkins col suo libro “Il gene egoista.

Un meme è la più piccola unità culturale capace di replicarsi nei cervelli umani, in modo simile a quanto fanno i geni negli organismi viventi. In tal senso, ogni moda, stereotipo, proverbio, modo di dire che si propaghi per pura e semplice imitazione, in modo virale, è un meme (dal greco mimema, cioè imitazione).

Un meme è spesso falso, o almeno è costrittivo, magari basato su presupposti errati. Per questo Internet ne è pieno, perché la Rete facilita la circolazione delle “idee”, specialmente quelle che vanno incontro ai pregiudizi delle persone.

Ma in senso generale, il meme è qualcosa che stringe l’intera società in legacci sempre più rigidi, una limitazione potente, a volte asfissiante. E questo vale anche per i fotografi, s’intende.

Le varie regole e regolette con cui i fotografi venivano un tempo bombardati (“tieni il sole alle spalle!”, “non mettere il soggetto al centro!”, “tieni dritto l’orizzonte!”, e così via) sono tutti meme; e sono meme anche le varie considerazioni tecniche che vengono generosamente fornite su Internet ai fotografi specialmente se principianti: una fotocamera da 24 megapixel è meglio di una da 18 (e qui si dovrebbe invocare Catalano), un obiettivo luminoso è migliore di uno “buio”, il bianco e nero è più artistico del colore, la fotografia deve essere nitida, ferma, piena di dettaglio, e così elencando, costrizione dopo costrizione.

Questo porta a due risultati: che i fotografi suddetti scattano tutti o quasi allo stesso modo ottenendo immagini simili, almeno nel loro aspetto esteriore, nella “confezione” diciamo, e che gli stessi non capiscono perché vengano considerati “maestri” fotografi che, come Mimmo Jodice, col cavolo che rispettano quelle regole e considerazioni tecniche.

In effetti è singolare ascoltare i commenti degli appassionati che visitano una mostra di fotografi contemporanei, ma anche del passato: si avvicinano alle stampe e valutano se la gamma vada dalla “Zona 0 alla Zona X“, quante linee per millimetro sia stato in grado di registrare l’obiettivo del fotografo, se l’immagine è ferma e davvero nitida, se i colori sono adeguatamente squillanti, se i soggetti sono colti rispettando la sacra regola dei terzi, eccetera.

Li ho sentiti io demolire autentici “mostri sacri” (ad esempio Cartier Bresson o Giacomelli) perché non “fedeli alla linea”.

In alternativa, ci sono appassionati che esaltano i “mostri sacri” che hanno il coraggio dell’originalità, ma da parte loro non oserebbero mai fare altrettanto, col rischio di essere redarguiti sui forum di riferimento per aver tradito una religione che non ammette eccezioni, qual è per alcuni “la buona fotografia”.

Debbo confessare di aver militato anch’io in questa religione asfissiante, dalla quale con difficoltà mi sono liberato. Andavo alle mostre e mi scandalizzavo per quanto scarsa fosse a volte la qualità “intrinseca” delle foto dei “grandi” autori, provando anche un brivido di piacere nel vedere che alla fine “anche loro” potevano sbagliare.

Aveva voglia il grande HCB a dire che “la nitidezza è un concetto borghese“!

La nitidezza è uno dei meme più resistenti nel nostro campo, specialmente oggi che si può contare sul “pixel peeping“, che letteralmente significa “ammirazione dei pixel” e che di fatto si traduce nell’osservazione delle foto digitali al 100% e a volte anche di più.

Ho conosciuto fotografi che si lamentavano della qualità ai bordi delle loro foto ingrandite al 300%! La cosa bella è che nemmeno un obiettivo Zeiss o Leica da molte migliaia di euro resisterebbe a una simile analisi al microscopio.

Molti anni fa, lavoravo per una piccola agenzia fotografica legata al WWF, Panda Photo. Erano i tempi dell’analogico e la faccenda si svolgeva così: ritiravi le diapositive dal laboratorio, le mettevi sul tavolo luminoso e le esaminavi con una “loupe“, una lente d’ingrandimento da 10x.

Quelle nitide e interessanti le mettevi nei plasticoni da portare in agenzia, quelle così così le rimettevi nello scatolino, le altre le buttavi. Perfetto.

Poi arrivò la digitalizzazione: non ancora la fotografia digitale, ma la scansione professionale delle diapositive, che Panda Photo eseguiva “in casa”. Un giorno capito in sede e mi vengono mostrate su monitor (a tubo catodico, grande come un frigorifero) le mie foto digitalizzate di fresco.

Un click e le potevi vedere al 100% dell’ingrandimento. Un tuffo al cuore: non ce n’era nemmeno una davvero “nitida” secondo i parametri di oggi, eppure molte sono finite a illustrare calendari e riviste, senza problemi.

Da allora il “pixel peeping” è diventato lo strumento principe dei fabbricanti per convincere i fotografi che le loro foto non erano abbastanza buone e che meritavano strumenti adeguati (ecco il meme in agguato: per fare foto migliori serve una fotocamera e un obiettivo migliore).

Anche io mi facevo prendere le convulsioni nell’esaminare gli angoli estremi delle mie foto, notando quanto peggio fossero della parte centrale, nonostante il test MTF del mio obiettivo dicesse che era di buona qualità. Non so quanti cambi ho fatto, quante rate mi sono accollato per avere quell’ottica “degna” delle mie foto!

Sforzi inutili. Perché in nessun modo la qualità tecnologica determina il valore di una fotografia.

Nessuno. Dico sul serio. Basta che l’attrezzatura sia almeno sufficiente per i nostri scopi, e di questo aspetto possiamo tranquillamente dimenticarcene, utilizzando come niente fosse (e come faccio anche io) fotocamere di dieci anni fa.

Se erano buone allora lo sono ancora oggi, se le tue esigenze non sono cambiate al punto tale da renderle davvero obsolete. E considera che capita di rado.

Naturalmente non tutti i meme sono negativi, ce ne sono anche di buoni.

Una delle cose che più mi ha divertito è vedere una frase estrapolata da un mio libro diventare un piccolo (microscopico) meme presente addirittura in alcuni siti di “frasi celebri” o sui cartelli di qualche libreria: sei tu che fai la foto, non la fotocamera.

scataglini frasi celebri

Nulla di particolarmente originale, ma certamente è una verità da scolpire sulla pietra. Infatti è quel che hai da dire, e la tua capacità di dirlo in modo adeguato, efficace ed emozionante, a determinare il successo e la validità di una foto, non certo il fatto che ai bordi l’obiettivo abbia una resa eccellente.

Tra l’altro, potrei lanciare un altro meme: “se hai dubbi sulla tua foto, stampala!”. Diffondilo, perché ti garantisco che è assolutamente vero.

A tutti quelli che si preoccupano del rumore presente nelle proprie fotografie, o della nitidezza dei dettagli, o di mille altri aspetti, mostro delle stampe 70×100 cm fatte da file ottenuti con compatte, nemmeno delle più recenti (ma dotate di RAW). In genere si stropicciano gli occhi. I difetti, magicamente, sembrano sparire.

Non lo sono, ovviamente, ma la stampa perdona molte cose – la gran parte – che il “pixel peeping” evidenzia e condanna. Perciò quando ho un dubbio su una foto a cui tengo, io la stampo, anche solo A4 con la stampantina di casa. E respiro subito meglio. Anche perché quante volte stampi dei 70×100 cm o anche solo dei 30×40 cm? Il più delle volte il tuo “pixel peeping” diventa un quadratino 600×800 pixel da mettere online, in cui anche se la foto fosse sbagliata dall’inizio alla fine pochi se ne accorgerebbero.

Perciò l’ultimo meme che voglio suggerirti potrebbe essere: “pensa a quel che metti dentro la tua foto, non con quale attrezzatura lo fai“. O una cosa del genere!

Ma probabilmente la cosa migliore è dimenticare i meme, e trovare la propria strada, quella che davvero realizziamo con il nostro impegno e i nostri sforzi…

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