Il metodo Infallibile per fare buone foto (e non solo)

Lo so cosa stai pensando (e questa azione, il pensare, è proprio l’oggetto di questo post): ora Marco ci darà una lista dei soliti consigli da “professionista”, qualche dritta più o meno intelligente per fare foto “migliori” (che poi è anche un termine equivoco: qual è il termine di paragone? Fare una foto migliore di una “schifezza”, ad esempio, è facile!) e finisce lì.

No, niente del genere. Non ti darò affatto dei consigli, me ne guardo bene. Ma un metodo infallibile per fare meglio qualsiasi cosa nella vita, e non solo le fotografie, esiste e io lo conosco bene, anche se non riesco quasi mai ad applicarlo (vabbe’, nessuno è perfetto).

Il metodo è apparentemente facilissimo e consiste nello svuotare la mente. Del tutto. Completamente. Vuoto spinto, pneumatico.

Una delle principali convinzioni dei fotografi (e non solo) è che per fare una buona foto occorra essere molto concentrati, molto “mirati”, pronti, con le idee chiare, con il controllo totale del proprio strumento (la fotocamera) e delle proprie capacità tecniche.

Ovviamente occorre pensare ed avere le idee chiare ma solo prima e dopo lo scatto, mai durante. Se “durante” lo scatto sei lì che pensi alle mille cose che riguardano quella foto (tempi? diaframmi? inquadratura? Concorso che potrei vincere? Utilità della foto?) di sicuro la perderai, nel senso che di sicuro sarà deludente. Se non di sicuro, quasi.

Ancora peggio se poi sei vittima del nemico numero uno di ogni essere umano, e del fotografo in particolare (e di ogni artista): i pensieri intrusivi!

I pensieri intrusivi non ci danno tregua: a volte sembrano solo di sottofondo, altre volte emergono a gran voce e ci distraggono da ogni attività stiamo facendo, al punto che, di colpo, ci rendiamo conto di non sapere quel che stiamo facendo, talmente siamo immersi nel “pensare” a qualcosa.

In generale, i pensieri intrusivi non sono pensieri nel vero senso del termine: non hanno un filo logico, non partono da un dato concreto, da un problema e non puntano ad arrivare a una soluzione o almeno una decisione.

Quando riflettiamo su un progetto che ci interessa, o studiamo mentalmente come uscire da un momento difficile, allora stiamo “pensando”: è qualcosa che comunque ci distrae, ma almeno ha un senso, uno scopo. I pensieri intrusivi non sono così: non hanno in verità altro scopo che esaurire le tue risorse interiori, sono dei mostriciattoli neurali, dei parassiti della mente, che attraggono come magneti la tua attenzione su cose inutili, o addirittura dannose. Nei casi più gravi possono portare a ossessioni e nevrosi.

Ma ci sono anche pensieri intrusivi del tutto innocui, ma non per le fotografie. Ad esempio sei impegnato a guardare nel display della fotocamera per comporre la tua foto al millimetro e intanto ti vien da pensare a cosa potresti cucinare per cena, o a qualcosa che magari hai dimenticato a casa. O anche a quali foto potresti fare se invece di stare lì in quel punto ti spostassi di qualche centinaio di metri più avanti.

E mentre cerchi di goderti la tua passeggiata fotografica guardandoti attorno rilassato, ecco che il pensiero corre alla trama dell’ultimo film visto al cinema, e che nemmeno ti era piaciuto; o ad argomenti superficiali o, peggio, a rimpianti per occasioni perdute, a offese che avresti ricevuto, a ingiustizie di cui saresti rimasto vittima. Addirittura l’orribile canzone che hai sentito durante l’ultimo Festival e il cui assurdo ritornello ti torna in mente mentre stai facendo altro. Insomma, qualsiasi cosa, purché tu non ti goda il momento presente.

I pensieri intrusivi sono degli autentici killer del presente, potremmo dire, e ti fanno continuamente ondeggiare tra il passato (in genere con ricordi spiacevoli) e il futuro (con progetti irrealizzabili o non positivi).

Partiamo da un presupposto: tutti soffriamo di pensieri invasivi. Tutti, nessuno escluso. In genere non sono di contenuto necessariamente negativo, ma sempre distraggono, questo si.

La vera differenza tra te e – ad esempio – un monaco buddista è che il monaco li lascia scorrere via, non vi presta attenzione. Sa di avere questi pensieri, ma li disinnesca, fa in modo che non agiscano su di lui. Noi umani comuni, invece, specialmente se apparteniamo alla razza dei fotografi – per loro natura pronti a riflettere su ogni cosa – per quanto ci sforziamo, rimaniamo catturati dal fascino del pensiero intrusivo, specialmente quando ci troviamo in situazioni tutt’altro che positive.

Il potere del pensiero intrusivo, infatti, è proprio quello di isolarci dal contesto, di farci volare altrove, e dunque quando desidereremmo “non essere lì” diventano immediatamente i benvenuti. Non devi pensare che questo accada solo in determinate situazioni della vita, ma anche mentre fotografi.

Ad esempio hai un gran desiderio di realizzare foto di “street” stile Meyerowitz, ma sei timido e insicuro e allora mentre ti trovi tra la folla con la fotocamera in mano, ti sgorgano nella mente mille pensieri intrusivi che non ti sono affatto utili, ma alleviano in qualche modo la sensazione di essere nel posto “sbagliato”. E il risultato sono foto pessime.

Naturalmente ci sono persone a cui capita di cadere in questa “tentazione” ogni tanto e altre a cui capita di continuo. Se ci fai caso sono quelli che inanellano “distrazioni su distrazioni”, che dimenticano la chiave dell’auto in casa, che si perdono le cose, che dimenticano di svoltare in una strada e così via. In genere si scusano con un “non me ne sono accorto“, ma in verità la loro mente era impegnata a portarli chissà dove. Non qui, non ora.

Qual è la cosa più importante da fare nella vita? Quella che stiamo facendo ora. Qualunque essa sia, se non viviamo appieno questo momento si perde un’occasione che non tornerà più” scrive David Brazier in “Terapia Zen”.

Come fotografi possiamo ben intuire quanto sia fondamentale questa concentrazione assoluta che, per assurdo, corrisponde appunto nel “non pensiero”, nell’entrare in quello che gli psicologi chiamano “flusso”: non si fanno le cose, le cose si fanno da sole. Non si scatta una foto, la foto si scatta da sola, e noi dobbiamo solo assecondare la sua volontà. Così la vedeva Minor White, e anche se molti lo consideravano un po’ fuori di testa, che foto meravigliose ci ha lasciato!

Vivere il presente è più difficile che scalare l’Everest. Accettare il fatto che i nostri pensieri orientano la nostra stessa esistenza, che siamo esseri fatti “della stessa sostanza dei sogni” e di pura d’immaginazione, e che possiamo essere liberi, creativi, fantasiosi pur restando radicati nella realtà del momento, senza voli pindarici, è la vera sfida.

Il grande poeta visionario britannico, William Blake, lo ha espresso in modo meraviglioso: “vedere il mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvatico, tenere l’infinito nel palmo della mano e l’eternità in un’ora”.

Questa è la meraviglia dell’immaginazione sana: parte da ciò che viviamo ora, da ciò che abbiamo davanti a noi, per raggiungere l’astratto, il fantasioso, il sublime.

Non è vero che un fotografo possa ottenere tutto questo “pensandoci su” mentre scatta. Non a caso nei miei corsi di fotografia faccio praticare anche la “fotografia casuale” scattando, letteralmente, a casaccio: è un esercizio che serve a dimostrarci quanto, se solo smettiamo di voler controllare tutto, e accettiamo di non farci guidare dai pensieri intrusivi ma ci concentriamo solo sul “qui e ora”, addirittura senza inquadrare o regolare i parametri della fotocamera possa venir fuori qualcosa di buono. Di certo almeno un’ispirazione.

Il pensiero, la progettazione, la ricerca sono fasi fondamentali ma solo prima – anche molto prima – di arrivare allo scatto. Poi occorre far si che le occasioni si incontrino con il nostro essere pronti a recepirle, non a inseguirle. Era il metodo di Cartier Bresson, per citare il più famoso. Mi sembra che per lui funzionasse alla grande!

Perciò, il primo passo che dobbiamo compiere per scalare il nostro Everest personale, e dunque fare foto migliori, sia combattere i pensieri intrusivi. Per molti anni, anzi per gran parte della mia vita, ho cercato di contrastarli attraverso una lotta diretta, all’arma bianca. Col tempo ho imparato a non prestar loro troppa attenzione, o cercando di sovrapporvi pensieri se non positivi, almeno utili. Soprattutto concentrandomi sui gesti che come fotografo debbo compiere, lasciandoli fruire in modo naturale, e prestando attenzione se, mentre sto mettendo a fuoco un soggetto, mi torna in mente quel “motivetto che mi piace tanto” o la preoccupazione per le bollette da pagare.

Se sto passeggiando cerco di ragionare sulla direzione da prendere, sul respiro e sul ritmo dei passi, ed evito di concentrarmi sulle voci intrusive che, già in passato, mi hanno fatto sbagliare sentiero o perdere in un bosco. Non posso dire che la lotta sia conclusa, anzi. Forse non terminerà mai.

Hai presente il film “300”? Loro sono come i Persiani, una moltitudine, e per fermarli hai poche risorse. Ma hai dalla tua la forza della ragione e della saggezza, che tutto può vincere.

Ti chiederai più volte a cosa dovresti pensare, allora, visto che non devi cedere ai pensieri intrusivi. La nostra società è organizzata in modo tale da convincerti che sei sano e normale solo se pensi sempre a qualcosa, se ti preoccupi, ti angusti. Pensare a niente? Impossibile. Davvero? Eppure ci sono filosofie che proprio a questo vuoto si ispirano, e lo ricercano attivamente. Svuotare la mente è un processo che si muove su due livelli: il primo è quello di combattere i pensieri intrusivi, per lasciar spazio solo ai pensieri utili e necessari; un secondo livello è spegnere anche questi ultimi, almeno in determinate circostanze. Ribadisco: ad esempio mentre fotografi. Sforzati di entrare nel flusso. Mantieni la tua mente limpida. Almeno provaci.

Riuscirci può regalarti fotografie che nemmeno investendo tutti i soldi del tuo conto in banca in attrezzature potresti realizzare! E comunque di certo alla fine sarai più rilassato…

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