
Negli anni ’60, all’inizio della sua carriera, Joel Meyerowitz – uno dei più grandi fotografi viventi – aveva già deciso che avrebbe realizzato i suoi progetti a colori, sebbene all’epoca dominasse incontrastato il bianco e nero. Sapeva di andare incontro a numerose difficoltà, dato che la fotografia a colori era ancora relativamente imperfetta, e comunque considerata “poco seria” e amatoriale. Così decise di tenere per un po’ il piede in due staffe, portando con sé durante un lungo viaggio in Europa due fotocamere, una caricata con pellicola a colori e una con pellicola in Bianco e Nero.
Al ritorno in America, mise a confronto le foto delle due categorie: un confronto efficace visto che ogni soggetto era stato ripreso quasi in contemporanea nelle due modalità. La sua conclusione fu che decisamente preferiva le versioni a colori, trovandole più efficaci, più adatte al suo stile.
In questa valutazione gioca ovviamente un preconcetto di Meyerowitz. Insomma, aveva già scelto il colore e cercava di fatto, inconsciamente, un modo per confermare ancor di più la sua convinzione. Debbo dire che guardando le foto accoppiate (ne parlo in una video-recensione di un libro di Meyerowitz sulla gruppo Facebook di Reflex-Mania) anch’io trovo quelle a colori più efficaci, ma semmai questo dimostra che se il fotografo “vede” a colori le foto riflettono il suo sguardo. Sono certo che se lui avesse “visto” in bianco e nero il risultato sarebbe stato diverso.
Meyerowitz giustificava la sua predilezione sostenendo che in fondo “il mondo è a colori“, un motto ripreso anche dal nostro Luigi Ghirri, e con lui da molti altri.
Si tratta di una motivazione che non mi ha mai convinto molto. Voglio dire: il mondo è tridimensionale, pieno di suoni, odori, sensazioni tattili, eppure noi fotografi lo riduciamo a un triangolino bidimensionale, ristretto e senza altre sensazioni se non quelle visive.
Fermo restando che la fotografia è sempre una “traduzione” del reale non vedo perché ci si debba fermare sulla soglia dell’eliminazione anche dei colori, come fatto per tutti gli altri elementi!
Preferisco allora chi giustifica la scelta sulla base del fatto che i colori gli sono necessari per dire qualcosa di più sul soggetto, per evocare sensazioni particolari, come poi in effetti fanno sia Ghirri che Meyerowitz. Colore e Bianco e Nero sono due linguaggi diversi e personalmente non vedo perché si debba per forza scegliere una volta per tutte. A seconda del tema del progetto, è possibile utilizzare l’uno o l’altro, dipende solo da noi.
Ma, ed è di questo in verità che vorrei parlare, le cose sono cambiate molto dai tempi dei fotografi che ho citato. La pellicola aveva dei limiti intrinseci che il digitale ha definitivamente superato.
Immagina di stare accanto a Meyerowitz mentre scatta alcune delle sue foto di prova per mettere a confronto il Bianco e Nero e il colore. Sebbene la pellicola Kodachrome avesse i suoi limiti, tuttavia restituiva dei colori abbastanza saturi e piacevoli, e aveva una definizione altissima.
Come vedi nella foto sopra (come quelle che seguono si tratta di riproduzioni da foto stampate su un libro, dunque prendile solo come esempio) la resa del colore è vivace e intrigante.
La stessa scena in Bianco e Nero viene tradotta in una gamma di grigi che in ripresa poteva essere orientata solo ricorrendo a dei filtri, cosa davvero scomoda – se non impossibile – nel genere fotografico di Meyerowitz, fatto di foto “colte al volo”. Il risultato, che vedi qui sotto, non è affatto male, ma predomina un certo grigiore, dovuto anche al fatto che la scena è costituita – di fatto – solo di verdi-gialli e una striscia di ciano.
Il verde è un colore piacevole, il grigio più o meno uniforme non tanto. Mettendo un filtro verde si poteva schiarire il verde e renderlo in un grigio più vivace, mentre se il cielo era azzurro, un filtro arancione o rosso lo avrebbe scurito e reso più intenso. Ma, appunto, son cose più da paesaggisti con la fotocamera sul cavalletto che da “street photographer”.
Queste limitazioni sono finite. Il fotografo che lavora in Bianco e Nero (come il sottoscritto, il più delle volte) oggi è soprattutto un fotografo “ibrido” che ragiona a colori per ottenere un BN efficace. Un ossimoro, ma è così.
A differenza di un tempo, infatti, solo partendo da una buona foto a colori si ottiene un’eccellente foto in Bianco e Nero, avendo la possibilità – impossibile sino a vent’anni fa – di tradurre ogni singolo colore in una specifica gradazione di grigio. Sono talmente convinto delle potenzialità di questo sistema da aver realizzato un apposito corso sul Bianco e Nero digitale proprio per Reflex-Mania.
Se prendiamo una foto di Meyerowitz a colori (e che l’autore ci perdoni!) e la traduciamo in BN con le tecniche digitali, il risultato sarà certo diverso da quello ottenuto dallo stesso fotografo, in quel momento, scattando poco dopo su pellicola in BN. Francamente a me la foto in BN originale piace, ma il confronto serve a dimostrare l’assunto, poi ognuno potrà decidere cosa preferisce.
Nella doppia foto sotto vedi a sinistra l’originale BN di Meyerowitz e a destra la conversione fatta da me dell’originale a colori. La densità rende più incisiva la scena. Un filtro giallo poteva portare a un effetto simile, ma avrebbe reso più chiaro il prato. Invece così l’omino risalta assai di più sullo sfondo, e il contrasto è più forte ma ben controllato. E la cosa bella è che si potevano fare tante varianti, con il prato più o meno scuro, il cielo quasi nero o bianco e così via, naturalmente partendo da un file RAW a colori e non da una brutta riproduzione fatta da un libro.
Intendo dire che siamo di fronte a un genere di fotografia completamente nuovo, non a caso rifiutato da molti puristi del BN – c’è chi sostiene che la fotografia in BN digitale non sia davvero una fotografia in BN, e io concordo – che si rivolgono in caso alla Leica Monochrom (l’unica fotocamera digitale che scatti in BN “puro”) o rimangono fedeli alla pellicola (ma si tratta il più delle volte di fotografi paesaggisti, come Michael Kenna).
Sta di fatto che le modalità mentali che sono dietro a questo “nuovo” BN sono assai diverse da quelle di una volta, sono appunto ibride. E penso che definirla solo “fotografia in Bianco e Nero” non sia nemmeno del tutto corretto. Di fatto è qualcosa di nuovo che somiglia solo al tradizionale Bianco e Nero analogico!
Ad esempio dovrò cercare nel soggetto dei cromatismi che so già come potrò convertire in toni di grigio, anche quando questo sarebbe impossibile, invece, ricorrendo a un filtro. Su pellicola un campo di papaveri rossi sullo sfondo di un cielo azzurrro è una bella gatta da pelare: se metto il filtro rosso avrò il cielo quasi nero, ma i papaveri bianchi o quasi; se metto un filtro blu, avrò i papaveri scuri, ma il cielo bianco. Invece in digitale potrò convertire il rosso in un grigio medio, il blu in un grigio scuro, l’eventuale verde in un grigio chiaro.
Guarda la foto invernale qui sotto: abbiamo, oltre al bianco della neve, il rosso, il giallo e il blu. Bene, posso farne tante versioni in BN quanto la mia fantasia mi suggerirà, rendendo la foto ad alto o basso contrasto, scura o chiara, forte o debole.
Ecco alcuni semplici esempi, non esaustivi, ma solo per sottolineare il fatto che di fatto il colore permette di gestire il BN in modo ampio, se non totale. E’ vero che anche con il colore in digitale possiamo permetterci molto ma diciamo la verità: solo nel Bianco e Nero il digitale è davvero “disruptive” come direbbero i tecnici. Davvero ha cambiato le carte in tavola al 100%, aprendo nuove possibilità creative. Oltre al fatto che – a differenza di Meyerowitz a suo tempo – non avremo più bisogno di avere due fotocamere per scattare a colori e in BN, basterà avere un bel file RAW per poter partire in un viaggio alla scoperta di nuove possibilità.
Insomma, ho il controllo totale della situazione e questo, per noi amanti del BN è davvero una situazione nuova, a cui non è sempre facile adattarsi, visto che gli esempi che abbiamo di fronte – i grandi maestri del passato, in ogni campo, da Ansel Adams a Edward Weston, da Garry Winogrand a Cartier-Bresson – hanno sempre lavorato con la pellicola, accettando i limiti che abbiamo visto e anzi utilizzandoli in modo del tutto creativo ed efficace.
Ma noi oggi possiamo osare di più. E se le “elaborazioni” digitali a colori più estreme restano difficilmente accettabili (con eccezioni) e generalmente relegate nel campo della “Digital Art”, nel Bianco e Nero nemmeno vengono percepite come tali, ma solo come il classico linguaggio di questo tipo di fotografia. Un vantaggio che Meyerowitz non poteva certo immaginare a suo tempo e che, sebbene vada utilizzato con intelligenza, apre davvero nuove prospettive e rappresenta – a mio modesto parere – la vera innovazione portata dalla fotografia digitale, quella dirompente, che potenzialmente cambia tutto…