L’ Arte fatta a macchina

Diciamocelo, la faccenda è intrigante. Tu prendi un computer (in verità un sistema evoluto detto GAN, generative adversarial network, come spiega per bene Wired), gli fai digerire 15.000 opere d’arte – ritratti in particolare – realizzate tra il XV e il XX secolo in modo che l’AI (Intelligenza Artificiale) diventi ben più competente e capace di qualsiasi critico ma soprattutto di qualsiasi pittore, e poi gli fai partorire “un’opera d’arte”.

Et voilà, il gioco è fatto: tre giovani francesi (Hugo Caselles-Dupré, Pierre Fautrel e Gauthier Vernier) del collettivo Obvious  con nessuna esperienza artistica, ma tanta competenza nel campo software, riescono a mettere sul mercato una serie di “opere d’arte” computer generated e addirittura a farne battere una dalla casa d’aste Christie’s per la cifra nient’affatto irrisoria di 432.500 dollari.

Quasi mezzo milione di dollari per una stampa creata da una macchina! Intelligente, è vero, ma pur sempre una macchina (sull’intelligenza di un certo mercato dell’arte è meglio sorvolare, invece).

Allora il futuro dell’arte è questo? Dire a una macchina “creami un dipinto con tale stile” e attendere che i potenti algoritmi ne sfornino uno perfetto, magari con le tonalità che ben si accordano al colore del salotto?

Secondo il fotografo e scrittore Guy Tal, che ragiona su questo argomento sulla rivista americana LensWorkquesta non è Arte. Non potrà mai esserla, perché l’arte, per definizione, è qualcosa che attiene alla persona, qualcosa che riguarda le sue esperienze, emozioni, il suo vissuto, insomma qualcosa di profondamente umano. Una macchina può imitare tutto questo e generare un artefatto, non un’opera d’arte.

Possiamo senz’altro consolarci così, sebbene i confini di ciò che sia arte e ciò che non lo è vengono continuamente erosi, e sia spesso il mercato – e non i filosofi o gli artisti – a definire dove l’arte deve andare.

E vendere un’opera frutto dell’Intelligenza Artificiale per una cifra stratosferica come quella battuta da Christie’s sembra indicare una strada pericolosa.

Noi fotografi forse ancora possiamo cavarcela, almeno per un po’. Siamo stati i primi a dover affrontare la questione, da quando ha fatto la sua comparsa il digitale. A volerla dire tutta, anche prima: già quando nelle fotocamere fece la sua comparsa un sistema esposimetrico “intelligente” si gridò alla fine della fotografia: attempati fotografi che si vantavano di saper ottenere l’esposizione perfetta “a occhio” o al massimo con un antiquato esposimetro a selenio, iniziarono ad avere potenti mal di pancia.

Ma come? Un meccanismo automatico decide l’esposizione della foto? E allora, che merito avrà mai il fotografo?

Poi con l’arrivo dell’Autofocus si ebbero scene isteriche di massa (si fa per dire). Le fotocamere stanno prendendo il sopravvento, si diceva, oramai la fotografia è facile e alla portata di tutti, ha perso la sua “aura”, non è più arte, e via così.

Il digitale ha definitivamente convinto tutti che un sottile confine era stato varcato. Non tanto per la tecnologia di ripresa (in fondo non poi molto diversa da quella delle ultime fotocamere elettroniche a pellicola) quanto per quel che accade poi.

La “postproduzione”, la possibilità di alterare colori, contrasto, di togliere elementi indesiderati, di passare dal colore al bianco e nero in un attimo, insomma di adattare perfettamente e con relativa facilità la fotografia ai nostri desideri rende tutto troppo facile, troppo tecnologico: i software propongono sempre nuovi automatismi, pochi clik e la perfezione è a portata di mano. Con le app e la tecnologia degli smartphone tutto avviene direttamente nel device: sbagliare è impossibile, e si può ottenere una foto che ricordi quelle ottocentesche, o simil-infrarosso, o con bordi e textures di ogni tipo.

Si possono anche creare delle immagini “ibride” frutto sia della capacità e volontà del fotografo, sia di quelle della macchina: l’ho fatto anch’io, un po’ di anni fa, creando al computer la serie intitolata “XENart”, in cui le immagini sono elaborate grazie a softwares grafici sino a perdere qualsiasi riferimento alla realtà, a favore di un grafismo auspicabilmente piacevole.

Per nostra fortuna, a differenza dei pittori, non possiamo partire da zero. La natura “indicale” della fotografia, infatti, obbliga noi fotografi a trovare un soggetto e a stargli davanti. Se vuoi un ritratto fotografico, devi trovare la persona, metterla in posa e comporre la scena prima di scattare. Poi la fotocamera può anche far tutto lei – che poi non è nemmeno così, ancora – ma resta il fatto che tutto il processo che precede lo scatto spetta al 100% a noi. Una bella rivincita sulla pittura, che invece rischia brutto.

Ma lo sappiamo che la tecnologia va avanti (mannaggia).

Si stanno già da tempo sperimentando sistemi intelligenti per comporre l’inquadratura in modo “perfetto” e del tutto automatico e ci sono già fotocamere che riprendono tutta la scena in modalità multipla e permettono solo dopo, sul computer, di scegliere inquadratura e addirittura messa a fuoco o altri parametri. E negli smartphone l’Intelligenza Artificiale già controlla le fotocamere, per facilitare la vita a chi vuole scattare la foto “perfetta”.

La tecnologia ucciderà l’Arte? No, personalmente non credo.

L’arte è un mezzo, non un fine. E’ ciò che vogliamo dire che conta, più ancora di come lo facciamo. Gli stessi ragazzi del collettivo Obvious hanno fatto delle scelte nell’istruire la macchina: l’opera generata è indubbiamente frutto della “immaginazione” artificiale (se esiste una cosa del genere), ma in realtà è strettamente legata a ciò che i tre ragazzi francesi intendevano creare.

La macchina non ha alcuna vera autonomia, va comunque instradata e in tal senso un riverbero di umanità entra comunque nell’opera, volenti o nolenti.

Ma soprattutto, resta l’umanità del “messaggio” che l’artista deve inserire nella propria opera, e resterà sempre la sensibilità dello spettatore. Il dipinto fatto dal computer non emoziona, colpisce solo perché l’ha fatto una macchina. Altrimenti sembrerebbe il maldestro tentativo di un non-pittore di dipingere qualcosa di decente. Patetico.

L’Intelligenza Artificiale è utilissima e ci riserverà grandi sorprese, va bene per la guida autonoma delle automobili, va bene per controllare i sistemi produttivi di una fabbrica, ma fare Arte è – davvero – tutta un’altra cosa.

E ancor di più (permettimi di dirlo) lo è scattare una buona foto!

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