
L’altro giorno stavo camminando con la fotocamera in attesa di ispirazione quando m’è venuta in mente una domanda all’apparenza del tutto banale, e invece credo complicatissima.
Ho immaginato che qualcuno mi chiedesse di mostrargli un po’ di foto – quattro, cinque? – di cui mi sento particolarmente orgoglioso, che mi rappresentino alla perfezione.
Se lo chiedessero a te, cosa risponderesti? Ogni foto è un piezz’e core, come si fa a dire quali siano le migliori? potresti rispondermi. Infatti. Ognuno di noi scatta in modo diverso e produce quantità diverse di fotografie ma, complice anche il digitale che rende tutto più facile ed economico, di sicuro abbiamo tante, ma tante foto che consideriamo riuscite. Insomma, ben fatte.
Ma in verità è questo il punto: non si tratterebbe di mostrare all’interlocutore (accidenti a lui/lei) le foto migliori ma quelle di cui si è più orgogliosi. La faccenda insomma è un tantino più complessa. Infatti valutare delle fotografie (in un portfolio, una mostra, un libro) è un fatto personale, che dipende dai parametri che uno ha e che chi le guarda a sua volta applica.
Leggere una fotografia è contemporaneamente un fatto culturale e un fatto tecnico e questo spiega perché si possa arrivare a conclusioni assai diverse e un’immagine ammirata da alcuni viene definita scadente o poco riuscita da altri.
L’orgoglio è però cosa diversa. Si tratta, per farla breve, di quelle foto che sai rispondono pienamente ad alcuni parametri: in primis le hai pensate, sentite e realizzate in piena consapevolezza, e già questo non capita sempre, inoltre sin da subito hai saputo di aver realizzato qualcosa che ti corrisponde pienamente e sei pronto a sostenere che se l’espertone di turno pure ti dicesse che fanno letteralmente schifo, tu non indietreggeresti di un millimetro. Saresti pronto a lanciare il guanto della sfida in faccia a quello stolto.
Così io per primo, rientrato a casa, ho fatto quello che ora consiglio di fare anche a te: un tuffo a capofitto nella memoria e soprattutto nell’archivio fotografico personale.
Ora, mi dirai, che senso ha tutto questo? In fondo la foto più riuscita è sempre quella che farai domani, e di certo è di quella che sarai orgogliosissimo.
Concordo, ma avere una prospettiva sempre futura non porta lontano perché nessun albero diventa un patriarca arboreo se non ha solide radici. Per noi fotografi le radici sono le nostre esperienze, e dunque le nostre fotografie, e specialmente quelle che ci hanno insegnato qualcosa. E, bada bene, le tue foto del passato possono ancora insegnarti un sacco di cose. Certo, anche a non rifare gli stessi errori, ma più spesso quale strada promettente hai tralasciato di percorrere solo perché convinto di dover continuare a fare “quel che sai fare così bene” (che noia!).
Ad esempio io sono orgoglioso di certe foto che mi hanno fatto scoprire aspetti della fotografia a cui non avevo pensato in modo consapevole, o che mi sono servite come base per realizzare poi dei progetti a cui tengo, o che considero particolarmente riusciti. La solargafia“sopra (la traccia ad arco rappresenta il sole, col suo riflesso in un lago; il tempo di esposizione è stato di circa un mese con una fotocamera stenopeica ricavata da un barattolo) è stata la scintilla che mi ha portato a concepire e realizzare il progetto e il libro “FotoSintesi” in cui ho inserito tutte le tecniche strane e alternative che nel tempo ho sperimentato. Per questo è una foto a cui tengo tanto, ma tanto.
Ci sono poi fotografie che non sono fotografie ma “digital art”, come quella sotto, che è una rielaborazione digitale di una foto. Quella di partenza in verità non ricordo cosa rappresenti, forse le forme create dal mare sulla sabbia, ma il risultato è davvero decorativo.
All’epoca mi inventai anche una corrente artistica tutta mia, il “Decorativismo Puro” fotografico. Ma l’unico a praticarlo son rimasto io!
Con foto simili realizzai comunque una mostra e contavo potesse funzionare a lanciarmi come fotografo creativo: riconosco di essere stato contattato da una ditta che produce tappezzerie (non sto scherzando) e sebbene non se ne sia fatto nulla, comunque non era il risultato che mi aspettavo. Perciò questa foto mi ha insegnato che stavo imboccando una strada poco promettente o almeno che qualcosa non andava.
Considera che sono passati oramai oltre quindici anni e non ho più elaborato così le mie foto, e a dirla tutta nemmeno ricordo più come si fanno! Ma è anche vero che quando le guardo continuano a piacermi, e molto. Se ti intrigano, puoi scaricarti gratuitamente la mia eZine “This is not Photography!” dove ne ho messe un bel po’.
Pensaci: quanto sperimenti durante la tua attività fotografica? Segui sempre la stessa linea oppure ogni tanto esci dal sentiero battuto?
Mi piacerebbe convincerti a fermarti un attimo, a smettere di fare quel che fai di solito in campo fotografico e chiederti di guardare con attenzione le foto che hai fatto negli ultimi anni.
Ci sono poche cose che mi danno più piacere che andare a rivedere le vecchie foto, anche se a volte non mi piacciono più e non mi ci ritrovo. Capita anche che però da queste navigazioni nel passato emergano idee nuove, una diversa consapevolezza e anche un senso di sollievo: diavolo, ne ho fatta di strada! Il fotografo che sono oggi non esisterebbe senza quella massa di foto che nessuno vedrà. Sono certo che lo stesso potrebbe valere anche per te e non importa se magari il tuo archivio comprenda solo poche centinaia di foto.
Inizia a confrontarle con quanto si può trovare online magari sullo stesso tipo di soggetti. Sono simili, molto simili?
Potresti appartenere a quella categoria di fotografi che ritiene sia segno di bravura ottenere delle fotografie quasi identiche a quelle dei fotografi “bravi”. Non è una novità: già nei decenni passati ci sono stati emuli di Weston o Adams, con fotografi che seguivano alla perfezione ogni consiglio trovato nei libri, che si attrezzavano camere oscure efficientissime per avere stampe perfette e di grandi dimensioni, in analogico s’intende.
Oggi col digitale è più facile, e si hanno molti modelli. Poi ci sono gli esperti che vendono online le “azioni” di Photoshop applicando le quali ottieni esattamente quell’effetto che ti piace tanto. O i tutorial video che ti spiegano come fare per ottenere con facilità una determinata foto.
A me è sempre sembrato che in questo modo la fotografia diventasse un fatto meramente tecnico, che poi sia un software o il Sistema Zonale, con i suoi sviluppi personalizzati, i test delle pellicole, la stampa con cento mascherature cambia poco.
Chissà perché preferisco pensarla invece come un fatto di pura creatività, che può comprendere una tecnica sopraffina, ma anche la sperimentazione fuori dagli schemi. Per dire: pratico ancora oggi la fotografia analogica e i miei metodi di sviluppo farebbero inorridire ogni purista. Ma a me i risultati piacciono, e ho ottenuto diverse foto di cui sono orgoglioso, te ne metto una qui sotto. Se avessi ragionato come un supertecnico forse l’avrei scartata subito perché la gamma tonale è un po’ compressa e il contrasto sicuramente eccessivo. Ma, diamine, è esattamente per quello che mi piace!
Tornando al ragionamento iniziale, mi sono immaginato già morto (scusa se faccio gli scongiuri) e un curatore, per alleviare la sofferenza che tale dipartita provocherebbe al mondo dell’arte (ehm…), sta lavorando a organizzare una mostra “in memoriam”. Ora questo curatore, per evitare che il mio fantasma vada a tirargli il lenzuolo di notte, che foto sceglierebbe?
Se tu morissi domani (facciamo le corna) con che foto vorresti essere ricordato?
La domanda non è peregrina perché se si studiano i grandi fotografi, tutti quando sono morti hanno avuto le loro celebrazioni ma soprattutto sono stati ricordati per alcune fotografie specifiche. Magari non erano proprio quelle di cui loro erano maggiormente orgogliosi, ma potrebbe essere.
L’omino che salta la pozzanghera per Cartier-Bresson, la Migrant Mother per Dorotea Lange, Clearing Winter Storm per Ansel Adams, gli ortaggi di Edward Weston, e così via. Fai una ricerca su Google digitando il nome di un qualsiasi fotografo e avrai come risultato una selezione di foto non certo amplissima, comunque rappresentativa.
Considerando che alcuni fotografi hanno scattato milioni di foto, perché proprio quelle sono considerate le loro “migliori”? E soprattutto: loro erano orgogliosi di quelle foto oppure avrebbero preferito essere ricordati per altre immagini realizzate?
Ho fatto una ricerca su Google per me stesso e direi che le foto che escono all’inizio mi rappresentano abbastanza: foto analogiche come i miei amati trittici, alcune immagini all’Infrarosso, e così via. Soprattutto mi piace il fatto che appunto anche nel mio caso si tratta di foto tratte dai miei progetti, come “Una momentanea eternità” o “La sapienza delle rocce“. Non la perfezione ma può andare. Si potrebbe fare meglio, però.
Dunque, mi sono detto, occorre evitare che a scegliere siano gli algoritmi di Google ma questo a volte è complicato: ogni fotografo, e penso anche tu faccia così – io comunque l’ho fatto spesso – tende a creare delle selezioni in cui siano ben evidenti le proprie capacità, la bravura e perizia tecnica. Diciamo che si utilizza un algoritmo mentale, ma il risultato spesso è simile. Si scelgono le foto che se pubblicate su Facebook o Instagram ricevono un sacco di commenti positivi. Ho fatto l’esperimento: se metto online le foto di cui vado orgoglioso, ricevono pochissima attenzione.
Questo mi ha convinto del fatto che la qualità intrinseca di una foto è inversamente proporzionale al successo che ha nei Social. Forse non sempre, ma spesso si.
S’intende che le foto prescelte (le elette) potrebbero cambiare nel tempo, perché si cresce e si evolve, ma se tieni conto del fatto che appunto parliamo delle foto che rappresentano bene dei punti di svolta nella tua “carriera” fotografica e non sono necessariamente le più riuscite, vedrai che poi alla fine se ne possono aggiungere altre, ma quelle resteranno come la stella polare nella costellazione dell’Orsa Maggiore.
Fatto sta che analizzando il mio archivio (una parte ristretta dello stesso che considero più personale, in verità) ho identificato alcuni scatti a cui sono davvero affezionato e questa ricerca mi ha portato anche a mettere in cantiere altri progetti, diciamo per “gemmazione”, perché quando scoprirai che certe foto ancora funzionano per te, avrai forte il desiderio di continuare a perfezionare quel cammino, vorrai spingerti più lontano, vedere se ti porta verso nuove scoperte.
Per questo insisto: identifica le foto di cui sei davvero orgoglioso (oggi, anche se potresti ripudiarle domani) e ragionaci su. Scommetto ti sarà utile.
Un fotografo che non si pone domande – specialmente che non si chiede costantemente “perché?” – e non analizza il lavoro svolto sino ad oggi, ma si accontenta dei risultati conseguiti, tende a inaridirsi o, peggio, a ripetersi. Troppi non realizzano cento fotografie ma cento volte la stessa foto. O migliaia di volte la stessa foto. Il che non è esattamente una cosa positiva.
Ora mettiamo che sia io l’espertone di turno che viene da te e ti dice: mi fai vedere qualcuna delle foto di cui sei orgoglioso?
Riflettici su: le hai in mente o hai bisogno di andartele a cercare? Punti subito su quelle foto che hanno raccolto un sacco di complimenti online (campanello di allarme) o con cui hai vinto dei concorsi (altro allarme)?
Se queste foto hanno segnato davvero (ma davvero) dei punti di svolta nel tuo percorso, allora indubbiamente vanno bene, ma credo che invece le foto di cui finiamo per essere orgogliosi sono quelle in cui troviamo intatta la nostra passione, l’amore per il creare immagini senza affidarci solo alla tecnica, che rappresentano le nostre emozioni e le nostre idee. In effetti sono le foto che ammiro degli altri fotografi, quelle che hanno qualcosa di apparentemente non allineato, eppure risuonano come delle campane tibetane grazie a quel piccolo elemento “storto”.
Le foto con cui illustro questo post sono alcune delle foto di cui sono per l’appunto orgoglioso. Avrei potuto metterne molte altre, ma queste sono comunque rappresentative di quel gruppo ristretto di foto a cui la mia memoria va inevitabilmente quando penso a delle foto davvero “mie”.
Se qualcuno leggerà questo post quando sarò morto (spero tra molti anni) ne tenga conto nell’organizzare la mia mostra celebrativa!