Paesaggi intimi e fotografia

Sono sempre stato affascinato dai “paesaggi intimi”, come quelli realizzati dal grande fotografo americano Eliot Porter. In verità ero – e sono – affascinato dal fatto che li si consideri appunto…”paesaggi”, sebbene non abbiano alcuna caratteristica che li faccia sembrare tali.

Sono infatti dettagli, particolari, campi stretti, piccoli soggetti che non hanno la vastità e l’importanza di una vero “paesaggio” come tendiamo a considerarlo normalmente. Ma in verità credo che ci siano molti equivoci su questa parola.

Perché ci sia un paesaggio, e questo è oramai accettato da tutti gli studiosi che si occupano della materia, occorre che ci sia uno spettatore. In pratica l’equazione è:

territorio+spettatore=paesaggio.

Ma secondo molti non basta ancora, occorre anche che lo spettatore riconosca e si riconosca in questo paesaggio, non necessariamente che lo trovi “bello” (può anzi trovarlo orribile), quanto che lo identifichi non già come “natura”, “ambiente” o altro, ma come un insieme coerente di attività umane e matrice territoriale.

In realtà questo processo dovrebbe riguardare chi vive sul territorio e lo riconosce anche come “casa”, come qualcosa che gli appartiene culturalmente e a volte quasi fisicamente. Il viaggiatore (o il fotografo) che capiti in quel territorio è come se fosse un “abitante provvisorio”: lo sente almeno un po’ come qualcosa che gli appartiene, magari solo per poche ore. Ma il senso di “appartenenza” è importante per definire un paesaggio, o almeno un paesaggio “culturale”.

Tutto il paesaggio da noi conosciuto come naturale è un paesaggio plasmato dall’uomo: è natura a cui la cultura ha impresso le proprie forme, senza però distruggerlo in quanto natura” scriveva nel 1973 Rosario Assunto.

D’altra parte la stessa parola “paesaggio” è relativamente moderna nella cultura occidentale. Compare tra la fine del ‘400 e la prima metà del ‘500 in Francia per indicare un tipo di pittura, detta appunto “paysage”; poco dopo il termine entrerà nell’uso comune anche in Italia. Nei paesi di lingua tedesca si usano termini derivati dalla parola “land” (come Landscape), che è molto più antica di “paesaggio”, ma che originariamente indicava solo “una porzione di territorio”.

paesaggio intimo e fotografia - 2

Insomma, noi europei non avevamo nemmeno un termine per definirlo, il paesaggio, figuriamoci averne la consapevolezza. Quella che ad esempio avevano Cinesi e Giapponesi, che da due millenni hanno non solo una parola, ma più parole per indicare questo concetto!

Ma – per arrivare al punto – date queste considerazioni, un “paesaggio intimo”, cioè un dettaglio di territorio, una fronda d’albero o dei legni portati dal mare può davvero essere un “paesaggio”?

Cominciamo col dire che le foto di Eliot Porter – pur magnifiche – difficilmente possono essere considerate paesaggio, se non altro perché non riprendono situazioni in cui sia evidente l’opera dell’uomo, anzi sono decisamente foto puramente “naturalistiche”. Questo ovviamente se accettiamo l’idea che possa essere paesaggio solo il “paesaggio culturale”, quello curato dall’uomo.

S’intende che il termine “paesaggio intimo” è solo un aggettivo creato per descrivere fotografie che non sono solo naturalistiche e nemmeno solo di “landscape”. Ma è interessante notare quanto il termine paesaggio sia sfuggente, e spesso utilizzato a sproposito. Anche se, come osserva Assunto, in effetti è oramai impossibile – almeno in gran parte d’Europa – trovare un luogo in cui l’azione dell’uomo non sia giunta. Dunque se la longa manus della civiltà è giunta ovunque, ogni luogo è anche – per questo aspetto – un paesaggio? Forse, chissà.

Oltretutto la fotografia afferma in modo indiscutibile la presenza di uno spettatore, il fotografo stesso, ed è dunque difficile non notare che l’equazione iniziale sia perciò rispettata in pieno.

Ma non solo: se ab origine il termine “paesaggio” si riferiva a territori comunque antropizzati, oggi si tende ad accettare una definizione meno restrittiva, e infatti nei concorsi di fotografia naturalistica (come quello organizzato dalla BBC o il concorso di “Asferico“), nella categoria “paesaggio/landscape” partecipano foto di luoghi incontaminati e selvaggi (apparentemente, almeno) in cui non debbono esserci – da regolamento – evidenze della presenza umana.

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Intanto continuerò a usare il termine “paesaggio intimo” (Intimate Landscape) per immagini in cui il dettaglio può evocare spazi infiniti e selvaggi, o anche urbanizzati e degradati, se pensiamo a dettagli di rifiuti gettati sul marciapiedi dai soliti maleducati.

Il particolare per l’universale è sempre uno dei modi migliori per raccontare realtà anche complesse senza nemmeno farle vedere, ma solo evocandole.

Sono infatti convinto che questo sia l’aspetto più potente e coinvolgente della fotografia.

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