
Fino al 10 Marzo 2019, il Museo MAXXI di Roma, ospiterà una mostra antologica con oltre 150 scatti di Paolo Pellegrin, noto fotoreporter italiano, membro effettivo della storica Agenzia Magnum dal 2005.
Nella sezione a lui dedicata, sul sito dell’agenzia, si presenta così:
“Sono più interessato a una fotografia che è incompiuta – una fotografia che è suggestiva e può innescare una conversazione o un dialogo. Ci sono immagini che sono chiuse, finite, in cui non c’è modo di entrare.”
Possiamo immaginare queste parole, come una sorta di biglietto da visita, quasi una sentenza che dice già molto di lui. Lontana dalla freddezza di chi si limita alla registrazione oggettiva della realtà, quella di Paolo Pellegrin è una fotografia viva, che racconta e documenta senza fretta, rispettando i tempi della storia e della vita.
Ma chi è davvero Paolo Pellegrin?

Ritratto di Paolo Pellegrin
Paolo Pellegrin: la vita
Paolo Pellegrin nasce a Roma nel 1964. I suoi genitori, entrambi architetti, lo indirizzano da subito allo studio di Bernini, Borromini e Caravaggio, grazie ai quali apprende i fondamenti della luce e delle proporzioni. Si iscrive alla facoltà di Architettura, presso l’Università Sapienza di Roma, ma abbandona gli studi al terzo anno.
Durante la ricerca di un nuovo percorso, si imbatte nella fotografia e in quello che diventerà il suo fotografo di riferimento, Gilles Peress, convinto sostenitore dell’importanza della componente fisica nello sguardo. Come Peress, anche Pellegrin ritiene che la sua miopia, mista ad altri problemi di vista, sia – in buona parte – il motivo della sua visione del mondo. Come lui stesso afferma, la sua è una lotta continua per estrarre un volto dal nero. Poco più che ventenne, Paolo Pellegrin inizia il suo percorso fotografico, acquisendo una sempre maggiore consapevolezza. Negli anni, la sua fotografia diventa più “sottrattiva”, dal punto di vista degli elementi in scena, ma anche del colore. «Senza colore – dice – si sottrae una parte di realtà e l’immagine acquista una carica simbolica più forte. Almeno così io riesco a fare le cose che ritengo migliori.»

Fotografia di Paolo Pellegrin scattata a Beirut nel 2006, dopo un attacco aereo israeliano
Divenuto, in pochi anni, uno dei maggiori fotoreporter di guerra, riceve numerosi premi, come il World Press Photo nel 1995 (il primo di 10), il Leica Medal of Excellence nel 2001, l’Olivier Rebbot for Best Feature Photography nel 2004 e, nel 2005, diventa membro dell’Agenzia Magnum. Nel 2006 vince l’Eugene Smith Grant in Fotografia Umanistica e nel 2007 il Robert Capa Golden Medal, per il reportage realizzato in Libano. Attualmente vive tra Roma, Londra e New York e collabora per prestigiose testate giornalistiche come il New York Times e il Newsweek.
Paolo Pellegrin e il World Press Photo
Come accennato poco fa, Paolo Pellegrin è stato più volte premiato per fotografie presentate al World Press Photo. Il World Press Photo of the Year è un prestigioso premio fotografico, assegnato annualmente dalla fondazione olandese World Press Photo, all’immagine foto-giornalistica che meglio rappresenta un problema o evento di grande rilievo, con un eccezionale livello di percezione visiva e creatività. Dal 1955, anno della sua nascita, il World Press Photo è diventato il concorso di fotografia più prestigioso al mondo. Le storie presentate si propongono di raggiungere un pubblico mondiale e di incoraggiare il dibattito sul loro significato. Paolo Pellegrin ha vinto questo importante premio per i suoi reportage ben 10 volte tra il 1995 e il 2013, a dimostrazione del fatto che le immagini dei suoi reportage sono estremamente comunicative e colpiscono l’osservatore non solo da un punto di vista visivo, ma anche perché fanno riflettere e lasciano spazio alla riflessione.
Paolo Pellegrin: il percorso della mostra
La mostra antologica di Paolo Pellegrin, allestita al MAXXI di Roma, vede la luce dopo due anni di lavoro sull’archivio del fotografo romano e ripercorre i vent’anni della sua attività, dal 1998 al 2017. Attraverso la mostra, è possibile conoscere il percorso creativo del fotografo, che unisce l’esperienza di testimone in prima persona alla sua spiccata sensibilità artistica.
La mostra si divide in due grandi sezioni:
- la prima dedicata all’essere umano,
- la seconda alla potenza della natura.
La prima parte del percorso è dominata dal buio. Nelle foto di Pellegrin, si scorge una forte spinta alla vita, ma anche un profondo senso di morte, che emerge nelle espressioni degli esseri umani ritratti.

Fotografia di Paolo Pellegrin: “Profugo”, scattata in Grecia nel 2015.
All’inizio del percorso si è catturati da alcune immagini realizzate in Iraq nel 2016 e raggruppate insieme, così da potenziare l’effetto sull’osservatore. Il fumo nero che si innalza dai campi petroliferi di Qayyarah, dati alle fiamme dai combattenti dell’Isis è un esempio di grande impatto, così come l’immagine dei Peshmerga curdi che piangono la morte di un compagno ucciso dall’Isis.

Due foto di Paolo Pellegrin: a sinistra il fumo nero dei campi petroliferi in Irak; a destra curdi dopo un giorno di battaglia contro l’ISIS
Le fotografie in mostra raccontano il dolore della guerra, la distruzione, ma anche la bellezza delle più intime emozioni dell’animo umano. A tal proposito è particolarmente significativa l’immagine di Angelina, scattata a Roma, mentre la piccola gioca in casa della nonna. L’oscurità avvolge la scena: l’unica fonte luminosa è rivolta verso la bambina ed enfatizza il candore del suo vestito.

Roma 2015: foto di Paolo Pellegrin: “Angelina”.
Passando per i cosiddetti “ritratti transitori”, ovvero volti spettrali che affiorano appena dal buio, si giunge ad una zona di passaggio che collega le due sezioni dell’esposizione. In questa zona possiamo entrare nel backstage del fotografo e accedere ai suoi taccuini, appunti e piccoli portfolio, che mostrano la complessità del suo processo creativo.
Superata questa zona si è subito avvolti da una luce intensa, propria della seconda sezione della mostra. La potenza della luce serve ad esaltare gli scatti dell’Antartide e a valorizzare il chiarore del ghiaccio.

Foto di Paolo Pellegrin che rappresentano i ghiacci dell’Antartide
Accanto a queste foto, compare uno scatto dello tsunami del Tohoku (2011), che mostra le conseguenze della furia della natura in tutta la loro drammaticità.

Questa foto di Paolo Pellegrin racconta l’esito tragico dello tsunami del 2011 in Giappone
Considerazioni finali: i reportage di Paolo Pellegrin
Le storie di Paolo Pellegrin sono vivide e potenti. L’estetica che egli segue è quella della sofferenza e della testimonianza, rappresentata con rispetto e umanità.
I suoi reportage sono lenti, come lento è il processo di elaborazione del dolore. Pellegrin sente la necessità di condividere questi eventi drammatici. L’etica, per Pellegrin, non appartiene alla fotografia, ma al fotografo. Con una sorta di “soggettività distaccata”, il fotografo indaga nel profondo il comportamento umano. Le foto di Pellegrin non mirano a dare risposte razionali, ma invitano alla partecipazione emotiva e, fuori da ogni retorica, inducono alla riflessione.
Quella di Paolo Pellegrin è una mostra da visitare e da vivere con consapevolezza, certi che- una volta usciti dal MAXXI- avrà lasciato un segno su di noi, non solo per le sue indubbie competenze fotografiche, ma anche per la sua capacità di comunicare l’attualità in tutte le sue sfaccettature.
Silvia Gerbino