Per diventare fotografi migliori, bisogna saper aspettare

Di fronte ad un soggetto, che sia un panorama, un volto, una situazione, una pianta o un animale, il più delle volte, presi dalla fretta, ci limitiamo a guardare, invece di vedere, e fotografiamo di conseguenza dimenticando che – come sosteneva Paul Klee – “l’arte non ripete le cose visibili, ma le rende visibili“.

Ecco invece un esercizio assai utile: poniti davanti ad un soggetto, uno qualunque che attiri la tua attenzione, ma rigorosamente senza utilizzare la fotocamera e prova a vederlo, vederlo davvero.

Fai un esercizio di concentrazione e di visualizzazione.

Dovrai possedere il soggetto, quasi fossi poi costretto a descriverlo a qualcun altro, nei più piccoli particolari, una volta giunto a casa. Non limitarti alla superficie. Cerca di comprendere anche le sensazioni o le emozioni suscitate in te dal soggetto.

Fa freddo o caldo? C’è vento? Come ti senti, stanco, entusiasta, emotivamente coinvolto o meno? Che segnali ti manda il tuo corpo?

Ora pensa a quanti elementi ti perdi per strada quando arrivi in un luogo e in fretta e furia tiri fuori la tua fotocamera e immortali il tuo soggetto.

La fotografia diventa la testimonianza del tuo essere lì, non il punto finale di un processo consapevole. Quante volte hai scoperto alcuni elementi solo dopo, osservando la foto? E di quante occasioni perdute per fotografie interessanti ti rendi conto solo “dopo”? Come scrisse R.L. Stevenson: “bisogna aver riflettuto molto su un paesaggio prima di poterne pienamente godere. Probabilmente molti invecchieranno prima di cogliere in un paesaggio tutto quello che sarebbero capaci di vedervi”.

Naturalmente questo vale per qualsiasi tipo di soggetto, non solo i paesaggi.

Ogni soggetto per essere fotografato in modo efficace va prima compreso, osservato, ammirato, visto e spesso – come nel caso delle fotografie di reportage o di “street” – anche atteso in modo consapevole.

Come uno stregone, il fotografo deve avere una premonizione di quel che accadrà nel palcoscenico che ha scelto, e all’interno dell’inquadratura che ha composto. E questo è possibile solo concentrando la propria attenzione su ciò che abbiamo davanti e tutt’intorno.

Nel 1974 Luigi Ghirri realizzò un progetto fotografico che prevedeva di scattare ogni giorno, per 365 giorni, una foto del cielo. Le foto vennero organizzate su un pannello – disposte non in ordine cronologico ma piuttosto cromatico e di senso – per dar vita a un “atlante del cielo“.

Si tratta di un progetto molto “zen” e meditativo, ma anche di una forte presa di coscienza dell’ambiente circostante e di quella parte del nostro habitat a cui generalmente finiamo per prestare scarsa attenzione.

Anche Mimmo Jodice e Mario Giacomelli hanno realizzato numerose fotografie legate a una “presa di coscienza” del paesaggio, e il noto assunto di Cartier-Bresson sull’allineamento occhio – mente – cuore va nella stessa direzione.

Infatti anche fotografare l’istante, l’evento veloce e passeggero, presuppone però di essere preparati e pronti a coglierlo e dunque è necessario fare un preciso lavoro di studio del contesto prima ancora di portare la fotocamera all’occhio e scattare.

Per questo ho sempre pensato che il miglior alleato del fotografo siano i taccuini: sono in molti a portarli con sé, ma con motivazioni assai diverse. C’è chi vi scrive solo delle note tecniche, chi li utilizza per ricordare poi il luogo e la situazione, chi vi annota le proprie riflessioni.

Spesso il taccuino è oggi sostituito dallo smartphone o anche dalla stessa fotocamera, visto che è possibile registrare brevi note vocali allegate al file. Tutto questo non ha nulla a che fare con l’utilizzo di un taccuino nella logica di cui ho appena parlato.

Ovviamente quel che si può scrivere sulle pagine del nostro “quaderno da campo” è anche utile per degli scopi pratici, ma quel che è davvero necessario fare è utilizzare l’occasione per rallentare, fermarsi e prendere coscienza del soggetto o del contesto in cui andremo ad agire.

Io realizzo taccuini da sempre, poi per qualche anno ne avevo interrotto la redazione, per non “perdere” troppo tempo, rendendomi presto conto che questo mi portava a passare troppo velocemente da un luogo all’altro, da un soggetto all’altro.

Così ho acquistato dei bei quadernini con copertina nera e ora quando trovo un soggetto interessante appunto le mie impressioni e cerco di farne uno schizzo. Trovo che poche cose come il disegnare ti permettano di “vedere” davvero qualsiasi soggetto: lo so che come fotografi dovremmo dedicarci solo a fotografare, ma pensa di trovarti a riprendere – che so – una chiesetta di campagna.

Monti il treppiedi, inquadri, osservi con attenzione ogni dettaglio, prendi un respiro e fai click. Ecco: sei convinto di aver operato con la massima calma e lentezza, ma se io ti chiedessi di descrivere esattamente quel che hai appena fotografato, scommetto che avresti molte difficoltà. Quante erano le finestre sulla facciata, di quanti raggi era composto il rosone, quanti erano i cipressi nel viale d’ingresso? Mi dirai: non li ho contati!

Esatto, nessuno lo fa, normalmente, è questo il punto.

Ma se devi fare uno schizzo di quella stessa chiesetta dovrai per forza contare le finestre, i raggi del rosone e il numero di alberi sul viale, e notare molte altre cose, altrimenti come potresti riportarli su carta? Per questo è bene prima fare lo schizzo e poi fotografare, se possibile.

Immagina anche di andare in strada per scattare un po’ di foto “al volo” alle persone. E immagina di aver trovato un contesto promettente: ti siedi un attimo e fai uno schizzo veloce della scena: per farlo, noterai quelle grondaie gialle, le strisce bianche della strada, quello strano graffito, il gioco di ombre nel vicolo, cose del genere.

Ora hai una completa contezza della situazione e – come farebbe un ghepardo nella savana – puoi metterti all’opera per “ghermire” le situazioni che ti si presenteranno. E’ incredibile quanto questo possa aumentare le possibilità di successo. E naturalmente nel tempo avrai una lunga serie di taccuini illustrati che ti farà piacere rivedere, ogni tanto!

Non c’è niente di più piacevole e rilassante di trovarsi in una situazione fotograficamente promettente e placare quel senso di ansia e “adrenalina che scorre” ben nota a ogni fotografo, forzandosi invece a trovare un punto in cui sedersi e iniziare a descrivere le proprie sensazioni e idee e fare un disegno anche solo schematico di quel che ci colpisce. Ho sempre utilizzato direttamente la penna per fare questi schizzi, anche se a volte mi divertivo anche a colorarli a matita, tanto per dar loro maggiore risalto.

Ma ovviamente non è necessario metterci tutta questa cura: lo scopo non è diventare disegnatori migliori, ma fotografi più accorti!

Qualche volta, preso dall’entusiasmo, ho portato con me anche un blocco di carta spessa e i colori ad acqua, per realizzare veri e propri acquerelli.

Non sono certo un grande pittore, e se ti mostro questi schizzi è solo per farti capire che – anche se non sembra – questi lavori sono legati alla fotografia, non alla pittura. In effetti non li ho mai mostrati a nessuno, di certo non li esporrei, non è per questo che sono nati. Ma posso assicurarti che mi sono serviti, e molto. E ti consiglio di provarci, almeno qualche volta.

Di sicuro, è un’attività molto terapeutica.

 

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