Perché non vediamo ciò che vede la nostra fotocamera

La vista è una funzione incredibilmente complessa, e noi fotografi la utilizziamo senza nemmeno prestarci troppa attenzione, il più delle volte. Ed è un peccato, perché dovremmo invece provare un certo senso di gratitudine per il nostro cervello che ci rende un servizio così utile, indispensabile direi.

Naturalmente sono importanti anche gli occhi, ci mancherebbe, sebbene solo il 10% del senso della vista dipenda davvero da questi organi. Ma senza un “computer” in grado di elaborare i dati recettivi e di organizzarli in un qualcosa di fruibile e utilizzabile, faremmo davvero poca strada come esseri viventi, figuriamoci come fotografi.

Pensa solo al fatto che la retina riceve, dalla lente costituita dal cristallino, un’immagine capovolta e invertita destra/sinistra.

L’occhio infatti è esattamente come una “Camera Obscura“, uno di quegli apparati che secoli fa servivano a rendere più facile la ripresa dal vivo di paesaggi e monumenti.

fotocamera occhio

Chiunque abbia avuto modo di utilizzare una fotocamera biottica, sa perfettamente quanto sia complicato seguire un soggetto mobile che si muova da destra a sinistra mentre nel pozzetto della fotocamera lo vediamo muoversi da sinistra a destra!

Se vedessimo direttamente con gli occhi – insomma – la faccenda sarebbe davvero problematica. Ma il cervello mette tutto a posto e noi automaticamente vediamo le cose nel verso giusto. Questo vale anche per tante altre caratteristiche della visione, come i colori o la profondità.

E vale, ovviamente, anche per il contrasto.

Se ti trovi a passeggiare in un bosco in una giornata di sole, vedrai ampie zone illuminate alternate ad aree che sono in ombra, sotto le fronde degli alberi.

Una situazione di alto contrasto, come si usa dire, difficilissima da fotografare perché le ombre tendono a chiudersi e allora le alte luci sono corrette, oppure queste ultime si schiariscono troppo sino a perdere dettaglio se solo cerchiamo di rendere perfettamente visibili i dettagli nelle aree in ombra.

Da sempre i fotografi cercano di gestire queste problematiche trovando dei ragionevoli compromessi o ideando tecniche in grado di migliorare la situazione, dalla composizione di più foto all’HDR.

Però, se ci dovessimo affidare alla vista, il contrasto non apparirebbe affatto così spinto. In verità, abbiamo la netta impressione di riuscire a vedere bene sia nelle parti in ombra che in quelle alla luce.

Solo passando dal buio alla luce possiamo avere un momento di abbagliamento, ma in generale l’occhio – anzi, il cervello – è bravissimo a compensare le differenze di luminosità facendoci illudere che la scena sia assai meno contrastata di quel che appare. Come al solito i nostri sensi ci ingannano!

In verità la differenza di luminosità che l’occhio umano può percepire (secondo Wikipedia) è di circa 6,5 stop, mentre una moderna fotocamera può arrivare anche a 11-12 stop e più. Questo significa che, teoricamente, una fotocamera è in grado di riprendere dettagli in ombra e alla luce in modo assai più efficace dell’occhio.

Come mai allora la vista ci permette di ridurre le differenze e percepire un contrasto tra luci e ombre meno forte che in una fotografia?

Bella domanda, a cui si può rispondere dicendo che appunto la vista umana è pesantemente controllata dal cervello, che si è evoluto non certo per mostraci le cose come sono, ma per farci vedere le cose nel modo più utile alla nostra sopravvivenza.

Perché non vediamo ciò che vede la nostra fotocamera

Cambio di scena e di tempo: ora sei un Neanderthal (Homo neanderthalensis), col tuo vestito di pelli animali, armato solo di un bastone.

Ti aggiri nel bosco magari in cerca di prede e l’obiettivo di fondo è, innanzitutto, non diventare a tua volta una preda.

Se il passaggio tra le zone d’ombra e quelle alla luce fosse netta e simile a quella di certe fotocamere – soprattutto di un po’ di anni fa – sarebbe davvero un bel problema, perché tempo che l’occhio si adatta a ogni nuova situazione, tu avresti lunghi momenti di “quasi cecità” e un nemico o un predatore potrebbero assalirti e ucciderti.

Invece il cervello ci mette una pezza, e tu riesci quasi sempre a guardarti attorno e a vedere i dettagli (e i possibili pericoli) sia alla luce che in ombra. Un bel vantaggio.

Inutile dire che però non è che la vista umana sia proprio perfetta, insomma: ha i suoi limiti. Invocando la legge di Weber-Fechner (1860) che descrive la relazione tra la portata fisica di uno stimolo e la nostra percezione rispetto all’intensità dello stesso stimolo, possiamo capirlo meglio.

Immagina di aggiungere mezzo chilo a un peso che stai già sollevando. Se il peso è di 5 chili, l’aggiunta dell’ulteriore chilo risulterà percepibile, ma non nella misura in cui lo sarebbe se invece ne stai sollevando solo uno: il raddoppio del peso lo percepirai in pieno e con ogni evidenza.

Eppure l’aggiunta è esattamente la stessa.

Trasportando il tutto nel campo della luminosità, se la retina del nostro occhio è “eccitata” da una grande quantità di luce (cioè di fotoni) si accorgerà a malapena di lievi variazioni di tale luminosità: diciamo come quella di una candela che accendiamo al centro di un tavolo inondato di sole, ma se siamo in una cantina buia la semplice aggiunta della stessa luce sarà perfettamente percepibile e ci farà vedere distintamente buona parte dell’ambiente circostante, soprattutto se lasciamo alla retina il tempo di adattarsi alla nuova condizione.

In altre parole noi esseri umani abbiamo una migliore percezione delle differenti tonalità di illuminazione (dunque del contrasto) quando tali tonalità sono più scure. In pratica sappiamo vedere meglio i toni scuri che quelli chiari, vediamo meglio nella penombra che in piena luce.

visione umana e visione fotografica

Questo in generale, e in effetti ti sarai accorto che facilmente, sulla neve o anche al mare quando il sole lo illumina in modo violento, perdiamo la capacità di percepire i dettagli (per non parlare del fatto che possiamo rimanere abbagliati) e non distinguiamo chiaramente tra aree di luminosità leggermente diversa.

Fotocamere digitali e la percezione di luci e ombre

Stranamente nelle fotocamere digitali tali caratteristiche appaiono invertite: infatti hanno una minore capacità di catturare dettagli nelle ombre, mentre sanno benissimo gestire le parti illuminate di una scena e non a caso si consiglia di “esporre a destra”, cioè evitare sottoesposizioni, visto che in tal modo si perderebbero – appunto – dettagli nelle ombre. Magari è per questo che tanti fotografi fanno il contrario: la loro vista li spinge a considerare più le ombre che le luci, mentre la fotocamera fa il contrario!

Ma come la fotocamera ha un processore in grado di mettere almeno in parte a posto le cose, noi abbiamo un computer centrale assai più efficiente: il cervello.

Se le luci non sono tali da creare un effetto di abbagliamento, ecco che noi vediamo più o meno bene sia i dettagli nelle ombre che quelli nelle luci: la simultaneità non è reale, dunque, ma creata ad arte dal cervello.

Che conseguenze può avere tutto questo in campo più strettamente fotografico? Beh, che dobbiamo convincerci ancora una volta, e ancora di più, che non possiamo affidarci alla vista quando si tratta degli aspetti tecnici delle nostre fotografie.

E’ vero che con l’esperienza si impara a valutare quasi correttamente la scena che abbiamo dinanzi a livello esposimetrico, ma per il resto noi valutiamo assai male l’esposizione “a occhio”.

Al più ragioniamo su schemi acquisiti, come la famosa “regola del 16”, secondo la quale l’esposizione corretta, col sole pieno (tipicamente intorno mezzogiorno) è data dal diaframma f/16 e dall’inverso della sensibilità (ad esempio a 100 Iso sarà 1/100 di secondo).

Da questa base ci si sposta valutando se ci sono un po’ di nuvole, o se siamo in orari diversi e così via.

Funziona? Grossomodo si, ma è estremamente imprecisa, e da utilizzare solo in caso di emergenza, e di certo col digitale non ha più molto senso.

Soprattutto, dobbiamo diventare consapevoli di come vediamo le scene assai meno contrastate di quel che appaiono guardandole: la fotocamera non funziona davvero come la nostra vista, e se impariamo questa lezione eviteremo errori grossolani, soprattutto a livello esposimetrico.

Realizzare un’esposizione azzeccata e valida è più un fatto di ragionamento che di istinto.

La corretta esposizione

Visto che il sensore “vede” meglio le luci che le ombre – all’opposto, come visto, dell’occhio umano – dovremo cercare di tenere le ombre molto aperte, senza esagerare, s’intende, altrimenti le alte luci perdono dettaglio, e questo va fatto anche se – nelle nostre intenzioni – la foto dovrà essere molto scura.

Andrà scurita in post-produzione, ben sapendo però che in tal modo potremo mantenere il massimo della gamma dinamica e della qualità della foto.

Molti sostengono che la tecnica dell’ETTR (Expose To The Right, esponi a destra) non ha più molto senso oggi, con fotocamere sempre più evolute e in grado di gestire i file in modo avanzato. E specialmente con le nuove Full Frame capaci di non accusare problemi fino anche a 12, 14 o più diaframmi di contrasto.

Tutto vero, ma in realtà vale per modelli di fotocamere comunque costosi, non alla portata di tutti. La gran parte delle fotocamere in vendita, sebbene da questo punto di vista abbiano fatto passi avanti notevoli, hanno comunque ancora problemi a gestire le ombre, e dunque l’attenzione all’aspetto esposimetrico non viene meno.

Ma c’è anche da dire che oltre questo aspetto tecnico in senso stretto, c’è anche quello iconografico.

Considerazioni finali

Cioè la non corrispondenza automatica tra ciò che vediamo e come lo fotografiamo. Il mondo è, e rimane, profondamente diverso per il nostro sguardo e per l’occhio della fotocamera. Può apparire un limite, ma solo se pensiamo alla fotografia come mera riproduzione del reale.

Se la pensiamo in senso creativo, la fotocamera può allargare i nostri orizzonti visivi, mostrarci quel che non siamo in grado di percepire o vedere davvero, dall’Infrarosso al movimento veloce, dal passare del tempo ai contrasti spinti, e così via.

Imparare a vedere con i nostri occhi, e comprendere le differenze che ci separano da una fotocamera, insomma, è qualcosa di estremamente utile per un fotografo. Occhio, mi raccomando!

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