Peter Lindbergh: il maestro della Fashion Photography

Dalla Polonia occupata alle copertine di Vogue

Noto soprattutto per i suoi memorabili scatti di moda, Peter Lindbergh è considerato uno dei fotografi contemporanei più influenti nell’estetica della fashion photography.

Lindbergh nasce nel 1944 a Leszno, nella Polonia occupata dai tedeschi e trascorre l’infanzia a Duisburg, in Germania. Da ragazzo lavora come vetrinista per i grandi magazzini Karstadt e Horten nella città tedesca in cui trascorre la sua giovinezza. Vivendo in una zona della Germania vicina ai Paesi Bassi, Peter Lindbergh trascorre le sue prime vacanze estive con la famiglia, frequentando la costa olandese nella zona di Noordwijk. Le vaste spiagge della sua gioventù e gli ambienti industriali tedeschi costituiscono quindi il paesaggio più ricorrente nell’immaginario artistico di Peter Lindbergh che, all’inizio degli anni Sessanta, si trasferisce in Svizzera, a Lucerna, per poi fermarsi poco dopo a Berlino dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti.

@Peter Lindbergh; la modella Michaela Bercu in uno scatto per lo shooting della copertina di Vogue, novembre 1988

In giovinezza è sulle tracce del suo idolo, Vincent van Gogh, per questa ragione è spesso ad Arles e visita la Spagna e il Marocco, trascorrendo due anni in viaggio. Il ritorno di Peter Lindbergh in Germania coincide con la frequentazione del Kunsthochschule (College of Art) di Krefeld. Influenzato da Joseph Kosuth e dal movimento dell’arte concettuale, nel 1969 è invitato, prima di laurearsi, a presentare i suoi primi lavori alla Galerie Denise René. Dopo il trasferimento a Düsseldorf nel 1971, rivolge la sua attenzione alla fotografia e lavora per due anni come assistente del fotografo tedesco Hans Lux, prima di aprire il proprio studio nel 1973. Divenuto famoso nel suo paese natale, si unisce alla famiglia della rivista Stern insieme ai fotografi Helmut Newton, Guy Bourdin e Hans Feurer.

Nel 1978, Peter Lindbergh si trasferisce a Parigi e inizia a lavorare con Vogue: le sue fotografie sono protagoniste della versione inglese, tedesca, francese, americana e italiana del prestigioso magazine di moda. Le sue collaborazioni continuano successivamente con Vanity Fair, Allure, Rolling Stone e The New Yorker. Nel 1988 fotografa la modella israeliana Michaela Bercu, in outfit Christian Lacroix, per la prima copertina di American Vogue sotto la direzione di Anna Wintour.

Tra le top model più celebri immortalate da Peter Lindbergh, vanno ricordate (tra le altre) Christy Turlington, Naomi Campbell, Kate Moss, Linda Evangelista, Cindy Crawford e Tatjana Patitz, alcune delle quali protagoniste di una spettacolare copertina per il numero gennaio 1990 dell’edizione britannica di Vogue.

Peter Lindberg : copertina di British Vogue, gennaio 1990

L’affermazione internazionale negli anni Novanta e oltre

Peter Lindbergh è stato uno dei primi fotografi a introdurre brevi testi nei suoi editoriali di moda. Il suo servizio fotografico del 1990 con Helena Christensen alle prese con un marziano per Vogue Italia è considerato il punto di partenza nell’evoluzione degli editoriali di moda accompagnati da narrazioni. Nel 1992, l’edizione americana di Harper’s Bazaar mette Lindbergh sotto contratto esclusivo su insistenza dell’allora editore Liz Tilberis.

Peter Lindbergh è stato per ben tre volte la firma del calendario Pirelli – ai tempi, unico artista a essere scritturato per tre edizioni – nel 1996, 2002 e 2017. La versione del 2002 presentava per la prima volta delle attrici anziché modelle con uno shooting avvenuto nel backlot degli Universal Studios. Un numero di svolta del celebre calendario, descritto dalla femminista Germaine Greer in The Guardian come “il calendario Pirelli più impegnativo fino a quel momento”.

Peter Lindbergh; nella foto la modella Tatiana Patitz per il Calendario Pirelli 1996

Il primo libro di Peter Lindbergh ha per titolo 10 Women, uscito nel 1996 e divenuto negli anni un best seller con 100.000 copie vendute. Images of Women, pubblicato nel 1997, è invece la prima monografia completa del fotografo, offrendo una retrospettiva completa sui ritratti che Lindbergh aveva scattato negli ultimi dieci anni, quelli dell’affermazione come uno dei più grandi fotografi di moda del suo periodo. Nel 2015 il libro ha un suo sequel: Images of Women II: 2005-2014, in cui Lindbergh scrive:

“Se i fotografi hanno la responsabilità di creare o riflettere un’immagine delle donne nella società… allora, devo dire che c’è solo una strada per il futuro, ed è definire le donne come forti e indipendenti. Questa dovrebbe essere la responsabilità dei fotografi di oggi: liberare le donne, e finalmente tutti, dal terrore della giovinezza e della perfezione”

Peter Lindbergh ha collaborato a due numeri completi di Vogue con immagini sue e del suo assistente, Jethro Gaines del J.Gaines Studio, uno per celebrare il 30° anniversario della edizione tedesca del magazine nell’ottobre 2009, e l’altro per Vogue Spagna nel dicembre 2010.

Peter Lindberg: Kate Moss 1996

Il risultato della sua collaborazione negli anni con Azzedine Alaïa si riflette nel libro fotografico dedicato allo stilista tunisino con il quale strinse una grande amicizia. Entrambi, infatti, condividevano gli stessi criteri di bellezza ed estetica, amando il colore nero e il ruolo della libertà nelle loro espressioni artistiche.

Il portfolio di Lindbergh è attualmente parte di diverse collezioni permanenti in molti musei d’arte in tutto il mondo ed è stato anche ospitato in prestigiosi musei e gallerie tra cui il V&A di Londra, il Centre Pompidou di Parigi e il PS1 del MoMa di New York.

La sua mostra A Different Vision on Fashion Photography è stata successivamente presentata alla Kunsthalle di Monaco di Baviera e alla Reggia di Venaria di Torino. Più recentemente, Lindbergh ha preso parte alla mostra Alberto Giacometti Beyond Bronze, presentata al Kunsthaus di Zurigo.

Sia nel 1995 che nel 1997 è stato nominato miglior fotografo agli International Fashion Awards di Parigi. Nel 2005 è stato insignito del Lucie Award for Outstanding Achievement in Fashion Photography.

Prima di morire, a 74 anni a Parigi, Peter Lindbergh aveva lavorato al progetto Forces for Changes di Vogue in collaborazione con Meghan Markle, Duchessa di Sussex, un numero speciale della rivista che aveva per protagoniste attiviste, attrici e personalità politiche. Un anno prima, aveva rilasciato questa significativa dichiarazione che definisce chiaramente il suo approccio ai soggetti della sua fotografia, dal carattere drammaticamente cinematografico: “Odio i ritocchi, odio il trucco. Dico sempre… Togli il ​​trucco!

Peter Lindbergh: l’attività di regista e la musica

Da artista “globale” quale fu, Lindbergh fu fondamentalmente un fotografo, ma saltuariamente si dedicò anche all’attività di regista. Il suo primo film documentario Models, The Film risale al 1991 e ha per protagoniste le più importanti top model dell’età d’oro delle super modelle. Nel 1999 è la volta di un lavoro che gli vale un prestigioso premio al Toronto International Film Festival nella categoria dei documentari: Inner Voices esamina l’espressione di sé nel metodo recitativo dell’attore e regista Lee Strasberg, come Lindbergh originario della Polonia.

Del 2008, Everywhere at Once (2008) è stato diretto in collaborazione con la regista Holly Fisher, e voce narrante di Jeanne Moreau, e ha per protagonisti diversi scatti “filmati” di Lindbergh, molti dei quali inediti. Peter Lindbergh – Women’s Stories è un film documentario del 2019 sulla vita del fotografo in cui compare anche la sua prima moglie, Astrid Lindbergh. Tra le collaborazioni più rilevanti di Lindbergh nel mondo della musica pop, vanno ricordati alcune immagini scattate ad hoc per copertine di album di Tina Turner, Sheryl Crow e Beyoncé.

Lo stile: il bianco e nero di Peter Lindbergh

Gli scatti di Lindbergh per Vogue e Harper’s Bazaar, i calendari Pirelli e le campagne di Calvin Klein e Dior hanno reso il fotografo tedesco molto popolare. Le sue immagini eleganti e cinematografiche non solo hanno lasciato un segno importante nel mondo della fotografia e della moda, ma sono giunte anche nel territorio della cultura pop. Questo perché, alla fine degli anni ‘80, Lindbergh osò fare ciò che pochi fotografi di moda avevano fatto prima: mostrare le modelle così com’erano. Il suo bianco e nero – cinematografico, contrastato e per certi versi “industriale” – è un tratto fondamentale della sua estetica.

Peter Lindbergh
Peter Lindbergh: The Wild Ones (1991)

Per Lindbergh la scelta del black & white è un’interpretazione della realtà e la trasformazione della realtà altro non è che il primo passo verso la creazione dell’arte. In questa scelta estetica, c’è sicuramente l’influenza dei fotografi americani che avevano immortalato la Grande Depressione, come Walker Evans e Carl Mydans.

Nella sua fotografia “fashion” Lindbergh ha portato il realismo e la monumentalità di certi scatti paesaggistici nel mondo della moda, con l’idea certa che il bianco e nero fosse la chiave per fare affiorare la personalità delle sue modelle, come mai erano apparse prima in altre campagne pubblicitarie. Il colore, secondo Lindbergh, avrebbe banalizzato la personalità delle modelle, rendendo il tutto simile a una qualsiasi campagna di prodotti cosmetici.

Con il bianco e nero l’immagine acquisisce una drammaticità realistica in grado di neutralizzare il fine “commerciale” della comunicazione visiva, esaltando la personalità dei soggetti immortalati. La grande differenza tra colore e bianco e nero è che, probabilmente, quest’ultimo rappresenta un piccolo passo in più verso l’arte. E la fotografia di moda è soprattutto finzione e fantasia.

Peter Lindbergh: Linda Evangelista in “ET Story”, 1990 (Vogue Italia)

In questo senso, rimane emblematica una delle campagne pubblicitarie più celebrate di Peter Lindbergh, la cosiddetta (e già citata) ET Story, che unisce eleganza e romanticismo in una narrazione tipicamente hollywoodiana, molto amata dalla compianta Franca Sozzani. Protagonista della “storia” è la super modella Helena Christensen che scopre un piccolo marziano atterrato con il suo UFO da qualche parte nel deserto californiano. La modella gli fa conoscere Los Angeles e gli mostra il molo di Santa Monica e l’Hollywood Boulevard. Poi lo riporta a casa sua, una vecchia roulotte in mezzo al nulla. Il marziano si innamora di lei, ma riceve segnali radio dai suoi simili e non ha altra scelta che riunirsi ai suoi compagni, che stanno disperatamente cercando di salvarlo. Come la maggior parte del lavoro di Lindbergh, le foto trascendono la moda e rimangono fuori dal tempo.

Non solo moda: Untold Stories

Se negli anni Novanta fu il primo a promuovere un’ideale di bellezza che evitava il foto ritocco, con il passare del tempo Peter Lindbergh fu sempre più vicino al tentativo di cogliere l’essenza nei suoi sontuosi ritratti, carichi di drammaticità. Curata dallo stesso Lindbergh, la mostra postuma Untold Stories, in Italia conclusasi a Torino nell’ottobre 2021, è una delle prove più consistenti di questa tendenza che il fotografo tedesco accentuò negli ultimi anni della sua carriera.

Peter Lindbergh: Untold Stories

L’exhibition, infatti, ha mostrato un lato per certi versi inedito di Peter Lindbergh, andando oltre lo status di fotografo di moda che ha contributo all’estetica fashion degli anni Novanta. Se l’era delle super modelle e delle copertine di Vogue in qualche modo mise in secondo piano gli aspetti espressivi della sua (comunque) notevole fotografia, gli scatti presenti in Untold Stories mirano a sottolineare i tratti evocativi e la profondità delle immagini di Lindbergh, spesso caratterizzate da antitesi in cui si scontrano delicatezza dei soggetti e ruvidità degli sfondi urbani.

Come tutte le mostre di una certa rilevanza, anche Untold Stories è stata alla base di un volume di 150 immagini, una retrospettiva intima che in qualche modo tiene lontana la natura fredda e lucida dell’obiettivo sulla moda. L’operazione non rinnega l’approccio fashion degli anni Novanta, ma semmai lo approfondisce, rivelando una profondità che non tutti, probabilmente, erano riusciti a cogliere.

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