
Antropizzazione delle Terre Alte – Matteo Pizzagalli
Introduzione
Dopo che per millenni l’uomo è vissuto tra pascoli e campi coltivati, boschi e dirupi rocciosi, la pianura e la città hanno finito per vincere la “battaglia”, forti della maggiore comodità. Quei luoghi un tempo frequentati e vissuti, hanno così conosciuto l’abbandono. Ne restano tangibili tracce negli edifici di pietra che abbondano qua e là in ogni angolo montano e collinare d’Italia e che oramai stanno pian piano disgregandosi davanti all’avanzare del tempo, all’inesorabile degrado dovuto all’abbandono. Questo è il mondo – o almeno, una piccola parte, quello delle Terre Alte – che Matteo ci racconta, facendoci avvicinare piano piano – col dovuto rispetto dovuto a simili memorie – agli edifici lasciati all’incuria, ma anche alla natura che se ne riappropria, mostrandone il lento decadimento, sino quasi alla sparizione. Il suo è un viaggio lento, che in poche foto percorre decenni, se non secoli.
Artist Statement
Le Terre Alte sono l’ultimo margine di montagna occupata e vissuta dall’uomo. L’osservatore con questo progetto viene accompagnato a fare salto nel tempo e nello spazio, senza doversi muovere dal posto in cui è, tenendo i piedi ben saldi a terra. Lo stesso hanno pensato gli abitanti delle Terre Alte quando hanno progettato e gettato le basi dei loro piccoli borghi montani. L’intento è riuscito, l’agglomerato di case ha resistito al passaggio del tempo diventando preziosa testimonianza ora silenziosa del passaggio dell’uomo: gli abitanti – uomini e donne, le loro storie, le loro mani nerborute e laboriose che hanno affrontato inverni avari davanti ad un focolare ed estati polverose di fieno da raccogliere e terra da lavorare. Ecco che l’osservatore ha scrutato da vicino fin nell’intimo di queste case abbandonate per uscirne più consapevole e rispettoso di un ambiente dimenticato.
Commento
Un lavoro venato di malinconia, in cui sembra quasi di sentire l’odore tipico dei muri ammuffiti, dei calcinacci su cui cresce l’erba, il fresco ombroso degli alberi che crescono nei cortili oramai vuoti. In un gioco di sguardi, e passi che ci conducono dalla luce alla penombra, il racconto di Matteo ci coinvolge e non ci lascia indifferenti. Il che dimostra le buone capacità narrative ed evocative del fotografo.