
Margaret Bourke-White è una tra le figure più rappresentative del fotogiornalismo americano. Nella sua carriera ha esplorato ogni aspetto della fotografia, passando dall’architettura all’industria, dai reportage per LIFE alla cronaca della seconda Guerra Mondiale, fino ai celebri ritratti di Stalin e Gandhi.
La mostra Prima, donna. Margaret Bourke-White, visitabile al Museo di Roma in Trastevere fino al 30 APRILE 2022, mette in luce la straordinaria ambizione e determinazione di una donna, che riesce a imporsi come fotografa, in un’epoca in cui alle donne erano negate molte possibilità. Unica donna in un mondo prettamente maschile, scrive nel suo diario:
«Voglio diventare famosa e ricca. Sono fortunata nella mia professione; attraverso il mio lavoro posso esprimere quello che voglio e trasformare il tutto in denaro.»
L’esposizione, curata da Alessandra Mauro, è promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con Life Picture Collection.

Chi è Margaret Bourke-White
Margaret Bourke-White nasce a New York nel 1904, da una famiglia borghese. Da sempre ambiziosa e competitiva, frequenta la Columbia University e, durante il college, si appassiona alla fotografia. In questi anni incontra anche il suo primo marito, Everett Chapman, dal quale divorzierà dopo soli 2 anni. Lasciato alle spalle il matrimonio, intraprende la sua carriera come fotografa, aprendo uno studio fotografico, in Ohio. Si specializza nella fotografia d’architettura e ottiene numerosi attestati di stima, dalle più note industrie dell’epoca (come le acciaierie Otis Steel che la scelgono per la sua creatività).
Nel 1929 Margaret viene notata da Henry Luce, editore del Time, che la invita a collaborare con la rivista Fortune. L’avventura da fotogiornalista la porta a viaggiare molto: nel 1930 è in Germania e poi in Russia, dove diventa la prima fotografa occidentale autorizzata a scattare in URSS.
Nel 1935 è di nuovo Henry Luce a coinvolgerla in un nuovo progetto editoriale: entra così a far parte della redazione di LIFE. Il nuovo progetto le regala la sua prima copertina: uno scatto della diga di Fort Peck nel Montana.
Dal 1936 inizia a rivolgere la sua attenzione a lavori di tipo documentario e, insieme allo scrittore Erskine Caldwell (che diventerà il suo secondo marito), viaggia in lungo e in largo per il Sud America, documentando la siccità di quegli anni. A questo periodo appartiene il volume illustrato You have seen their faces, sulle tragiche condizioni di vita nelle campagne americane.
«Non avevo mai visto un paesaggio simile. – si legge nel suo diario – Un sole accecante picchiava impietoso sulla terra arsa e dura. Ora sapevo che non avrei più lavorato in pubblicità.»
Nel 1941 torna in Russia con il marito, per fotografare la vita cittadina della città di Mosca. A questo viaggio appartiene anche il suo celebre ritratto di Stalin.
Dopo l’esperienza in Russia, Margaret chiede e ottiene il permesso di diventare reporter di guerra. Prima di lei, nessuna altra donna era mai stata accreditata come fotografa al fronte, insieme all’esercito americano.
Tra il 1947 e il 1950 viaggia alla volta del Pakistan, dell’India (dove fotografa Ghandi, poche ore prima che venga ucciso) e documenta l’apartheid in Sud Africa.
In questi anni inizia anche la sua lotta contro il Parkinson. Nel 1957 firma il suo ultimo servizio per Life e nel 1963 scrive l’autobiografia Portrait of myself. Vive gli ultimi anni della sua vita in Connecticut e muore, nel 1971, a 67 anni.

Il percorso della Mostra
La mostra si compone di più di 100 immagini, provenienti dall’archivio LIFE di New York e sono divise in 11 sezioni tematiche, che seguono – in odine cronologico – la vita della fotografa. Vediamole nel dettaglio.
Sezione 1: L’incanto delle acciaierie
La prima sezione mostra i lavori della Bourke-White per le industrie.
Dal 1928, anno in cui apre il suo primo studio fotografico, Margaret è contattata da numerose industrie, per fotografare il lavoro all’interno delle acciaierie. Le sue fotografie, realizzate in cima ai grattacieli e nelle zone più pericolose degli stabilimenti, rendono i suoi tagli unici nel loro genere e le garantiscono, da subito, la notorietà.
Prima donna ad arrampicarsi sulle colate di ferro delle fonderie e a sopportare il calore delle fornaci, Margaret Bourke-White realizza una fotografia insolita e visionaria, a cui non si era abituati, soprattutto nella fotografia industriale. I suoi scatti sono vere e proprie opere d’arte, che nulla hanno a che fare con un’asettica documentazione del lavoro nelle acciaierie. Tutto questo, associato al suo coraggio e alla sua voglia di primeggiare, rendono la figura della Bourke-White quasi leggendaria.
“Se ti trovi a trecento metri di altezza – diceva – fingi che siano solo tre, rilassati e lavora con calma.”

Sezione 2: Nella “Conca di polvere”
La seconda sezione raccoglie gli scatti realizzati dalla fotografa negli anni della Grande Depressione, negli USA.
La crisi economica stava devastando il paese, così, Margaret decide di contattare Erskine Caldwell, per realizzare insieme un lavoro di documentazione sul Sud degli USA. Tra gli scatti di questa sezione, spicca quello della fila in attesa della distribuzione del cibo. Nella foto si vedono gli afroamericani in fila, sovrastati dalla pubblicità di un’auto, con a bordo la tipica famiglia americana e la frase “World’s highest standard of living”. Una foto potentissima.

Sezione 3: Life
La terza sezione è dedicata alla collaborazione della Bourke-White con la rivista LIFE. Inizialmente chiamata a lavorare per la rivista Fortune, Margaret impara un nuovo modo di lavorare, realizzando i photo essays che diventeranno il suo punto di forza. Nel 1936, Henry Luce decide di avvalersi della sua straordinaria versatilità anche per il suo nuovo progetto: LIFE.
«Nulla è più eccitante di contribuire alla creazione di un nuovo giornale. – scrive la Bourke-White – […] Il ritmo di lavoro era frenetico; potevamo conquistare il mondo, niente sembrava troppo difficile. Trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare perché oltre a essere un fotografo sei un essere umano un po’ speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto: questo era il nostro modo di lavorare. Altri fotografi avrebbero forse realizzato foto altrettanto buone, ma sarebbero state diverse. Solo noi avevamo la capacità di cogliere dei particolari rivelatori di una determinata storia da raccontare, e solo noi potevamo fissarla su una pellicola impressionabile. Non esiste niente come sentire una nuova storia che nasce».
Margaret realizza per LIFE la copertina del primo numero e, negli anni, numerosi reportage e ritratti. LIFE diventa la sua seconda casa.

Sezione 4: Sguardi sulla Russia
Nella quarta sezione è racchiuso il periodo in cui Margaret Bourke-White documenta le fasi del piano quinquennale in Unione Sovietica.
Prima donna occidentale ammessa a fotografare l’URSS, Margaret era attratta dalle situazioni pericolose e voleva essere lì dove nessuno era arrivato. Durante la sua esperienza in Russia, documenta la situazione del paese fino alla Seconda Guerra Mondiale e realizza uno scoop eccezionale: il famoso ritratto di Stalin, in esclusiva per LIFE. Tornerà più volte in Russia e dedicherà a questa esperienza il suo primo libro: Eyes on Russia.

Sezione 5: Sul fronte dimenticato
Gli anni della guerra sono documentati nella quinta sezione.
A questo periodo appartengono gli scatti della Bourke-White al seguito dell’esercito USA, in Nord Africa, Italia e Germania. Per lei, viene disegnata la prima uniforme femminile di corrispondente di guerra. In questo periodo, il vero obiettivo da raggiungere, ancor prima delle foto, è quello di essere trattata al pari dei soldati. Una donna al fronte scatena sentimenti di iperprotettività e – come lei stessa dichiara – “nessun fotografo iperprotetto, maschio o femmina, può scattare buone foto da lontano”.
Purtroppo, gran parte del materiale fotografico, che inviava come corrispondente, è andato perso, forse a causa della censura.
Dopo la missione in Nord Africa, Margaret chiede di tornare al fronte per fotografare la campagna d’Italia, sebbene fosse una zona particolarmente rischiosa. Il “fronte dimenticato”, così come veniva chiamato, è un’occasione per una donna come lei, che ama le sfide.
Sezione 6: Nei Campi
La sesta sezione mostra, senza filtri, l’orrore del campo di concentramento di Buchenwald, nel momento della Liberazione.
Durante la visita a Buchenwald, Margaret registra, con il suo obiettivo e le sue parole, tutto ciò che vede.
«Ero con la Terza armata del Generale Patton quando arrivammo a Buchenwald, appena fuori Weimar. […] Vidi e fotografai pile di corpi nudi senza vita, i pezzi di pelle tatuata usati per i paralumi, gli scheletri umani nella fornace, gli scheletri viventi che di lì a poco sarebbero morti per aver atteso troppo a lungo la liberazione. Buchenwald era qualcosa di inconcepibile per la mente umana. Spesso mi chiedono come sia riuscita a fotografare tali atrocità. Per lavorare ho dovuto coprire la mia anima con un velo.»

Sezione 7: L’India
La settima sezione è dedicata all’India e raccoglie il lungo reportage della fotografa, negli anni dell’indipendenza e della sua separazione dal Pakistan. Per realizzare uno dei reportage più interessanti della sua carriera, Margaret lavora per oltre due anni.
«Avevo sempre pensato all’India come a un paese vecchio e invece scoprii quanto potesse essere giovane. Di fronte a me avevo un dramma storico da fotografare con tanto di personaggi, e uno degli uomini più santi mai esistiti. La fotografia richiede sempre un livello alto di coinvolgimento, ma non mi sono mai sentita così coinvolta come quando ho fotografato i vari momenti della vita di Gandhi.»
Tra le altre immagini di questa sezione, c’è anche il celebre ritratto di Gandhi intento a filare.

Sezione 8: Sud Africa
L’ottava sezione offre una visione senza sconti del Sud Africa durante l’Apartheid.
Nel 1950 Margaret è in Sud Africa: vuole conoscere da vicino il problema dell’apartheid e per farlo non esita a introdursi nelle compagnie minerarie e nelle grandi fattorie, dove lo sfruttamento dell’uomo è all’ordine del giorno. In Sud Africa, i nove decimi della terra e di tutte le miniere è nelle mani dei bianchi e i neri rappresentano la manodopera a basso costo.
Sezione 9: Voci del Sud Bianco
La nona sezione è l’unica a colori ed è dedicata alla segregazione del Sud degli USA.
Nel 1956 LIFE pubblica l’inchiesta The Background of Segregation, con lo scopo di indagare il problema della segregazione, negli anni delle lotte per i diritti civili. In questi anni Margaret realizza, per LIFE, un reportage a colori (Voices of the White South) a Greenville e nel South Carolina.

Sezione 10: In alto e a casa
La decima sezione raccoglie le più significative immagini aeree. Oltre a quella per la fotografia, Margaret Bourke-White aveva un’innata passione per il volo. All’inizio della sua carriera, Margaret aveva sorvolato New York e si era arrampicata su uno dei grattacieli più alti della città, il Chrysler.
A questo periodo appartiene il reportage “L’America Vista dall’alto”, uno studio approfondito sulle diagonali e le distanze, che restituiscono scatti di architettura davvero unici.

Sezione 11: La mia misteriosa malattia
Il percorso termina con l’undicesima sezione, interamente dedicata alla lotta di Margaret contro il Parkinson.
La potenza di questa sezione sta nella capacità di mettersi a servizio del racconto, anche quando il racconto è il suo. Il soggetto del reportage, questa volta, è lei stessa e le foto sono realizzate dal collega Alfred Eisenstaedt, che ne testimonia la forza e la determinazione anche nella fragilità. Le immagini accompagnano un suo testo sulla malattia e la necessità di combatterla con la volontà che la contraddistingue. In questi anni, completa la sua autobiografia che uscirà nel 1963 con il titolo Portrait of Myself.

“Maggie l’indistruttibile”
Con il suo obiettivo come scudo tra gli occhi e lo strazio della guerra, il coraggio della Bourke-White le vale il soprannome di “Maggie l’indistruttibile”, assegnatole dallo staff di LIFE.
Questa retrospettiva attraversa la vita e la carriera di una grande donna, ancor prima che una grande fotografa: una donna che non rinuncia ai suoi desideri, anche quando questi appaiono fuori portata.
Quello della Bourke-White è uno straordinario esempio di vita vissuta al massimo, nonostante gli impedimenti del tempo, le difficoltà e la malattia.
Silvia Gerbino