
E`un vero piacere ospitare oggi su Reflex-Mania l’intervista di Silvia Gerbino ad Alessio Pagani e Francesco Fiorello, autori del libro fotografico
“Resistere. Nel cuore terremotato del Centro Italia”.
Ed è un vero piacere per due motivi:
- Innanzitutto perché sentiamo assoluta sintonia con la loro voglia di testimoniare le ferite di un territorio e il coraggio della popolazione che lo abita.
- E poi perché la tenacia con cui i due fotografi, attraverso la collaborazione con la casa editrice Seipersei e la piattaforma di crowdfunding Ulule, sono arrivati alla pubblicazione del loro libro, è motivo di ispirazione per qualunque fotografo che ha un progetto nel cassetto.
Ma adesso, la parola a Silvia, Alessio e Francesco.
“Sono trascorsi due anni dal terribile sisma che, nell’estate del 2016, ha sconvolto l’Italia Centrale e causato ingenti danni su tutto il territorio umbro-marchigiano.
A testimonianza del duro lavoro di riorganizzazione, Genziana Project – dei fotografi Alessio Pagani e Francesco Fiorello – propone “Resistere. Nel cuore terremotato del Centro Italia”, un libro fotografico che ripercorre i primi 20 mesi post sisma.
Attraverso parole e immagini, i due fotografi ci raccontano le macerie, ancor prima della faticosa ricostruzione, peraltro ancora in atto. Da Amatrice ad Accumoli, passando per Arquata del Tronto, Castelsantangelo sul Nera, Norcia e molti altri meravigliosi luoghi dell’Appennino italiano, questo coraggioso progetto parla di un popolo coraggioso, che affronta a testa alta ogni difficoltà e non rinuncia a combattere per ciò che ama.
L’intervista
Silvia: Pensando alla desolazione che avete visto con i vostri occhi, nei luoghi colpiti dal sisma, che significato ha per voi il concetto di “resistere”?
Non abbiamo visto desolazione nei luoghi del sisma. La desolazione prevede l’assenza della possibilità di ripresa. Fosse stato così non avremmo mai continuato a scattare dopo la prima fase dell’emergenza.
Quando, da fotogiornalista, sei chiamato a fare i conti con le immagini dei corpi di bambini coperti di polvere e il dolore straziante dei genitori sopravvissuti ai figli, se non credi nella speranza di una rinascita, per quanto difficile o lontana, il tuo lavoro è finito lì.
È stato il popolo straordinario dell’Appennino a darci la forza di andare avanti.
Lo ha fatto perché chi è rimasto al proprio posto, senza abbandonare per un secondo la propria terra ferita, ha dimostrato inequivocabilmente che è da questo amore che si deve ripartire. Dall’amore per i propri luoghi.
Così, da semplici abitanti di quelle terre, hanno dovuto trasformarsi in eroi. Nessuno di loro voleva esserlo, ma non c’era un altro modo per sopravvivere all’abbandono, alla non ricostruzione, all’assenza di risposte minime e concrete.
Come diceva il professore e saggista americano Joseph Campbell «un eroe è solo un normale essere umano che fa la migliore delle cose nella peggiore delle circostanze». E farlo nel cuore terremotato dell’Italia vuole dire una sola cosa: resistere.
Silvia: Il vostro libro fotografico è interamente in bianco e nero e immagino che non sia una scelta meramente tecnica. C’è un particolare intento narrativo dietro a questa decisione?
La tecnica c’entra veramente poco. Anzi niente. Il nostro è soltanto un lavoro di cuore che nasce dalle foto non fatte, dall’attesa, dall’annullamento delle distanze tra noi, le persone e i loro luoghi.
Fin da subito abbiamo pensato non ci fossero alternative al bianco e nero. Ma non per una questione stilistica.
Abbiamo scattato foto del terremoto per le riviste italiane e sono giocoforza state pubblicate a colori.
Per il libro, però, abbiamo voluto costringere il fruitore a concentrarsi. A perdersi su particolari impercettibili, sui resti di quella che una volta era una casa, a seguire con lo sguardo il solco di una ruga sbocciata con la paura e il dolore. Tutto questo presuppone la totale assenza di distrazioni, che solo il bianco e nero, nel fotoreportage, è in grado di dare.
Silvia: Nel vostro libro ci sono diversi ritratti. Cosa avete visto e cosa vorreste che i vostri sostenitori vedessero nei volti degli uomini e delle donne che hanno vissuto l’esperienza del sisma?
Nient’altro che la loro resistenza, come suggerisce il titolo del libro, e il loro cuore. Quelle persone vivono ancora sulla propria pelle le difficoltà causate dal sisma, ma sono stati dimenticati dal resto del Paese.
Oltre a dover lottare ogni giorno contro le promesse non mantenute, si trovano a fare i conti con uno storytelling della ricostruzione, che la politica racconta come un’emergenza finita. Così viene loro negato anche il diritto di soffrire per un’ingiustizia reale.
Questo dovrebbero vedere i nostri lettori: la resistenza di un popolo abbandonato eppure indomito, e il cuore delle genti dell’Appennino che si chinano «ma solo per cogliere la genziana».
Silvia: Un progetto come il vostro avrebbe probabilmente trovato spazio anche nei canali editoriali tradizionali. Com’è nato il sodalizio con la casa editrice Seipersei?
Per la verità, non è stato affatto semplice trovare un editore che capisse l’importanza di questo lavoro. Questo progetto ha avuto spazio solo in linea teorica negli editori tradizionali.
È un lavoro di denuncia fotogiornalistico, in cui anche i testi hanno un ruolo fondamentale. Ad ogni manifestazione di interesse da parte degli editori, seguiva, quasi all’istante, l’invito ad una revisione delle storie raccontate, delle proteste.
La sensazione che abbiamo avuto è stata quella che fosse interessante per gli editori tradizionali purché ammorbidito: impossibile da accettare per noi.
Ci volevano coraggio, competenza e una piccola dose di follia per imbarcarsi in un’avventura come questa e, nel panorama italiano, le abbiamo trovate solo nella Seipersei.
Non è un caso che, prima di definire contrattualmente questa collaborazione, Stefano e Chiara – gli editori – siano venuti con noi in alcuni luoghi del sisma.
Quando nei loro occhi abbiamo visto la stessa nostra rabbia, la stessa nostra volontà di denunciare questo abbandono e lo stesso attaccamento alle persone, abbiamo capito che, al di là dell’esito finale, ci avremmo potuto provare solo con loro. E così è stato.
Silvia: Perché avete scelto di finanziare il vostro progetto attraverso una piattaforma di crowdfunding come Ulule?
Il crowdfunding con Ulule ci ha consentito di dimostrare, in maniera chiara e inequivocabile, che c’è reale interesse per un libro come questo.
E il fatto che sia nato grazie ai lettori, che concretamente ci hanno voluto sostenere, è professionalmente il riconoscimento migliore possibile.
È possibile contribuire al progetto fino al 12 Luglio alle 23:59, cliccando su questo link:
https://it.ulule.com/resistere/
Silvia Gerbino