
Il rischio nella Street: la mia esperienza a Città del Messico è un articolo de L’uomo nella folla, rubrica di street photography a cura di Alex Coghe
Alex sarà in Italia a Marzo per gli “Italia Dolce Vita Workshop”, con una data Bologna e una a Roma.
Il lavoro che faccio nei Barrios di Città del Messico (sono alcuni dei quartieri più pericolosi della capitale Messicana) suscita molto interesse proprio perché è raro vedere fotografi che vi si addentrano.
A questo proposito racconto spesso, anche nelle mie conferenze, una storia divertente e folcloristica legata alla mia esperienza di fotografo appena arrivato in Messico.
Quando arrivai in Messico 10 anni fa infatti, iniziai da subito a documentare i barrios, i quartieri popolari. Un po’ da incosciente, devo dire, perché non avevo l’esperienza che ho oggi.
Alcune foto scattate nei tipici barrios della capitale
Mi trovavo in un mercato, che qui in lingua Nauhatl chiamano tianguis, quando la mia attenzione fu catturata da una donna che portava sulla spalla una grossa bottiglia d’acqua.
Era una scena surreale e dovevo assolutamente fotografarla, ma commisi l’errore di mettermi a correre per raggiungerla.
Quasi immediatamente quest’azione attirò l’attenzione di un ragazzo .. “Cosa sta succedendo? Che stai facendo?” – mi urlò contro in spagnolo – decidendo poi di di scortarmi fino alla fine del quartiere.
Il suo atteggiamento era un po’ intimidatorio: dovete considerare che al tempo parlavo davvero poco lo Spagnolo e così ero un spaventato, anche perché ero con mia moglie e mi sentivo responsabile per lei.
Uscimmo comunque dal barrio senza problemi, e quell’esperienza non mi impedì di tornarvi nuovamente per fotografare.
Incontrai così il ragazzo diverse altre volte, mi fischiava dietro quando mi vedeva, ed un giorno in particolare – lui era seduto su una sedia – mi apostrofò come ” El Italiano”.
Fu in quel momento che realizzai che non rappresentava più una minaccia per me.
Passò qualche anno senza che lo vedessi, fino a che non lo incontrai di nuovo e nuovamente mi urlò da lontano: -Italiano!
Io, che ormai parlavo bene spagnolo, risposti con sicurezza al suo saluto.
Mi raggiunse allora con la bicicletta e iniziammo a parlare.
Si scusò per l’atteggiamento avuto la prima volta e io gli dissi di non preoccuparsi. Mi raccontò che vendeva dei dolci e gliene comprai alcuni. Poi gli chiesi il permesso per realizzare la sua foto che vedete qui sotto nell’ articolo.
Perché ti ho raccontato questa storia?. Il fatto è che siamo abituati a vedere tantissime fotografie di strada fatte nei centri storici delle città, in zone gremite di persone, piene di turisti, persone che si recano veloci a lavoro, che affollano parchi e zone classiche di ritrovo sociale.
Più difficile vedere street photography fatta nei cosiddetti “suburbs”.
Il tianguis (mercato) del quartiere di Progreso Nacional si riempie di giochi per bambini con occasione della ricorrenza de Los Reyes Magos, la nostra Epifania. Fotografo da anni nel mercato di Progreso Nacional, ed ogni volta è un’esperienza diversa, in grado di regalarmi sempre nuove storie e dove posso realizzare composizioni interessanti. La mia street photography in ogni caso reca sempre una riflessione sociale ed antropologica, e dunque non si limita solo a cercare personaggi in strada: il contesto è molto importante e per questo cerco sempre di curare sia l’aspetto formale che quello contenutistico.
Una foto realizzata nel barrio della Jorge Negrete. La presenza umana, in questo caso, occupa davvero una minima parte del fotogramma eppure riesce ancora a esserne un elemento importante nel contenuto, permettendo alla stessa di non essere una semplice foto di paesaggio urbano, ma qualcosa di più, contestualizzando una storia, e facendo provare all’osservatore una sensazione di incontro che avverrà, creando, di fatto, tensione narrativa.
Una foto che ho scattato da dentro un microbus, un mezzo economico per muoversi in città che utilizzo spesso per raggiungere il centro dal mio quartiere. Al ritorno il bus passa per il barrio di Guerrero, un altro quartiere “bravo” e che è caratterizzato da molti edifici adornati con giganteschi murales, che evocano simboli appartenenti alla cultura Mexica. Ho trovato interessante questa visione dall’interno del bus che mostra in uno dei palazzi un’aquila fiera. Spesso si dimentica quanto anche attraverso elementi urbani possiamo raccontare moltissimo della condizione umana di un luogo.
Quando iniziai a fotografare nei quartieri popolari in Messico un collega straniero mi contattò per chiedermi informazioni su come facessi a fare fotografia in certi posti.
Quasi mi sorpresi:
Ho scritto in passato un articolo dedicato a fotografi e giornalisti uccisi in questo Paese – gli risposi -. C’è una guerra in atto (N.d.E. quella al narcotraffico) e il Nord del Paese (devi pensare che il Messico è un’unione di 31 stati più Città del Messico dove vivo) è davvero pericoloso…. a Città del Messico diciamo che stiamo vivendo a Disneyland, in confronto.
Non volevo minimizzare il pericolo, ma è un fatto che se si vuole fare fotografia di strada di un certo tipo bisogna sviluppare una sensibilità verso il rischio diversa da quella di una persona normale.
Questa foto l’ho scattata in un barrio a Città del Messico, a nord. Sono stato attratto dalla scritta “Cholo West Side”, mi ha ricordato la cultura di strada del Bronx. Così mi sono documentato un po ‘sulle gang dei cholos che sono nate negli Stati Uniti a metà degli anni ’70. I gruppi di cholos in Messico erano ben consolidati almeno dalla metà degli anni ’70 lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, e nel Messico centrale (Città del Messico, EDOMEX). Molti di questi gruppi erano formati da giovani che avevano trascorso del tempo negli Stati Uniti e che tornanono con una diversa identità di cultura di strada. Questi gruppi hanno il loro stile di abbigliamento e slang con i loro segnali di mano di appartenenza, tatuaggi e graffiti. Le bande latine degli Stati Uniti (tra cui Norteños, Sureños, Latin Kings, 18th Street Gang e MS-13) hanno creato una forte presenza in Messico facendo alleanze con cartelli della droga locali basati su particolari regioni o città.
Ci sono luoghi pericolosi e assolutamente off limits per la maggior parte dei fotografi anche a Città del Messico.
Tepito, ad esempio, conosciuto da sempre come “el barrio bravo” (nel senso spagnolo di temerario, per la sua capacità di sopravvivenza urbana) è una colonia popolare vicina al centro storico, e non è assolutamente raccomandato andare lì con delle fotocamere.
Con questo non intendo che sia impossibile girare per Tepito, ma prima di poterlo fare in sicurezza devi conoscere le persone, stare lì per un po’, ottenere il loro rispetto e fiducia.
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A Tepito c’è il famoso mercato di quartiere dove puoi trovare di tutto, “anche una giraffa” come ama ripetere scherzosamente mia moglie. Però sul serio, da un dvd pirata ad una busta di cocaina, da vestiti rubati di ogni marca ad un AK47, Tepito è una delle più grosse zone franche illegali del mondo.
Non mi fraintendere: a Tepito si può anche realizzare un lavoro fotografico, come hanno già fatto alcuni colleghi, tra cui un mio caro amico quando è venuto qui.
Io stesso Tepito l’attraversai un giorno con una borsa piena di fotocamere per raggiungere una casa dove dovevo fotografare una ragazza. Non ti sto a raccontare il mio stato d’animo!
E un’altra volta mi ci trovai per caso, passando con il bus: tirai comunque fuori la fotocamera, facendo molta attenzione, e feci alcune foto.
Due miei scatti presi da dentro il tipico bus messicano, chiamato “pesero”.
Che poi, Tepito non è certo il barrio più pericoloso di Città del Messico! Molto più difficile è Itzapalapa, un “quartiere” popolato da diversi milioni di persone, il più grande di tutta la città.
Ha una “vibra” particolare, che ebbi modo di verificare un paio di volte che mi recai lì.
Il mio amico fotografo Mark Powell (poco più vecchio di me ma ha già il suo posto su wikipedia), ha vissuto lì e ci ha fatto un gran lavoro, e quando gli chiedono un consiglio ti dice: se vuoi fotografare in un barrio, prima fatti amico “los ladrones” del quartiere.
Ma non c’è bisogno, per correre rischi facendo street, di andarseli a cercare. Ti capitano anche per errore o sfortuna.
Il centro storico di Città del Messico per esempio è bello, turistico, sicuro.
Ma basta muoversi di cento metri nella direzione sbagliata (e cento metri a Città del Messico sono un nulla) e ti trovi all’improvviso, senza rendertene conto, in zone assolutamente poco raccomandabili, dove se sei a piedi ti conviene riporre rapidamente la fotocamera nella borsa.
E questo mi porta ad un ragionamento che secondo me, chi vuole fare street, deve interiorizzare. C’è una differenza fra approcciare la fotografia di strada in maniera turistica/amatoriale o come professione.
Uno come me si ritrova ogni tanto in situazioni e ambienti che sconsiglierei alla maggior parte dei miei allievi.
Ma io non sono un turista, e non vivo a La Condesa, a Polanco, o in qualsiasi altro quartiere bene della città.
Io vivo in un barrio nel nord della città, e quando vado in giro con la fotocamera per me non si tratta di realizzare semplicemente una fotografia o fare una serie di immagini. Si tratta invece della mia vita, è quello che vivo tutti i giorni. Sono io, quello che ho deciso di essere. Ed è la realtà di dove vivo, quello che cerco di rappresentare!
Per questo, anche se sono straniero, dopo 10 anni qua sento di poter dire che la mia fotografia rappresenta almeno in parte la vera voce del barrio.
Due tipici frequentatori del tradizionale barrio di Progreso Nacional. Mi sono chiesto se era il caso di pubblicare questa foto, mi preoccupava la reazione di fronte alla svastica. La verità è che nei barrios alcune cose non sono quello che sembrano: l’uomo non sa neanche il vero significato del tatuaggio e se lo è fatto per spirito di emulazione di un tatuaggio visto in un film.
Certo, girare in un barrio non è come fotografare nel centro storico di una città europea.
Guai a pensare questo e a muoverti come faresti in un qualunque luogo! Il tuo approccio è necessariamente diverso, così come cambia, ovviamente, anche il nostro grado di attenzione.
Quando si tratta di Street Photography in genere non stiamo lavorando su commissione, quindi siamo liberi nella scelta del luogo.
Penso che il buon senso e la conoscenza previa di dove stiamo andando a fotografare siano fondamentali e possomo realmente salvare la vita.
Pertanto, prima di tutto una valutazione del rischio è essenziale: domandati quanto valga la pena per te andare a fotografare certe zone e certe situazioni, e prendi tutte le dovute precauzioni.
Io, quando vado in posti sconosciuti per la prima volta o in luoghi considerati difficili, uso una compatta: nel corso degli anni ho utilizzato una Panasonic Lumix LX3, una Canon Powershot G10, una Ricoh GRD IV, una Leica X2 e attualmente lavoro con una Fujifilm X70. Dissimulare e non sembrare un fotografo è la prima cosa.
E non solo quando sei in luoghi esostici come a Città del Messico.
Anche a Roma mi capita di fotografare in alcune zone difficili: Tiburtina, la Stazione Termini, il Pigneto, Ostia, vicino a piazza Gasparri … Penso che il rischio sia ovunque perché ovunque possono accadere cose buone e cattive. Naturalmente ci sono aree o distretti più difficili di altri, quasi off limits, e l’occhio deve essere sempre vigile.
Anche il nostro linguaggio del corpo e il nostro livello di paura possono contribuire a farci passare brutte esperienze. Se abbiamo paura, questo influenzerà negativamente il nostro linguaggio del corpo, con il risultato che attireremo aggressori. Io vado tranquillo, non pensando che qualcosa di male mi accadrà.
Rimango vigile, ma non cammino e fotografo con paura!
Alex sarà in Italia a Marzo per gli “Italia Dolce Vita Workshop”, con una data Bologna e una a Roma.