
Ti propongo un semplice esercizio.
Senza pensarci troppo su, dimmi: che sensazione provi ora rispetto alla temperatura? Senti caldo, freddo o una temperatura confortevole?
Ecco, la sensazione è qualcosa che appartiene meramente al tuo corpo, alle terminazioni nervose (recettori ottici, meccanici e chimici) che servono innescare le reazioni fisiologiche a un dato stimolo, come i brividi se fa freddo o il sudore se fa caldo. O anche il piacere se ti trovi in una condizione di temperatura ideale.
Ora cerca di dare una spiegazione alla sensazione che hai appena provato. Magari sei in ufficio, fuori fa molto caldo o invece è fresco e piove, ma c’è l’aria condizionata o il riscaldamento che provvedono a riportare la temperatura al livello “giusto”.
Questa è la percezione. “Sono in montagna, sulla neve e fa freddo” oppure “sono in spiaggia in estate e ho caldo“.
Ovviamente le spiegazioni possono essere più articolate di così, ma sta di fatto che la sensazione è qualcosa di immediato, basilare, passivo, legato ai sensori del corpo, mentre la percezione mette in moto il nostro intelletto, è qualcosa che facciamo scientemente, andando a identificare la causa della sensazione provata.
In verità dovremmo chiederci quanti siano davvero i sensi di cui disponiamo. Cinque li conosciamo bene: vista udito, tatto, gusto e olfatto. Ma secondo alcuni ce ne sono altri di cui non teniamo conto. Ad esempio il senso dell’equilibrio, che ci permette di stare in piedi e non cadere a ogni passo, ma soprattutto ci fa percepire la nostra posizione rispetto al terreno e dunque alla gravità terrestre. Oppure il senso del dolore, che può anche essere connesso a uno dei sensi principali se vengono sovrastimolati, ma che in verità può anche essere indipendente: se ho il mal di pancia è una sensazione, appunto, specifica, diversa dal darsi una martellata su un dito per errore.
Ma dal nostro punto di vista sono fondamentali altri due sensi, o meglio percezioni. Facciamo un piccolo esperimento, ti va?
Mettiti in piedi al centro della stanza (o ovunque tu stia leggendo questo post), chiudi gli occhi e allarga le braccia.
Ora, tu non vedi le tue mani, non stai toccando nulla, non hai la possibilità di sapere con certezza la tua disposizione spaziale, eppure sai perfettamente di essere in piedi e che le tue mani sono in aria, all’estremità del tuo braccio. E forse, se hai consapevolezza di avere vicino un tavolo con sopra un oggetto, sapresti afferrarlo anche senza aprire gli occhi, dunque senza farti guidare dalla vista.
In qualunque momento noi abbiamo la coscienza perfetta di dove siamo collocati rispetto allo spazio e come sono disposte le diverse parti del corpo: si chiama propriopercezione, ed è fondamentale per la nostra stessa esistenza.
Avere la percezione di noi come esseri viventi in un contesto spaziale.
Non basta: possiamo avere la percezione anche di ciò che è dentro di noi, anche se non esiste il senso del tatto ad esempio nello stomaco o nel petto. Ma percepiamo il cuore che batte e lo stomaco che digerisce, e sentiamo anche fastidi vari se non siamo perfettamente in salute (cosa diversa dal dolore) o anche delle emozioni, come le “farfalle nello stomaco” se siamo innamorati.
Questa consapevolezza di quel che abbiamo dentro si chiama enterocezione.
I fotografi superficiali, coloro che “scattano foto” in modo più o meno compulsivo (e dunque non sono veri fotografi ma produttori di fotografie) lavorano sulla base di mere sensazioni. “Sento” che il soggetto è bello, interessante, figo e mi scatto un selfie o alzo lo smartphone per fermare questo attimo prima che passi.
Poi – pensano – guardando quelle foto “tra qualche anno proverò di nuovo quelle sensazioni”. Che non è vero, ma loro si illudono.
Il fotografo accorto, consapevole, creativo – invece – basa tutto sulle percezioni, e non solo quelle dei cinque sensi, ma di tutti quelli di cui dispone. Non si limita alla superficie, alla sensazione di piacere che scovare un soggetto interessante o il trovarsi in una situazione promettente gli provoca, ma cerca di capire perché prova quel che prova, quale sia l’agente fisico che stimola le terminazioni nervose e su questa base organizza la ripresa. E sa anche come stimolare le percezioni degli altri, magari attraverso i cosiddetti neuroni specchio, alla base del fenomeno dell’empatia: il provare quel che provano gli altri.
Una fotografia – come qualsiasi opera d’arte – è un “oggetto relazionale”, serve a creare connessioni.
Troppe persone – e dunque troppi fotografi – attribuiscono un’importanza eccessiva alle sensazioni, che sono importantissime sia chiaro, e dimenticano di attribuire il giusto peso alle percezioni. Invece occorre davvero percepire il soggetto, entrare in comunicazione con la sua essenza, sentire come “ci arriva” ma anche analizzare i perché ci provoca certe sensazioni, che è anche l’unico modo per trasferire il tutto in una fotografia che in genere può riuscire (sebbene non sempre) a trasmettere delle percezioni, ma non a farci provare delle sensazioni, se non quelle strettamente visive.
Se voglio trasmettere la sensazione del calore, dovrò analizzare quale percezione può trasmetterla e così, ad esempio, fotografare un fuoco acceso nel camino, accentuando magari i toni giallo-arancioni. Una distesa ghiacciata giocata su toni blu-azzurri, viceversa, ci ispira una sensazione di freddo, ma solo perché il fotografo sa bene che la percezione del freddo è legata a elementi ghiacciati. E così via.
Non esistono fotografie guardando le quali io possa sentire, direttamente, il caldo o il freddo. Occorre che il cervello venga in nostro aiuto creando – di fatto – un’illusione, a fin di bene potremmo dire.
Cioè dare al fotografo la soddisfazione di aver evocato qualcosa di cui lo spettatore possa esser grato, o almeno consapevole.