Smettere di Essere Principiante – I progetti di fine corso

Le mura di Bergamo: da opera bellica ad occasione di svago – Giorgio Bianchi

Introduzione 

Il lavoro di Giorgio rientra in quella riscoperta della propria città che un modo corretto di intendere la fotografia favorisce: uno strumento in grado di farci vedere il mondo come se un velo fosse caduto, con nuova consapevolezza.

Ciò che è quotidiano e onnipresente, torna a essere esotico, perché finalmente non lo si guarda solo, lo si vede. Lo si comprende, soprattutto.

Quelle mura, dove i cittadini di Bergamo passeggiano, fanno Jogging, amoreggiano o semplicemente si godono l’aria frizzante e il sole di domenica, ispirano una riflessione profonda, che parte dal contingente, ma arriva al generale, alle sorti dell’umanità, a quell’essere sempre in guerra contro un nemico, ma a volte anche contro sé stessi. Mura edificate per difendersi, e che non sono mai servite allo scopo, e che tuttavia hanno inciso sulla storia di Bergamo, ci spiega Giorgio nello Statement (un po’ troppo prolisso, ma ben scritto), ma che oggi sono anche l’orgoglio della città, la prova evidente di una storia lunga e complessa, che dunque può insegnare molto.

E ci mostra anche un altro aspetto dell’Italia: l’essere stata a lungo divisa tra stati e staterelli, spesso in guerra tra loro. E dunque è anche un modo per mostrarci da dove veniamo, e perché spesso come italiani non riusciamo a sentirci davvero una sola nazione.

 

Statement 

Oggi, patrimonio dell’umanità di emozionante bellezza; ieri, opera bellica di muscolosa imponenza. Un caso canonico di eterogenesi dei fini. Che merita due parole di riflessione.

Nel XVI secolo, la Serenissima Repubblica di Venezia, di cui Bergamo era l’avamposto in terraferma, doveva far intendere alla spagnola Milano che di espandersi ad est non doveva neppure pensarci. L’obiettivo fu raggiunto costruendo la cinta muraria contro cui nessuno sparò mai un solo colpo di cannone, tanto venne giudicata inespugnabile. Ma il prezzo umano della realizzazione fu enorme, ed alienò a Venezia le simpatie dei bergamaschi, costretti a subire la demolizione di metà degli edifici di quella che oggi è Città Alta, inclusa la Chiesa del Santo Patrono, Alessandro. Quattro secoli di storia hanno versato miele su queste ferite, e Bergamo ha interiorizzato il suo legame culturale con la Serenissima, di cui le Mura sono la concreta testimonianza. E così, nel tempo la passeggiata sulle Mura è divenuta teatro di momenti di serenità individuale e collettiva.

Ma chi ci pensa che per il primo amore sta palpitando proprio dove un sergentaccio urlava bestemmie? Chi s’accorge di far jogging sui camminamenti dove correvano all’armi le sentinelle? E c’è cagnetto o cagnone che sia consapevole che secoli fa sarebbe finito nella padella di soldati affamati? Pochi, sicuramente; ma tra questi, anch’io.

Ho voluto quindi sottolineare l’imprevisto – allora – destino di un’opera bellica divenuta simbolo del tempo di pace: mi rasserena la consapevolezza che possa scaturire positività perfino da strumenti di guerra, e che la potenza del “bello” sappia evocare buoni sentimenti. Per questo ho fotografato le Mura in giornate di sole luminoso, accostando la muscolosità dell’architettura con la leggerezza della gente che ne gode l’armonia. Vorrei che dal contrasto tra i due termini – guerra e pace – emergesse la consapevolezza che un mondo piacevolmente vivibile si possa immaginare e condividere.

Commento

Le foto di Giorgio ci mostrano una Bergamo Alta solare, spensierata, domenicale, con quell’atmosfera “da paese italiano” che si vede anche in tante pubblicità.

E mette a contrasto questa solarità con le mura, simbolo di guerra, di aggressività, possibilmente di morte: poco importa che non abbiano mai subito un attacco, conta il fatto che vennero edificate per fini poco nobili, anche se strategicamente comprensibili.

La spensieratezza delle persone, la luminosità al limite della sovraesposizione delle foto, le inquadrature, il paesaggio sullo sfondo, tutto serve a non svelare immediatamente il senso del progetto, che deve sedimentare, foto dopo foto, in una lenta consapevolezza. Giorgio dimostra buone capacità fotografiche e narrative, che a volte sono troppo contenute all’interno di un “formato tradizionale”, ma che se liberate potranno portare lontano l’autore.

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