Smettere di Essere Principiante – I progetti di fine corso

CELLOPHANE (Identità nascoste) – Carlo Traini

Introduzione

Quando si parla di “Genius Loci”, con un termine oggi piuttosto abusato, si intendono le bellezze di un luogo, o i simboli che lo rappresentano, quelli che Eugenio Turri definiva “iconemi”, che stanno al paesaggio come i “fonemi” stanno al linguaggio. Ma Carlo ci dimostra che gli iconemi più caratterizzanti spesso sono ben lontani dall’apparire come “belli” o monumentali: spesso sono piccoli segni, cumuli di rotoballe, gazebo, arredi urbani che – come nelle opere di Christo – sono sempre coperti da questi teli in PVC o, appunto, in cellophane. Un simbolo della nostra civiltà, che nasconde sotto tappeti plastici le cose in un tentativo, forse, di proteggerle dagli sguardi curiosi dei fotografi (o dalle intemperie, dirà qualcuno). Fatto sta che nel dissolversi delle loro forme, nelle ombre mostruose che creano, troviamo un riflesso di noi stessi, debitamente deformato.

 

Artist Statement

La poesia “Io canto il corpo elettrico”, del poeta Walt Whitman, mi ha ispirato nella visione che ho avuto per queste immagini. In particolare mi hanno colpito gli ultimi versi del primo canto. “Canto il corpo elettrico, le schiere di quelli che amo mi abbracciano e io li abbraccio, non mi lasceranno sinché non andrà con loro, non risponderà loro, e li purificherà, li caricherà in pieno con il carico dell’anima. E’ mai stato chiesto se quelli che corrompono i propri corpi nascondono se stessi? E se quanti contaminano i viventi sono malvagi come quelli che contaminano i morti? E se il corpo non agisce pienamente come fa l’anima? E se il corpo non fosse l’anima, l’anima cosa sarebbe? “. In questo dubbio irrisolvibile di cosa è o non è Anima, Cellophane testimonia la mia ricerca dell’immaginario silenzioso che è dentro l’essere umano, frutto della sorgente misteriosa che abita ogni anima. Ho cercato di dare forma a quelle identità nascoste che avverto come presenti nei luoghi che attraverso lungo i miei tragitti quotidiani, identità che a volte sento come stessero chiedendo udienza o, semplicemente, si pongono come compagni di viaggio, entità rassicuranti o inquiete o eretiche se non, addirittura, erranti.

Commento

Il progetto di Carlo dimostra una notevole maturità fotografica e una decisa capacità di gestire il linguaggio delle immagini, pur senza avventurarsi per strade contorte e perigliose in cerca di “effetti” o “elaborazioni”. La scelta di Carlo è quella di un’apparente semplicità, in cui le forme parlano quasi da sole, in cui alla fotocamera si chiede di essere testimone e di metterci anche del suo, in una citazione di quell’inconscio tecnologico concepito da Franco Vaccari quasi cinquant’anni fa. Carlo passa nei luoghi leggero, e solo in alcune foto mostra di esserci, attraverso la sua ombra, ma lo fa per avvalorare il suo essere testimone, il suo essere lì e in quel tempo, che però diventa anche un modo per rendere universale ed eterna l’esperienza dei luoghi.

 

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