
OMR, tra passato e futuro – Maurizio Paglia
Introduzione
Il lavoro di Maurizio si pone nel solco di una tradizione importante: quella della fotografia di Street, ma lavorando sui simboli, più che sulle persone, che in effetti non compaiono direttamente.
Tuttavia possiamo quasi vedere i “writers” al lavoro con i loro sbuffi di vernice colorata, possiamo percepire lo sguardo malinconico dei “vecchietti” che scrutano questi stessi muri a cui è legata la loro infanzia, possiamo comprendere l’attenzione che un’intera città presta a un’area che per molti è degrado, per altri un’opportunità, o un sogno.
Nel suo Statement Maurizio ci spiega – non giustifica, ma ci offre l’opportunità di capire – la sua scelta: è un passaggio importante, perché non stiamo osservando semplicemente un insieme di foto di muri dipinti, ma leggendo un breve racconto, e le foto a volte non bastano da sole a farcene comprendere pienamente il senso. Scopriamo così quante storie sottotraccia possa nascondere un luogo, quante speranze, quanti sguardi diversi vi si possano incrociare. Solo lavorando per serie, per immagini multiple, si può davvero conseguire lo scopo che l’autore si è posto.
Statement
“Tutto torna – L’area delle ex Officine Reggiane è talmente vasta che può essere considerata una città nella città.
Vanto di Reggio Emilia nella prima metà del novecento per la sua produzione di locomotive, furono riconvertite a produzione militare durante la prima guerra mondiale e poi – di nuovo – durante la seconda grande guerra per la costruzione degli aerei da caccia progettati da Giovanni Caproni. Poi la chiusura.
Cosa sono le storiche Officine Meccaniche Reggiane oggi? Per gli anziani restano sempre un bel ricordo dei tempi passati. Per i mezzi di comunicazione sono il covo di tanti immigrati irregolari. Per la maggioranza dei reggiani sono semplicemente una grossa fetta di città in rovina. Ora però – dopo quasi cinquant’anni di decadenza – le Reggiane si preparano ad una nuova vita.
Grazie ad un felice incontro di capitale pubblico e privato, i vasti ambienti vengono recuperati e tornano ad essere un vanto per la nostra piccola città. Uffici modulari per startup, aree comuni e studi televisivi. In occasione di una visita guidata all’enorme cantiere ho trovato, però, un’altra anima delle storiche Officine. Un’anima altrettanto decadente ma coloratissima. Rassegnata ma vivace.
I capannoni di ferro e cemento – bellissime strutture di inizio novecento – sono stati trasformati in un’enorme galleria d’arte. E non parliamo di qualche triste scritta fatta con lo spray, ma di enormi dipinti alti anche una ventina di metri.
Protestanti, spiritosi, rassegnati, gli artisti che hanno lasciato queste tracce si sono espressi al meglio. Hanno sfruttato le forme dell’architettura ai loro fini pittorici. Hanno usato il ferro e il cemento come tela per i loro messaggi.
Emblematica – a mio parere – l’immagine del viso con la bocca spalancata pronta ad inghiottire e la ruspa con la sua benna dentata altrettanto pronta a rimuovere materiale”.
Commento
Le scelte tecniche di Maurizio sono ben precise. Ha cercato delle condizioni di contrasto – a indicare il modo divisivo con cui le persone guardano alle OMR – ma nello stesso tempo ha fatto in modo che ogni foto fosse leggibile nella sua interezza, anche nelle ombre, come a dire: non voglio nascondere nulla, non ci sono angoli bui, accetto l’insieme come faccio con le sue singole parti, consapevole delle contraddizioni, ma anche delle aspettative e delle possibilità.
Un progetto vivo, colorato, saturo, dinamico, pur nell’assenza totale di movimento e di persone, che dimostra la buona maturità fotografica dell’autore.