La solitudine del fotografo (e dell’osservatore)

“Al commento “non ci sono persone in queste fotografie” in genere replico “ci sono sempre due persone: il fotografo e l’osservatore “- Ansel Adams

Ora che siamo in estate, molti fotografi spenderanno parte del proprio tempo libero in giro, a riprendere immagini. In vacanza, ma anche nei fine settimana, o anche solo nelle sere tiepide quando cala la “vampa”.

Il più delle volte, lo faranno in compagnia: di compagni/compagne, amici o insieme ad altri fotografi. Eppure la fotografia non è mai stata, e sono convinto mai diventerà, un’attività davvero sociale: social forse, ma sociale no.

La fotografia è invece un’attività solitaria, anche quando si è in gruppo, o in folta compagnia.

La verità è che nel momento dello scatto si rimane soli con sé stessi, è inevitabile. Prima e dopo si parla con gli altri, si ride e si scherza, si ragiona assieme, ma in quel momento lì, quando stai per pigiare il pulsante di scatto, ci sei soltanto tu davanti al soggetto. Sei totalmente responsabile del risultato. Nessuno, nemmeno il fotografo professionista con cui stai svolgendo un corso o un workshop, può essere nella tua testa (e nel tuo occhio) e dirti davvero cosa fare.

scataglini foto

Il fotografo e la sua opera: se guardi bene vedi la mia ombra riflessa nella bolla : )) 

Quando sei pronto, è il tuo momento. Tutto e soltanto tuo.

Il fatto è che il fotografo (come qualsiasi altra persona che voglia esprimersi creativamente) lavora sulle emozioni, sulle idee, sulle percezioni, e son tutte cose che appartengono strettamente al nostro intimo, non si possono condividere.

Possiamo dire anzi che la fotografia, e la pittura, la poesia e ogni forma d’arte, siano forse nate proprio per cercare di condividere l’incondivisibile. A posteriori, s’intende.

Io posso tranquillamente dirti che sono triste o arrabbiato, innamorato o confuso, ma queste son solo parole, aggettivi che lasciano il tempo che trovano. Se voglio farti provare almeno una parte di quel che io sento davvero, debbo andare oltre.

foto guernica

Un esempio classico: come esprimere il senso di orrore, mestizia, pena, sconforto legato a un bombardamento aereo in cui son state uccise persone innocenti grazie a un dipinto? Con la sua “Guernica” Picasso ha tentato, secondo alcuni riuscendoci, di raccontare questo: non il semplice bombardamento del villaggio spagnolo da parte dell’aviazione tedesca, ma le emozioni legate all’evento tragico.

Ad ogni modo, se provare emozioni è qualcosa di strettamente personale, e se l’arte è il tentativo di condividerle in qualche modo, di certo il processo che sta dietro l’impeto creativo è un percorso solitario. E la solitudine non è solo dell’artista, è anche dell’osservatore.

Lo noto ogni volta che vado a vedere una mostra, magari di successo.

Sei lì, con decine, a volte centinaia di persone, magari sei andato anche stavolta con amici – anche loro appassionati di fotografia, forse gli stessi con cui fai le tue “uscite fotografiche” – e commenti ogni singola immagine, ti accalori, difendi le tue opinioni. Ma nel momento stesso in cui sei davanti alla fotografia, e lei ti cattura e trattiene il tuo sguardo, beh, sei di nuovo solo, in un muto dialogo con l’artefice.

Ho sempre pensato che questa sia la grandezza di ogni arte figurativa: il muto dialogo tra l’artefice e l’osservatore, quello di cui parla Ansel Adams nella citazione che hai letto all’inizio.

Ora, queste potranno sembrarti solo inutili elucubrazioni, perché ti capita spesso di andare a fotografare con gli amici, e trovi questa attività divertente e in generale proficua. Anche io vado spesso a fotografare con amici. Mi diverto molto a farlo, e ogni tanto porto a casa qualcosa di buono. Più o meno.

Ma so per certo che le mie foto migliori le realizzo quando vado da solo, o quando riesco ad andare in compagnia di un altro fotografo che sa come comportarsi quando scatta la molla creativa.

Se sei lì che giochi e scherzi, o ti accalori sulla fondamentale questione se sia meglio una fotocamera Nikon o Canon (o Pentax, Sony, Olympus…), o se un determinato obiettivo abbia davvero una resa accettabile, non potrai mai essere attento alle tue emozioni, e a ciò che ti circonda.

Giocoforza finirai per accorgerti dei soggetti più usuali, quelli che puoi fotografare senza impegno. Ottime foto per i social, appunto, ma che certo non esprimono niente di più di quel che mostrano.

Ne ho fatte tante anch’io di foto così, e ne faccio ancora, e ci sono anche affezionato perché mi ricordano bei momenti passati con persone a cui tengo. Ma la creatività vera è un’altra cosa.

Ci riflettevo qualche giorno fa quando sono tornato in un luogo molto promettente (fotograficamente parlando) in cui non molto tempo prima ero stato con un amico. Sono rimasto in quel punto per un tempo che ho potuto definire solo a posteriori: oltre quattro ore, sempre fotografando.

Ero talmente preso che il tempo è passato senza che nemmeno me ne accorgessi. La volta precedente, invece, i momenti di concentrazione erano spazi tra una chiacchierata e l’altra (piacevole, tra l’altro) e un confronto sulle foto fatte.

Non so se le foto scattate quando ero in compagnia siano peggiori o migliori di quelle scattate quando sono tornato da solo, quel che so è che le prime sono state scattate principalmente (anche se non esclusivamente) di testa, le seconde sulla base di mie emozioni personali.

Quasi tutti i fotografi potranno confermarti che l’attività creativa è sempre solitaria.

I maestri, gli Ansel Adams, i Salgado, i Cartier-Bresson, tutti hanno lavorato da soli, per essere pronti e concentrati.

Dove voglio arrivare con queste riflessioni? Beh, non lo so. Le mie conclusioni sono comunque queste:

  • la fotografia non è qualcosa di univoco, ma è multiforme. Puoi utilizzarla per delle fototessere da mettere sulla carta d’identità o la patente, oppure per creare grandi opere d’arte, dunque è definibile soltanto sulla base delle tue reali intenzioni (infatti delle fototessere scattate con una macchinetta automatica sono diventate opere d’arte)*;
  • puoi rendere la fotografia un’attività divertente, un passatempo, qualcosa di giocoso e liberatorio, da fare in compagnia, senza troppe sovrastrutture mentali, così come puoi utilizzarla come strumento per fermare i ricordi, documentare una vacanza, una cerimonia un evento;
  • oppure puoi trasformarla in un modo per rappresentare te stesso, le tue idee, le tue emozioni, la tua fervida creatività. In tal caso sarà un’attività solitaria: potrai anche essere in mezzo alla gente, in folta compagnia, eppure per creare qualcosa di autentico dovrai trovare il modo di isolarti e comunicare con la tua parte più profonda e autentica.

Scegliere spetta a te, non c’è una graduatoria, un modo giusto o sbagliato. Mi piaceva però ragionare con te su questo aspetto della solitudine creativa, che ha qualcosa di romantico, se vuoi, ma che secondo me è invece quello che rende qualsiasi attività artistica davvero interessante.

Mi viene in mente Camilleri, che ha dichiarato in un’intervista che per scrivere i suoi romanzi ha bisogno che intorno a lui ci sia un gran casino: nipoti che giocano, gente che parla, cose così. Ci sono stati poeti, pittori e ovviamente fotografi che in totale solitudine si bloccavano, e che andavano regolarmente nei bar, nelle piazze affollate, ovunque trovassero gente e “vita” proprio per avere gli stimoli giusti.

Ma questo dimostra solo una cosa: che quando crea un artista sa isolarsi dal contesto in modo incredibile.

Che intorno a lui può cadere il mondo, e saprà raccontare l’evento come se lo guardasse da una dimensione parallela, quasi non fosse davvero lì. Pur partecipandovi attivamente.

Non trovi che sia un fenomeno affascinante?

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* Alla 36° Biennale di Venezia del 1972 Franco Vaccari realizzò “Esposizione in tempo reale n.4”, la cui genesi l’autore spiega così: “ho esposto una cabina Photomatic (una di quelle cabine per fototessere che si trovano nelle grandi città) e una scritta in quattro lingue che incitava il visitatore a lasciare una traccia fotografica del proprio passaggio. Io mi sono limitato a innescare il processo facendo la prima photostrip, il giorno dell’inaugurazione; poi non sono più intervenuto. Alla fine dell’esposizione le strip accumulate erano oltre 6000”.

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