
Storia di Wazzina è un articolo di Filippo Tommaso Ranalli
Nei precedenti articoli (contenuti e contenitori e la buona fotografia) abbiamo compreso come trasferire un messaggio tramite l’utilizzo della fotografia: la commistione tra immagine mentale e contenitore sono gli strumenti fisici e mentali di cui siamo in possesso per la realizzazione di un prodotto fotografico.
Non è però ancora chiaro il “perché realizzo una fotografia?”
Se escludiamo le foto d’utilità e il puro piacere di usare la tecnologia o la chimica, per quale motivazione creiamo dei prodotti che aspirano ad essere opere?
Credo che la risposta a questa domanda sia molto complessa, ma cercherò di contestualizzarla tramite l’ esperienza, che mi ha portato alla realizzazione di “Wazzina”
Perché
Nel 2018 frequentavo l’ultimo anno della scuola di fotografia, e intorno al mese di Maggio vennero invitati vari responsabili delle risorse umane per un confronto con gli studenti.
Tra le aziende che parteciparono al programma ve n’erano di vari tipi, dalla moda al design, passando per le arti visive e la pubblicità.
Io, come studente di fotografia, avrei avuto accesso, in prima battuta, esclusivamente a chi cercava dei fotografi … che erano più o meno il 4 per cento rispetto al resto.
Oltretutto, gli studenti che ogni responsabile HR avrebbe dovuto incontrare in questa sorta di speed dating sarebbero stati così tanti da permettere solo 5/10 minuti di colloquio a testa.
La mia intenzione era quella di raggiungere più aziende possibili, perché, ragionai, qualunque azienda ha bisogno della fotografia.
Data la struttura con cui erano organizzati i colloqui però, mi resi conto che sarei stato solo un altro nome nella lunghissima lista di aspiranti tirocinanti sottopagati sul loro foglio mal scritto.
Come potevo distinguermi?
Ecco, questa fu l’esigenza da cui nacque Wazzina: creare un prodotto che mi rappresentasse come essere umano e non come un operatore della macchina fotografica.
Con Wazzina creai una “carta d’identità” delle mie realizzazioni, esclamai la mia esistenza tramite i miei prodotti fotografici.
L’operazione andò bene e raggiunse quasi tutte le aziende. Ogni responsabile andò casa con una copia sotto il braccio , fu una grande vittoria. Nessuno mi richiamò, ma l’esperienza fu comunque positiva: quel giorno tutti volevano una copia e fu necessario stampare altre copie durante i colloqui.
Cosa
Data l’esigenza di attirare le attenzioni come le formiche al miele, fu necessario capire , ancor prima del come, cosa inserire: quali contenuti sarebbero stati appropriati e quali no?
In fotografia viene spesso citato il concetto di sintesi, in quanto l’inquadratura comporta una cernita e divide la realtà in fotogrammi. Lo stesso avviene nella creazione di un contenitore come una fanzine: è necessario restringere il campo d’interesse ad un argomento che funga da filo conduttore.
Per farlo, vi consiglio di osservare la realtà e trovare nella stessa le vostre passioni. Ad esempio, “Se amate Baggio alla follia come Renzo amò Lucia” potreste creare una fanzine su Baggio.
Non ci sono regole, a parte quella di seguire un argomento, in maniera di creare un collante nella sequenza d’immagini.
Nel caso di Wazzina, il collante è stato creato grazie ai progetti personali che ho sviluppato negli anni, utilizzandola per fare il punto della situazione sul mio lavoro.
Il che mi ha permesso di far ordine negli archivi e di incorniciare i vari progetti in maniera chiara.
Dal momento che i miei progetti erano molteplici e di varie forme, dalle performance, ai reportage, ai progetti fotografici editoriali, decisi di usare la narrazione ben nota della rivista , impostai gli articoli più salienti per la narrazione di progetti e utilizzai le Hero image per creare delle pubblicità e degli stacchi a mo’ di pubblicità. Inserii anche dei testi per legare meglio le immagini e consolidarne il significato.
Come
Come ho scritto nell’ articolo precedente, in un prodotto editoriale esiste una sequenza e un ritmo esattamente come in un montaggio audiovisivo.
È quindi importante che la narrazione si fluida, e per fluida intendo che le immagini si connettano bene l’una dopo l’altra: ad esempio se abbiamo un bel prato verde affianco non metteremo una città trafficata ma una pecora, a meno che non si stia lavorando per estrema contrapposizione.
Come sempre dipende dall’unica regola del filo conduttore.
Nel mio caso, il ritmo che sviluppai si concretizzò in articoli da quattro pagine separati da due pagine di pubblicità, il tutto per 32 pagine totali.
E le sequenze d’immagini che ne derivarono furono regolate negli articoli dal testo e nelle pubblicità da riferimenti visivi: una mano, la linea dell’orizzonte, una scritta simile o un colore sono solo alcuni esempi di quest’ultimi.
L’atteggiamento impiegato è volutamente punk come omaggio all’ambiente di nascita delle stesse, quindi i testi risultano duri e l’impaginazione brutale.
Se consideriamo Wazzina come un contenitore nel quale sono presenti altri contenenti, possiamo analizzare che per ogni articolo/pubblicità è stata operata una cernita sulle immagini, con il il classico “less is more” che funziona alla perfezione in questo caso.
È necessario usare le immagini più rappresentative, che non per forza vuol dire più belle, bensì quelle che incorporano il significato, tutto, del progetto.
L’utilità del progetto si riversa negli anni divenendo un report annuale sulla mia carriera da autore e permettendo a me, in primis, di osservare sotto un’altra lente il mio operato.
L’uso dei testi è, in questo caso, pregnante per contestualizzare le foto e per dichiarare dei punti fermi da rispettare. Non sono esclusivamente collante, ma fungono da recinto della discussione e connotano le immagini.
Ad esempio, le immagini di IKEA, sono state estrapolate da un progetto di sensibilizzazione sulla figura femminile nella moda e ricollocate, con pochissimo sforzo. Piacquero molto agli HR di IKEA.
PUBBLICITÀ IRONICA,WAZZINA, TORINO. 2018
Per la realizzazione di Wazzina, ho usato in formato A4.
Non che mi piacesse più di altri, tanto più che è molto poco adatto alle immagini fotografiche 3×2 o 4×3 che siano, ma nell’ottica di creare una rivista indipendente va considerato anche il costo, ed A4 è la migliore come rapporto costo qualità.
Mi sono dotato negli anni di una stampante semi- professionale che mi permette di seguire interamente il processo dall’idea alla distribuzione.
La distribuzione della fanzina è avvenuta brevi manu ed è stato necessario stamparne 184 copie per accontentare i vari HR e gli avventori dei centri culturali della mia città.
Grazie alla tiratura molto limitata e alle immagini platealmente umoristiche, divenne presto un “cult” nella piccola cerchia di mia frequentazione, cosa che mi fece naturalmente piacere.
In conclusione, consiglio anche a voi di provare questo mito di comunicazione, in quanto è molto liberatorio e produce effetti inaspettati nelle persone che vi circondano.
L’obbiettivo è raccontare ciò che si conosce ma non si sa dire a parole, per vergogna, per analfabetismo selettivo o per mancanza di voglia.
La fanzina è prima di tutto uno strumento per guardarsi dentro ed allestirci un museo.