
Verso la metà del diciannovesimo secolo, l’invenzione della fotografia rivelò che le culture erano pronte a formarsi una conoscenza, delle idee e nuove percezioni attraverso immagini ottiche, prodotte meccanicamente e riproducibili.
Allo stesso tempo, un altro dei simboli del progresso, il treno, introdusse una velocità di viaggio senza precedenti.
Le immagini provenienti da luoghi lontani influenzarono la percezione del mondo, definendo in maniera diversa perfino il modo in cui i luoghi familiari venivano rappresentati e vissuti.
La terra iniziò ad essere sempre più percepita come paesaggio, e il paesaggio si incontrava sempre di più nelle fotografie e non più soltanto nelle pitture.
La fotografia era tuttavia solo in bianco e nero.
Dipingere il paesaggio dunque, seppur con i limiti della soggettività dell’esperienza pittorica, recava con sé maggiori elementi di approfondimento e informazioni di carattere scientifico rispetto alla fotografia.
Guarda per esempio a questo dipinto realizzato da Thomas Moran nel 1872
Grand Canyon, Yellowstone Park
Nella spedizione in cui fu realizzato contavano anche con un fotografo.
Ma naturalmente le fotografie erano in bianco e nero, e il ruolo di Moran fu dunque prezioso dal punto di vista della documentazione scientifica perché in quel momento solo un pittore poteva catturare il colore.
E il colore rappresentava una elemento rilevante, in grado di rappresentare una vasta gamma di informazioni del luogo.
In qualche maniera sono convinto che le cose non siano da allora cambiate: quando l’ obiettivo è la fotografia documentaristica, appare chiaro che per catturare la verità abbiamo bisogno del colore. Il fine giustifica l’estetica.
Per estensione questo avviene anche al di fuori della fotografia di paesaggio tradizionale, ed è di questa che voglio ora parlare, riallanciandomi a quanto detto nel mio primo articolo sulla Street Social Landscape.
Abbiamo visto come in essa la rappresentazione del paesaggio urbano abbia sempre forti connotazioni e riflessioni politiche.
Di cui sono esempio eclatante (e famoso) le opere dei New Topographics, in particolare per la loro capacità di riflettere le depredazioni del paesaggio naturale attraverso la rappresentazione del paesaggio alterato dall’uomo.
In essi trovi una critica sociale appassionata, in cui il mito del west rivive attraverso nuove forme di lettura, derivate dalla disillusione del sogno americano, da una guerra persa in Vietnam, dalla cultura pop dilagante.
Lattine della Coca Cola e insegne di distributori di benzina si fanno protagoniste di un universo in cui il deserto e le auto, il mito del viaggio nelle highways americane, diventano promessa di esperienze in libertà.
Un indubbio romanticismo, o meglio un neo-romanticismo, in cui il vernacolare si sposa agli incubi reali di Psycho, del gotico americano, della prospettiva diversa di un’America ancora sognante, ma consapevole del proprio cinismo.
William Eggleston e Stephen Shore, forse più di tutti, ma anche Joel Sternfeld: romanticismo e ironia insieme, in cui l’ingenuità dei 50s si scontra con la consapevolezza della realtà degli anni 70, celebrando memorie di un passato che probabilmente non è mai esistito veramente.
L’ambiguità di approccio delle opere dei New Topographics diventa critica perfino dell’arte concettuale e postmoderna stessa.
Il movimento, ammesso che possiamo parlare di un vero e proprio movimento artistico-culturale, rifletterà una aperta disgiunzione rispetto all’arte concettuale del tempo, invadendo contemporaneamente, ironia della sorte, proprio le gallerie d’arte.
Il riferimento visuale e di approccio è quello della fotografia che io definisco Street Social Landscape, che in Italiano potremmo tradurre come Fotografia di Paesaggio Sociale di Strada anche se funziona meglio in Inglese.
In essa è il punto di vista del fotografo, impegnato a costruire l’inquadratura attraverso le sue scelte di oggetti da inserire dentro al fotogramma ed inevitabilmente influenzato dalle scelte operative che riguardano la disposizione di questo oggetti/soggetti, a rinforzare la percezione e dunque la semiotica di un dato luogo
Punto di vista che permette alla sua fotografia di operare a diversi livelli: personale, locale, regionale, nazionale e globale. Micro e Macro.
Pensiamo quanto differente sia la percezione di un dato luogo ripreso a livello strada e lo stesso ripreso dall’alto, avvalendoci di un drone.
In entrambi i casi potremmo raccogliere e fornire dati di comprensione e studio di un dato territorio, ma cambiando punto di vista e semiotica cambieranno certamente anche la percezione e dunque le informazioni stesse di un determinato luogo.
Questo rivela come il punto di vista e l’approccio determinano un differente tipo di comprensione, di informazioni che otterremmo e pertanto rende evidente l’interdisciplinarità degli studi paesaggistici.
Per fare un parallelismo con la scrittura, voglio rifarmi al libro di Wendy Harding: The Myth of Emptiness and the New American Literature of Place.
La nuova “letteratura dei luoghi”, sostiene la Harding nel primo capitolo del libro, ha tre necessità_
- Non soffermarsi su luoghi celebri e iconici, ma piuttosto su luoghi diseredati.
- Mettere in discussione le polarizzazioni tra cultura e natura, il vuoto e l’abitare.
- Riscrivere la terra e la nostra relazione con essa in una prospettiva storica.
Gli “scrittori di luoghi” sono, dice Harding con un certo senso della formulazione, “i nuovi poeti di una nazione amnesica. Per rompere l’uno o l’altro approccio e per meglio suggerire l’ibridità e la storicità del luogo, questi scrittori adottano un’estetica della complessità.Questa forma letteraria invita, anzi richiede, la partecipazione del lettore alla costruzione di nuovi modi di interpretare la connessione tra le persone e il luogo. Lo scripting è definito come bimodale: interrompe e connette, decostruisce e ricostruisce. Gli script formano testi multicentrici, sfaccettati e multistrato che resistono alla fissità, all’autorità e all’orientamento teleologico.Nelle esplorazioni postmoderne e postcoloniali dello spazio-tempo, un mosaico di storie discordanti, parziali e frammentarie sposta i conti nazionali ufficiali”.
Fare il parallelo con un certo approccio alla fotografia ci permette di comprendere cosa è ricercato dai fotografi urbani.
Nonostante l’utilizzo della fotografia per un’attenzione ambientalista non sia un concetto nuovo è indubbia la sua importanza contemporanea non solo come attività ludica o artistica.
Creatori di immagini, certamente, ma anche, pensatori di immagini, con obiettivo di esprimere riflessioni sull’urbanismo, sul rapporto natura-uomo, ma anche come evidenza di documento sia sulle connessioni tra la natura e l’uomo che sulla condizione dell’uomo nei luoghi che ha costruito e che abita.
Le immagini che presento a corredo di questo articolo dimostrano senza dubbio un’attenzione di tipo formale, e palesano pertanto delle ambizioni di tipo artistico, ma non negano al tempo stesso il focus e la ricerca documentarista con una chiara critica sociale.
Perché la fotografia di paesaggio è soprattutto fondamentale per la comprensione, lo sviluppo e, possibilmente, il miglioramento di un luogo.
Nota: Per approfondire, ti consiglio Photography and Landscape di Rod Giblett e Juha Tolonen
Si tratta di un libro di critica della fotografia di paesaggio creato proprio attraverso la collaborazione tra uno scrittore di fotografia e una fotografa di paesaggi.
Partendo dai giorni di frontiera del west americano, la successiva popolarità della fotografia di paesaggio è esemplificata da immagini che vanno da Carleton Watkins ad Ansel Adams, dai New Topographics a Richard Misrach.