E adesso cosa gli racconto?

Una delle cose più difficili che il fotografo serio e magari evoluto deve fare è quella di scegliere il tema di un proprio progetto. Sia che si tratti di pubblicare una ezine online, o di creare una piccola pubblicazione, o un libro o anche una mostra, resta il fatto che ci vuole un’idea, e dev’essere buona, altrimenti tutti gli sforzi fatti per realizzarla saranno vani.

Certo, mi dirai, la cosa giusta da fare è dar fondo alla propria fantasia e soprattutto cercare di raccontare qualcosa che conosciamo bene, di personale, o che ci appassiona o almeno interessa. Ma questo è ovvio. In realtà simili scelte sono alla base di una qualsiasi “carriera” fotografica – professionale o meno – anche se a volte occorre prescinderne per necessità contingenti.

Ad esempio io scatto oramai solo in Bianco e Nero o quasi, ma spesso debbo lavorare a colori per gli archivi, l’editoria o quant’altro. Però quando fotografo “per me” mi piace farlo senza i colori e a volte in analogico.

Fatta questa necessaria premessa, di sicuro possiamo dire che a volte la scelta del tema da affrontare con le nostre fotografie è dettato anche da nostre necessità diciamo “interiori”. Insomma: vogliamo vincere qualche concorso, avere successo sui Social, essere apprezzati, trovare un editore che accetti le nostre foto, e così via. Legittimo.

Sappiamo pure che realizzare una serie sul cortile di casa nostra, sebbene magari fonte di foto straordinarie, difficilmente ci darebbe quella visibilità a cui tanto aspiriamo. Dunque la domanda sorge spontanea: è possibile realizzare un progetto fotografico con dietro un’idea “popolare” senza tradire le nostre convinzioni e necessità?

Ti dico: non lo so. Anch’io mi pongo la domanda un giorno si e l’altro pure. Anche perché di questo ci ci vivo! Comunque qualche anno fa mi è stato d’aiuto un post di Riccardo Scandellari (skande.com), un noto blogger, esperto di comunicazione online, personal branding e marketing.

Il suo campo, ovviamente, c’entra poco con la fotografia, ma in quell’occasione ho notato che i consigli che dava su come creare “contenuti coinvolgenti” (si riferiva a come scrivere un post) si potevano adattare anche alle nostre esigenze. Dunque li riporto qui con i necessari adattamenti, sperando di non offendere l’autore.

Nulla di nuovo – “Al contrario di quello che si pensa, le grandi storie aggiungono solo un piccolo tassello a quello che le persone conoscono già. I contenuti di maggiore successo concordano con quello che le persone credono facendole sentire più sicure e intelligenti. La gente, anche se non lo ammette, non ama le novità in quanto tali, ama le novità che confermano le sue credenze“, scrive Scandellari. Ecco, questo aspetto è fondamentale. Naturalmente non può valere sempre o per tutti i progetti fotografici, ma di sicuro se vuoi che il tuo lavoro sia apprezzato da molte persone (e non è affatto detto che tu lo voglia) devi offrire loro certo una visione fresca e innovativa, ma che non le faccia sentire impreparate. Tanti lavori fotografici di oggi vanno in direzione opposta, e io per primo guardandoli mi sono sentito incapace di comprendere. Ammetto di averli subito odiati!

Il lettore non è stupido – “Tra chi crea contenuti c’è il mito del lettore sprovveduto che crede a qualsiasi cosa raccontata bene e con un buon titolo acchiappa clic”. Ora questo vale soprattutto per i post e in generale per il materiale scritto, ma quante volte ti sono capitati davanti progetti fotografici in cui lo sforzo maggiore è stato quello di trovare un bel titolo e magari un intrigante “Artist Statement” mentre le foto – per usare un termine tecnico – “facevano cagare”? Il lettore non è stupido, nemmeno chi guarda le foto però!

Se non è attendibile non funziona – “È fondamentale l’autorevolezza di chi pubblica, in alternativa il contenuto deve essere supportato dai dati che vengono enunciati“. Come non concordare? Questo in fotografia riguarda in particolare chi sceglie di dedicarsi al reportage. Insomma, se non sei Paolo Pellegrin o Francesco Zizola è difficile che sulla base delle tue foto tu possa essere “creduto”. Se denunci una situazione o esplori una realtà (dalle manifestazioni di qualsiasi tipo alla distruzione del tuo quartiere a opera di speculatori) la forza delle tue foto (sperando siano ben fatte) non basta, devi anche dimostrare di essere una persona seria, che non bara, un fotografo con un minimo di background, o almeno portare delle prove a supporto di quello che hai sapientemente illustrato con la fotocamera. Ti ricordi le foto degli “assembramenti” a Milano e a Roma fatte con il teleobiettivo per “comprimere” la folla? Ecco, Pellegrin una cosa del genere mica l’avrebbe fatta…

I grandi contenuti non ti dicono cosa pensare – “La narrazione più potente ti induce a ragionare e, nel caso, ad arrivare da solo alle conclusioni. Se chiudi con il tuo pensiero o l’enunciazione dello scopo che ti ha portato a raccontare la storia molta parte della credibilità crolla“. Questo fa il paio con il consiglio precedente. Hemingway definiva questo fenomeno “effetto Iceberg” per cui il romanzo deve offrire al lettore solo 1/8 della storia, il resto (quel che è sottinteso e non detto) ne rappresenta la gran parte, sommersa, che dev’essere percepita ma non detta. In tal modo il lettore ci mette del proprio e si sente partecipe. Quello che non si vede è più importante di quel che si vede, e lo diceva pure Luigi Ghirri, per non parlare di Minor White con la sua teoria delle foto come “specchi”, in cui lo spettatore possa riflettersi. Insomma, devi offrire la possibilità a chi guarderà il tuo progetto di sentirsi coinvolto, non un passivo “recettore” di emozioni o idee. Non è facile ed è anche il motivo per cui i grandi fotografi sono rari.

I contenuti non sono rivolti a tutti – “Le persone sposano una visione del mondo e uno stile. Devi assumere una posizione coerente e stabile per ottenere un pubblico simile a te che ti supporti“. Ci sono stati fotografi che disperatamente hanno cercato di piacere a tutti, con risultati disastrosi. La verità è che ci sarà sempre chi ti apprezza e chi non lo farà nonostante i tuoi sforzi. La coerenza ha un costo, e io lo so. Però è un valore fondamentale. Ci sono così tante persone nel mondo che hai comunque la possibilità di crearti un tuo pubblico, che ti apprezza e trova il tuo lavoro degno di considerazione. Ricorda che i fotografi di successo sono anche vincolati a riproporre sempre il proprio modo di lavorare, pena l’uscire dal circuito “giusto”. Finché sono protetti da una rete di critici e sostenitori (leggi collezionisti e finanziatori) ben dotati economicamente, nessuno li criticherà. Odieranno i loro lavori, magari, ma in pubblico li loderanno sempre! Conosco tanta gente che odia Duchamp, ma di rado ho letto critiche sul suo modo di trasformare un orinatoio in una scultura. Insomma, il fatto che alcuni artisti o fotografi sembrano “piacere a tutti” è solo una distorsione prospettica.

Il tono di voce – “Il contenuto di successo è confezionato ad arte, ogni parola è soppesata, ogni elemento appare nel giusto tempo. Lo stile è esso stesso contenuto. Va calibrato in base alle persone che vuoi raggiungere e al luogo in cui lo pubblichi”. Ora, questo è un consiglio valido soprattutto per i comunicatori che utilizzano le parole. Ma lo sai che anche le fotografie possono “urlare” o invece parlare sottovoce? Oggi vanno le fotografie urlate: colori saturi, nitidezza massima, scena violente, sangue, qualcosa anche di sgradevole, che colpisca allo stomaco. Specie i reporter si difendono dicendo che la è la gente che vuole conoscere la realtà nella sua crudezza. Davvero? Eppure Robert Capa o Margareth Bourke-White non lo facevano mai, raccontavano quel che vedevano mettendo avanti la propria umanità, non il proprio conto in banca. Dunque scegli il tuo tono di voce fotografica, e che sia la tua voce, non quella che credi il pubblico voglia. Di sicuro così non sbaglierai.

Bene, è tutto. Spero che questi consigli ti siano utili.

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