Il vero e il falso. O entrambe le cose.

Facciamo un piccolo giochino, ti va? Guarda queste due foto “spaziali” e dimmi: perché mai l’immagine di destra, che nel 2018 ha circolato su Internet a lungo e con successo, e che rappresenta una Tesla Roadster lanciata nello spazio, dovrebbe sembrare più “vera” di quella a sinistra, dove vediamo in tutto il suo splendore l’astronave “Enterprise” della serie Sci-Fi Star Trek?

Francamente, di primo acchito, l’astronave ha più senso di un astronauta (per quanto finto) che se la spassa tra le stelle a bordo di un’auto elettrica! E pensaci: se per qualche motivo ti fossi trovato isolato rispetto alle notizie (ad esempio su un atollo senza TV, giornali e Internet) e una amico ti mostrasse la foto della Tesla, tu penseresti a qualcosa di vero o a un fotomontaggio fatto con Photoshop, e nemmeno così bene? Divertente, certo, ma tanto “scemo”?

Cos’è che ci fa distinguere il reale dall’irreale, oggi che abbiamo la fotografia a offrirci delle testimonianze veritiere? Questa domanda è diventata oggi, con la guerra in Ucraina, ancor più impellente, e la risposta sempre più complicata.

Immagina ancora uno di quei giochini prospettici con cui tutti noi fotografi ci siamo dilettati, almeno una volta. Mettiamo un nostro amico a qualche decina di metri da noi e chiediamo a un altro amico di stare invece a mezzo metro di distanza. Poi montiamo un supergrandangolo, chiudiamo il diaframma per avere più profondità di campo e inquadriamo la scena facendo in modo che il piede dell’amico vicino sembri poter schiacciare il personaggio sullo sfondo che, per un ovvio gioco prospettico, apparirà assai più piccolo. Hai presente, vero?

Il luogo più simbolico in cui avviene qualcosa del genere è Pisa, con la torre che pende. Nella foto di Martin Parr del 1990 vediamo il “backstage” con i turisti intenti a reggere la torre affinché non cada…

Divertente, e passabilmente stupido, sebbene ci siano stati fotografi che sfruttando lo stesso principio hanno realizzato foto serissime e invero molto belle.

Guarda ad esempio questa foto di Arno Rafael Minkkinen, un fotografo scandinavo che ha fatto dell’inserimento del corpo (il proprio) nell’ambiente, grazie appunto a giochi prospettici, la sua cifra stilistica. Davvero potresti pensare che esistano degli uomini molto più alti di una collina? Eppure c’è una fotografia che dimostra l’esistenza del gigante! Perché non ci credi nemmeno un attimo, pur davanti l’evidenza fotografica?

Mostra questa stessa foto a una tribù non ancora svezzata a colpi di “civiltà contemporanea” e forse vedrai disegnarsi una smorfia di orrore sui loro volti: ma allora esistono esseri così grandi?

La fotografia che doveva servire a superare i limiti dello sguardo, e a fornire prove oggettive della realtà, invece finisce per rafforzare i limiti stessi e contestualmente per aprire nuove strade verso la creatività.

Agli inizi, poco dopo il 1839, si sosteneva che la fotografia non fosse arte, ma una scienza. Non a caso le presentazioni del nuovo “strumento” vennero fatte quasi sempre nelle Accademie Scientifiche, non in quelle artistiche (con poche eccezioni). La fotografia era un ausilio allo sguardo, un modo per registrare la realtà “esattamente com’era”, e dunque fornire allo scienziato il modo di archiviare dei dati di fatto. L’unica ricaduta artistica possibile era quella di fornire ai pittori e agli scultori dei supporti visivi utili per sostituire gli schizzi sul campo. Molti artisti, come gli Impressionisti, erano anche fotografi, e utilizzavano la fotografia appunto per creare “archivi di soggetti” da rielaborare grazie alla pittura.

Karl Blossfeld (1865-1932), ad esempio, trascorse lunghi anni a creare un immenso portfolio con foto di dettagli di piante: un lavoro non solo paziente, ma anche di altissima qualità espressiva. Tuttavia il suo intento reale – almeno all’inizio – era quello di creare dei supporti visivi per gli artisti e per gli architetti, oltre che per i suoi studenti nella scuola d’arte dove insegnava, che avrebbero potuto utilizzare le forme della natura nelle proprie opere.

Ma ad un certo punto scienza e fotografia si sono separate, quando ci si è resi conto che la fotografia non solo sapeva mentire, ma lo faceva quasi sempre, almeno in mano a un fotografo. Così mentre la scienza si è impegnata nella ricerca di strumenti in grado di fornire dati sempre più oggettivi, la fotografia è diventata campo di conquista per artisti che la utilizzano non più come supporto ad altre arti, ma come forma di espressione autonoma.

Ma è una storia che certo già conosci. Come certo già conoscerai le implicazioni di quel che abbiamo detto sinora. Noi guardiamo con gli occhi, vediamo col cervello, interpretiamo grazie alla nostra cultura.

Possiamo insomma affermare che il nostro sguardo passa necessariamente attraverso le conoscenze e competenze che abbiamo, e si deforma a seconda delle nostre idee. Nessuno può guardare a una foto di guerra senza collocarsi “da qualche parte”.

Se sei avverso a Putin e alla sua politica aggressiva, la foto sopra (dell’ANSA) per te rappresenterà il risultato dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma se viceversa sei filorusso, vedrai il risultato dell’inutile e rabbiosa resistenza di un popolo “nazista” che dovrebbe arrendersi per evitare ulteriori sofferenze ai civili. O posizioni intermedie tra queste due.

Semplifico, ma credo tu abbia compreso quel che voglio dire.

Un esempio calzante è quello che vediamo ripetersi ogni anno il 10 febbraio, Giorno del Ricordo delle vittime delle Foibe. Fotografie (una in particolare, che circola da anni) in cui soldati italiani fucilano alle spalle dei civili sloveni sono utilizzate per illustrare il contrario: soldati di Tito che ammazzano gli italiani prima di gettarli nelle foibe. Le foto sono le stesse, ma ognuno ci vede quel che vuole, sebbene basterebbe spesso leggere una didascalia originale oppure concentrarsi sui dettagli delle divise. Ma noi vediamo quel che vogliamo vedere, e questo chi fa propaganda lo sa, come lo sanno i fotografi, specialmente se sono artisti.

Perché il vero e il falso si fondono e divengono una nuova realtà, in cui ciò che conta è quel che viene suggerito, non quello che davvero si crede di vedere. Un artista sfrutterà questa possibilità per esprimere se stesso e raccontare le proprie storie, uno stato in guerra per attirare il consenso sulla propria causa.

Quel che è certo è che una fotografia, in ogni caso, mente. Sempre. O, per dirla con Winston Churchill, “una verità è così preziosa che occorre proteggerla con un velo di bugie”, e in questo la fotografia è ideale, perché rappresenta il vero ma lo nasconde con sapienza.

Tags:

Reflex-Mania
Logo