
Di Vivian Maier si possono dire molte cose, ma la più sconvolgente resta – ad oggi – la certezza che, questa straordinaria donna, non è mai stata una fotografa professionista. È conosciuta in tutto il mondo come una delle più grandi esponenti della Street Photography americana, ma la verità è che Vivian Maier venne riconosciuta come fotografa appena prima della sua morte, per meriti artisti, se così si può dire.
Ma chi era veramente Vivian Maier?
Le prime notizie emergono nel 2007, quando il giovane figlio di un rigattiere, John Maloof, decide di acquistare all’ingrosso una scatola di oggetti, confiscati a una donna piena di debiti. Maloof stava facendo delle ricerche sul quartiere di Portage Park, a nord ovest di Chicago, e si ritrovò tra le mani un tesoro di inestimabile valore: centinaia di negativi e rullini non sviluppati, di quella che sarebbe diventata un’antesignana della fotografia street.
“La catena di eventi, che questa scoperta ha messo in moto – scrive Maloof – ha capovolto il mondo della street photography, così come la mia vita”.
La figura di Vivian Maier è in parte avvolta nel mistero, ma grazie alle ricerche di Maloof – e dopo di lui molti altri – è stato possibile ricostruire la storia della sua vita.

Vivian Maier: ritratto di donna
La vita di Vivian Maier
Vivian Dorothea Maier nasce il 1° febbraio del 1926 a New York, da madre francese e padre austriaco. Dopo la separazione dei genitori, Vivian si trasferisce in Francia da un’amica della madre, Jeanne Bertrand, una fotografa ritrattista molto quotata.
In questi anni, la piccola Vivian scopre la passione per la fotografia grazie alla sua modesta Kodak Brownie, una fotocamera amatoriale con una sola velocità dell’otturatore e nessun controllo della messa a fuoco o del diaframma.
Nel 1951 Vivian torna a New York, da dove inizierà la sua esperienza di bambinaia. Il primo impiego è presso una famiglia a Southampton ed è grazie a questo primo lavoro che Vivian acquista una Rolleiflex, una sorta di reflex dell’epoca, pensata per i fotografi professionisti. Pochi anni dopo, la Maier ottiene un altro incarico presso la famiglia Gensburg, a Chicago, dove si trasferisce nel 1956. Pur lavorando a tempo pieno, la sua passione per la fotografia non si attenua e la giovane Vivian inizia ad impiegare tutto il suo tempo libero a fotografare ciò che la circondava, con particolare attenzione al mondo della strada. Il periodo trascorso a Chicago, con la famiglia Gensburg, è probabilmente il più prolifico dal punto di vista fotografico: dalla vita quotidiana, ai personaggi famosi, fino agli emarginati dalla società, Vivian immortala tutto ciò che di interessante quella città poteva offrirle.

In queste fotografie, che ritraggono bambini, la Maier è riuscita a catturare l’attimo e la loro spontaneità
La fine del lavoro presso la famiglia Gensburg coincide con l’inizio dei primi problemi economici per la Maier. Costretta a spostarsi da una famiglia all’altra per brevi periodi, Vivian inizia ad accumulare casse di stampe fotografiche e rullini non sviluppati. Inizialmente sistemato in un magazzino messo a disposizione dal suo nuovo datore di lavoro, tutto il materiale fotografico della Maier finisce ben presto in un box, preso in affitto, e destinato a finire all’asta di lì a poco. Nel 2008, a seguito di un incidente sul ghiaccio, Vivian viene ricoverata in ospedale. Pur avendo ricevuto le migliori cure (grazie anche all’aiuto economico fornito dai Gensburg, con i quali è rimasta sempre in contatto) Vivian Maier muore il 21 aprile 2009.
Vivian Maier: la madre di tutti i selfie
Tra le tante novità che Vivian Maier ha portato nel mondo della fotografia, quella dell’autoscatto è indubbiamente una delle più interessanti. In un video registrato dalla stessa Maier, e ritrovato solo di recente, lei stessa affermava di fare molti autoritratti per rispondere alla sua necessità di trovare un posto nel mondo. Probabilmente questa necessità di autodeterminazione è dovuta al fatto che Vivian Maier era una donna molto sola.

Autoritratto di Vivian Maier

Autoritratto di Vivian Maier: anche in questa fotografia, puoi vedere come la Maier non si fotografa in modo diretto, ma riflessa in uno specchio, appena visibile tra numerosi altri oggetti in primo piano che in parte la nascondono.
Vivian Maier non aveva una famiglia propria, non aveva figli né amici e la fotografia è stata probabilmente il suo ponte di contatto con il mondo esterno.
Gli autoritratti di Vivian Maier dicono molto di lei. Se da una parte sono molti, dall’altra è bene notare che in nessuno di questi è presente in modo definito l’immagine della fotografa. Un riflesso sullo specchio, una silhouette sull’asfalto o un’ombra su un vetro, la Maier non si mostra mai in modo chiaro e i suoi autoritratti sono spesso caratterizzati da qualche elemento di disturbo che nasconde in parte la sua immagine.
Nella società attuale siamo ormai abituati a vedere autoscatti di chiunque e ovunque – i cosiddetti selfie – ma all’epoca di Vivian Maier questa pratica non era particolarmente diffusa. A tal proposito, sono illuminanti le parole di Marvin Heiferman, scrittore americano che si è a lungo occupato dell’impatto delle immagini fotografiche sull’arte e sulla cultura in genere.
Secondo Heiferman, l’impulso di Vivian Maier a realizzare le sue fotografie, non è poi così diverso da quello che abbiamo oggi e che ci spinge a scattare un selfie in qualsiasi momento della nostra giornata.
Heiferman spiega:
“Se con Facebook e Instagram oggi siamo in grado di produrre immagini e con un semplice click proiettarle in tutto il mondo, l’innegabile talento di Vivian Maier, abbinato al fermo proposito di mantenere la propria attività di fotografa come una questione privata, ci affascina e al tempo stesso ci confonde. […] Proprio come la Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi.”
Lo stile di Vivian Maier
La magia delle foto di Vivian Maier risiede nella loro straordinaria attualità.
Le strade affollate, un bambino che piange, i volti delle persone che abitano New York e Chicago, ci danno tutte l’impressione di camminare con lei per le strade di queste grandi città americane.
Il suo stile è semplice ma profondo. La sua ricerca del quotidiano non è mai banale e tradisce una certa affinità con i poveri e gli emarginati della società, che probabilmente sentiva vicini nella lotta alla sopravvivenza. La sua sete di cultura la porta a viaggiare da sola in giro per il mondo, dal Canada al Sud America, dall’Europa al Medio Oriente e fino alle Isole dei Caraibi.
Chi ha conosciuto Vivan Maier è concorde nel dire che era una donna forte, eccentrica e molto gelosa del suo privato. Era una sorta di Mary Poppins con un’incredibile capacità di relazionarsi con i bambini, ma piuttosto strana agli occhi degli adulti. Con i suoi vestiti lunghi, il cappello e le scarpe pesanti da uomo anche in piena estate, la Maier girava indisturbata per le città ricercando ossessivamente qualcosa che la colpisse. Ancora oggi, la sua visione del mondo rapisce e affascina, ma resta in parte celata dal mistero della sua enigmatica vita.
Silvia Gerbino