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Quel che colpisce maggiormente della biografia di Wynn Bullock, soprattutto quella dei suoi primi anni di vita, è l’urgenza di trovare un’espressione artistica fin dall’adolescenza.
Nato a Chicago nel 1902, Wynn Bullock arriva infatti al primo approccio con una macchina fotografica dopo aver tentato la strada della musica, la prima passione insieme allo sport.
“La mia prima ambizione fu quella di diventare una cantante da concerto… Ma interpretare il lavoro degli altri non appagava i miei impulsi creativi e così mi sono rivolto alla fotografia”
Nei primi anni Venti dello scorso secolo, dopo il diploma, Wynn Bullock – che nel frattempo si era trasferito con la famiglia in California – decide di intraprendere una sua carriera musicale: si trasferisce a New York ed entra a far parte del Music Box Revue di Irving Berlin. Come membro del coro, Wynn Bullock canta spesso da tenore principale e non si fa scappare l’occasione di allargare la propria carriera con un viaggio in Europa, dove tiene diversi concerti in Germania, Francia e Italia. Il Vecchio Continente rappresenta per Wynn Bullock anche il primo contatto con il mondo della fotografia e, più in generale, dell’arte contemporanea.
Nel 1931 fa ritorno negli Stati Uniti e, dopo qualche anno passato agli studi di legge presso l’Università della West Virginia, Wynn Bullock sente forte la sua vocazione per la fotografia e si iscrive alla Los Angeles Art Center School.

I primi lavori di Bullock – principalmente solarizzazioni, in cui l’immagine risulta essere un mix tra negativo e fotografia sviluppata – sono fortemente influenzati dalle prove sperimentali del fotografo ungherese László Moholy-Nagy. Durante un soggiorno a Parigi, inoltre, Wynn Bullock era rimasto affascinato dal lavoro degli impressionisti e dei post-impressionisti.
È colpito anche dalla fotografia di Man Ray, grazie al quale si avvicina a una forma d’arte non basata unicamente sulla luce, ma concepita anche come veicolo attraverso il quale poter interagire in modo più creativo con il mondo.
“Da che ho memoria, sono sempre stato mosso da un profondo desiderio di trovare un mezzo per interagire in modo creativo con il mondo, per capire meglio ciò che è dentro e intorno a me. Tuttavia, è stato solo dopo i 40 anni che ho deciso che la fotografia sarebbe stata la cosa migliore per me. Quando fotografo, quel che faccio realmente è cercare delle risposte alle cose”
La prima mostra personale di Wynn Bullock, si tiene nel 1941 al County Museum di Los Angeles ed è un successo di critica. E l’idea di abbandonare la musica per dedicarsi alla fotografia, una delle scelte più azzeccate che il fotografo americano potesse fare.
Gli anni dell’affermazione
Nel 1948, quando ormai la fotografia era diventata la forma d’arte prevalente nella vita di Wynn Bullock, l’incontro con Edwart Weston rappresenta una delle pietre miliari della sua carriera. L’amicizia che nasce con il grande fotografo americano, ai tempi già affermato, influenza l’approccio e la comprensione della fotografia da parte di Wynn Bullock che rimane colpito dalla potenza, dalla semplicità e dalla bellezza degli scatti di Weston.
Dallo scambio di idee che nasce tra i due artisti, Bullock inizia a sviluppare una propria visione del suo lavoro dietro l’obiettivo. Anche lo studio e la comprensione dei metodi adottati da grandi artisti e scienziati – da Einstein a Paul Klee, da Bertrand Russell a Whitehead – contribuiscono a creare l’artista Wynn Bullock, che inizia a essere noto nello scenario del periodo solo a partire dagli anni Cinquanta.

L’evento della svolta è l’ambiziosa mostra, che si tenne tra gennaio e maggio del 1955 al MoMA di New York, intitolata The Family of Man.
L’Exhibition – che includeva al suo debutto oltre 500 opere di 273 artisti di tutto il mondo – divenne un evento itinerante che durò diversi anni, toccando oltre trenta paesi, per oltre nove milioni di spettatori. Il tema della mostra era la celebrazione della vita e della pace in epoca di Guerra Fredda, in un mondo reduce da due conflitti mondiali.
Progetto ambizioso, o forse utopistico, The Family of Man nacque da un’idea di Edward Steichen, allora direttore del museo newyorkese, e rappresentò per Wynn Bullock (e non solo) un’incredibile vetrina per i suoi lavori.

Le astrazioni cromatiche, i nudi, l’esplorazione filosofica
Il periodo tra il 1959 e il 1965, quello in cui il suo nome passa dallo status di outsider della fotografia a quello di protagonista a livello mondiale, Wynn Bullock mette da parte il bianco e nero per sperimentare la fotografia a colori, utilizzando diapositive Kodachrome da 35mm. È la fase che Bullock definì “Color Light Abstractions”.
Queste “astrazioni cromatiche” – lungimiranti e in anticipo sui tempi – sono rimaste sconosciute per quasi 50 anni, fino alla riscoperta avvenuta nel 2009 e alla loro pubblicazione favorita da nuove tecnologie e tecniche digitali.

Il colore non fu l’unico aspetto fotografico sperimentato da Wynn Bullock che ha lasciato un segno anche nel campo della fotografia di nudo: i suoi corpi simbolici, enigmatici e misteriosi sono collocati nell’ambiente in modi evocativi di un significato metaforico, trascendendo spesso l’identità individuale del modello. Questi nudi rispecchiano il rapporto di Bullock con il mondo, esprimendo la sua percezione dello spazio, della natura e del luogo umano al suo interno.
Dopo l’esperienza del colore – esperimenti che lo lasciano frustrato per i limiti tecnologici del periodo – verso la metà degli anni Sessanta Wynn Bullock torna al bianco e nero, con un rinnovato interesse questa volta: immortalare immagini nuove, in grado di esprimere la sua natura filosofica.
In questa direzione il suo nuovo approccio scinde “realtà” (un dato oggettivo) dal concetto di “esistenza”, ovvero tutto ciò che si cela dietro a un primo sguardo non approfondito. Tecnicamente si tratta di una fotografia creata con esposizioni molto lunghe, immagini multiple e stampa di negativi.
Gli inizi del decennio successivo, proseguono con un incessante tentativo di rinnovare il proprio processo creativo, ma tutto è interrotto da un cancro incurabile che gli toglie la vita nel novembre del 1975. Le sue ultime foto sono caratterizzate da luci provenienti dal cuore delle cose, con soggetti che pulsano di energia e vitalità. Altri scatti hanno una portata ancora più vasta e raffigurano le qualità degli esseri umani in senso universale.

Wynn Bullock: un esploratore della fotografia
Considerato dalla critica come uno dei maestri della fotografia del Novecento, con grande successo anche presso il pubblico, Wynn Bullock è noto soprattutto per i suoi scatti in bianco e nero, facilmente riconoscibili per i loro singolari contrasti nati dall’utilizzo di tecniche miste in fase di sviluppo.
Ma la peculiarità di Bullock non risiede solo negli aspetti tecnici, ma anche nella continua ricerca di uno stile personalissimo e sempre “avanti” rispetto ai suoi tempi.
In un momento in cui la fotografia a colori non aveva ancora alcuna autorevolezza nel mondo delle belle arti, Bullock fece l’impensabile: abbandonò il suo (ormai celebre) bianco e nero, cercando di catturare l’essenza colorata dell’energia luminosa, come “anima” dell’universo.

Con attitudine quasi infantile, Bullock utilizzò per le sue immagini a colori materiali non convenzionali, come lastre di vetro, cellophane, acqua e altri materiali, creando dei veri e propri diorama attraverso i quali fare rifrangere la luce e catturare il tutto con l’obiettivo. Il risultato è una serie di immagini astratte, un trionfo di colore, che ricordano la pittura.
Quando sentì di aver raggiunto il suo obiettivo, Wynn Bullock mise da parte la tecnica Color Light Abstractions e tornò al suo lavoro in bianco e nero, portandolo a un livello successivo, rifiutando di consentire a una singola tecnica la definizione della sua opera, molto difficile da etichettare proprio perché unica e personalissima.
La poetica di Wynn Bullock: realtà vs. esistenza
Da appassionato studente di fisica e filosofia quantistica, Wynn Bullock era perfettamente consapevole che ogni oggetto fisico non è esattamente ciò che sembra. È il perenne scontro tra percezione e realtà dei fenomeni che si para davanti ai nostri occhi, per tutta la vita. Ciò che interessò maggiormente Bullock in questo dualismo fu il possibile abisso tra le due posizioni, tra “realtà” ed “esistenza”.
La sua fotografia è figlia di una consapevolezza raggiunta nel tempo: il nostro concetto di permanenza è una mera illusione. Ci illudiamo di guardare oggetti solidi e statici, ma uno sguardo diverso rivela che tutto scorre e interagisce continuamente, come gli elettroni che ruotano attorno al nucleo di un atomo. Anche una roccia apparentemente solida è un evento fluido e in continua evoluzione nel fiume dello spazio e del tempo.

Per tradurre in fotografia questi concetti, Wynn Bullock era solito solarizzare (e in alcuni casi, reticolare) i suoi negativi. Con le lunghe esposizioni otteneva effetti “infiniti”, comprimendo passato, presente e futuro in un unico scatto.
Bullock ha capovolto le immagini, ha invertito i toni positivi con quelli negativi. Con la famosa immagine Sea Palms, si è divertito a giocare con il senso delle proporzioni: la fotografia rimanda a un paesaggio grandioso e avvolto nella nebbia, ma in realtà si tratta di piccole piante, in un scenario completamente ricostruito in scala, con tanto di rocce e rivoli d’acqua.
Il celebre bianco e nero di Wynn Bullock si rivela essere quindi una grande illusione da un punto di vista tecnico, ma esattamente il contrario da una prospettiva di significato.
Una suggestiva messinscena orchestrata per svelare allo spettatore una realtà assai più profonda di quella di superficie. Non a caso, una delle citazioni più note del fotografo americano parla di questo immaginifico escamotage:
“Invece di usare la fotocamera semplicemente per riprodurre gli oggetti, voglio usarla per rendere visibile ciò che è invisibile agli occhi”.